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venerdì, Novembre 15, 2024

Il New European Bauhaus? “Troppo pochi i fondi dedicati ad arte e cultura”

Si è concluso il Festival Internazionale del New European Bauhaus. Per veicolare una rivoluzione sostenibile e circolare ci vuole anche l'arte ma mancano risorse e coinvolgimento degli artisti

Simone Fant
Simone Fant
Simone Fant è giornalista professionista. Ha lavorato per Sky Sport, Mediaset e AIPS (Association internationale de la presse sportive). Si occupa di economia circolare e ambiente collaborando con Economia Circolare.com, Materia Rinnovabile e Life Gate.

Al lancio ufficiale nel 2020 la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen dichiarò che il New European Bauhaus non sarebbe stato solo un progetto ambientale o economico, ma un rinnovamento culturale che avrebbe dato all’Europa un futuro sostenibile e inclusivo. Ispirandosi all’approccio multidisciplinare proprio della scuola d’arte Bauhaus, nata in Germania nel 1919, in cui creazione artistica e metodo artigianale entrarono finalmente in armonia con la produzione industriale, il New European Bauhaus (NEB) si propone di coinvolgere architetti e scienziati, artisti e imprenditori, designer e semplici cittadini attraverso un lavoro collettivo di cambiamento radicale.

Mentre si è conclusa, lo scorso 12 giugno, la prima edizione del Festival Internazionale dedicato al NEB con più di 300 eventi, il progetto è ancora in una fase iniziale dove vengono proposte idee che possano ottenere fondi europei a livello nazionale e regionale. Come emerge dal primo studio qualitativo The Green Deal ambition: Technology, creativity and the arts for environmental sustainability – commissionato dal Research Service del Parlamento europeo e il Panel for the Future of Science and Technology (STOA) – compiuto dai giornalisti italiani Emanuele Bompan e Elisabetta Tola, una chiara priorità è coinvolgere una gamma molto ampia di attori, al di là della ricca nicchia di designer e architetti già coinvolti nel movimento. Facendo sì che il New European Bauhaus non si concentri esclusivamente sull’urbanistica e l’architettura, ma contribuisca a uno spettro più ampio di cambiamento e di transizione che coinvolga tutta la società europea. In sostanza, al netto delle barriere burocratiche di cui EconomiaCircolare.com ha dato conto in precedenti articoli, ciò che ancora manca dalle discussioni e dai progetti è la bellezza della cultura. Dalla musica e la letteratura, fino alle arti visuali e performative: l’arte gioca un ruolo fondamentale in questa rivoluzione culturale.

Leggi anche: La crisi climatica attraverso l’arte: come lo sguardo degli artisti porta ad una nuova consapevolezza

Cosa manca per una trasformazione culturale

“New European Bauhaus è una sorta di ombrello interdisciplinare ma non stiamo guardando al lato cognitivo – dice l’artista e scienziata Gloria Benedikt –: dobbiamo chiederci che tipo di storie abbiamo bisogno per toccare il cuore delle persone e farle salire a bordo in questo percorso. È risaputo che scienza, tecnologia e nuovi modelli di business non sono sufficienti, abbiamo bisogno di una trasformazione culturale radicale”. Benedikt lamenta che quasi nessuna risorsa è stata allocata per l’industria dell’arte, cruciale per il successo del Green Deal europeo, e che sta pagando ancora le chiusure dovute alla pandemia.

“Per capire e internalizzare la storia sulla crisi climatica di cui parla la scienza – continua Gloria Benedikt alla conferenza di presentazione dello studio a Bruxelles – possiamo contare su diversi modelli (performativi e non) che raccontino la storia”. In questo senso nella letteratura troviamo lavori straordinari come The ministry for the Future, dello scrittore Kim Stanley Robinson, una science-based fiction che offre un’immagine apocalittica ma verosimile della crisi climatica.

È d’accordo anche Ilona Puskas di EIT Climate-Knowledge Information Centre (KIC) sul fatto che in un certo senso gli artisti sono ancora visti come partecipanti di serie b del movimento. “Abbiamo bisogno di azioni più coraggiose e radicali, di una trasformazione cognitiva che parta dalle istituzioni che amministrano le città. Ci sono importanti iniziative sparse per l’Europa soprattutto nel settore educativo, ma che non sono incluse nel New European Bauhaus”.

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La bellezza deve attrarre i consumatori

Secondo Christian Ehler, l’eurodeputato che presiede lo STOA, il Gruppo del Parlamento europeo per il futuro della scienza e della tecnologia, si deve partire dall’intercettare i bisogni dei cittadini.

“I cittadini sono diventati strane creature – ha dichiarato Ehler – dobbiamo confrontarci con consumatori che da un parte non vogliono che il mondo finisca, ma allo stesso tempo non vogliono/possono pagare di più per il carburante o per un prodotto più sostenibile”. Poi pragmaticamente Ehler non è convinto che basti una “bellezza lasciata a sé stessa” per convincere le persone a cambiare radicalmente i propri comportamenti.  “Il mondo dei consumatori – continua l’eurodeputato – è molto influente e artisticamente avanzato. Questa industria usa l’arte per attrarre i consumatori e se il New European Bauhaus non è in grado di farlo non avrà successo. La gente deve essere eccitata dalla bellezza”.

Nello studio presentato sono stati coinvolti 16 esperti da diversi settori che, offrendo critiche costruttive, hanno contribuito allo sviluppo del movimento. Tra questi c’è Piero Pellizzaro, Direttore Europa e Relazioni Internazionali della città di Bologna, che ha sottolineato la necessità di investire di più sulla cultura e nell’arte nelle città europe. “In Italia non ci sono abbastanza investimenti nella cultura, il nostro Pil dovrebbe essere basato sulla competenza e sulla cultura – ha dichiarato Pellizzaro –. Se creiamo sussidi per il trasporto pubblico, dovremmo farlo anche per il mondo dell’arte, così da renderlo accessibili a tutti e non creare disuguaglianze. Il machine learning per imparare si basa sugli errori, gli esseri umani sulle buone pratiche. Dobbiamo far corrispondere queste due esigenze includendo gli artisti nella conversazione”.

“Penso che la maggior parte degli artisti e dei creativi voglia essere ascoltata, letta e vissuta – ha rivelato Rasmus Wiinstedt Tscherning, fondatore e dirigente di Creative Business Network, nella serie di interviste raccolte nello studio. Vogliono avere un impatto in qualche modo. Non lo fanno solo per sé stessi, vogliono un pubblico. Ciò richiede delle risorse che possano sostenere il loro lavoro”.

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