Dal 28 novembre al 2 dicembre in Uruguay si terrà il primo incontro del comitato di negoziazione intergovernativo che darà seguito a quanto previsto dalla risoluzione del marzo scorso dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sull’Ambiente. Quanto approvato dall’ONU nei mesi scorsi infatti dà il via libera a negoziare un trattato globale e giuridicamente vincolante per affrontare il problema dell’inquinamento da plastica.
Mentre la risoluzione definisce un obiettivo chiaro e a lungo termine, nell’incontro che inizierà tra poco più di un mese dovranno essere individuate, ad esempio, una serie di definizioni e possibili strumenti che consentiranno di delimitare il perimetro in cui andranno a configurarsi gli interventi per arrivare a un trattato realmente efficace.
La plastica è un problema nel suo intero ciclo di vita (full-lifecycle)
Quando affrontiamo i problemi ambientali sentiamo spesso parlare di approccio sistemico. I documenti preparatori diffusi dalle Nazioni Unite in vista dell’incontro di fine novembre vanno proprio in questa direzione. Il problema delle plastiche non viene inquadrato come una semplice gestione di rifiuti, ma è una questione che riguarda il loro intero ciclo di vita: dall’estrazione dei combustibili fossili necessarie a produrle, al design e fabbricazione degli oggetti, fino al loro smaltimento. Di conseguenza nei documenti diffusi finora si fa riferimento, oltre che alla dispersione di plastiche e microplastiche nell’ambiente e nei mari, anche agli impatti climatici, sulla biodiversità e la perdita di servizi ecosistemici.
Vengono inoltre già individuate delle aree d’intervento, nelle varie fasi del ciclo di vita delle plastiche, su cui la diplomazia internazionale potrà fin da subito iniziare a confrontarsi: dall’eliminazione delle frazioni più problematiche ai fini del riciclo agli interventi sul design per migliorare la riciclabilità dei manufatti; dall’introduzione di forme di tassazione per l’uso di materiali vergini all’eliminazione di sussidi alle fonti fossili da destinare all’economia circolare; dalla necessità di destinare quote alla vendita di prodotti con imballaggi ricaricabili e riutilizzabili nell’ottica di uso efficiente delle risorse fino a meccanismi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR).
C’è anche un cenno ai materiali compostabili e alla necessità di identificare standard di sostenibilità ambientale sull’origine delle materie prime con cui vengono prodotti. Oltre all’esigenza di dotarsi, globalmente, di standard internazionali, per cercare di ovviare ai problemi sempre più comuni di contaminazione che essi generano nelle filiere di raccolta e separazione delle plastiche convenzionali.
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Riguardo la gestione dei rifiuti a fine vita, il riciclo chimico viene individuato come una delle possibili soluzioni (anche se l’impiego delle varie tecnologie che ne fanno parte è lungi dall’essere applicabile su vasta scala). C’è ampio consenso sull’introduzione di sistemi di deposito su cauzione (o DRS) per tutte le tipologie di packaging a cui è applicabile (non solo bottiglie quindi), si fa riferimento al diritto alla riparazione, viene messa nero su bianco la necessità di raddoppiare la capacità globale di riciclo meccanico e si ipotizzano sistemi di tassazione per lo smaltimento in discarica o negli inceneritori.
Purtroppo, i documenti diffusi finora non chiudono definitivamente le porte all’export di rifiuti e alla necessità di dotarsi di pratiche di smaltimento che seguano i criteri di prossimità e autosufficienza nazionale. Per finire, c’è un’apertura (piuttosto pericolosa) verso i meccanismi noti come “plastic credits” o “plastic offsetting”: schemi che permettono alle aziende di guadagnare “crediti di plastica” rimuovendo i rifiuti dall’ambiente in un sistema per certi versi affine a quanto già visto negli ultimi anni (e dimostratosi nella maggior parte dei casi di scarsa efficacia) con la compensazione delle emissioni di gas serra attraverso l’acquisizione di crediti forestali.
Gli schieramenti in campo in vista del trattato globale sulla plastica
In questo processo guidato dalle Nazioni Unite, e che si configura di vitale importanza per gestire una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi, lo scacchiere delle nazioni e dei vari portatori di interesse comincia via via a configurarsi e l’Italia, per ora, risulta non pervenuta. L’avanguardia può essere individuata in quelle nazioni più progressiste che fanno parte della “High Ambition Coalition to End Plastic Pollution” in cui figurano Norvegia, Svezia, Francia, Germania, Ruanda, Perù, Ghana, Costa Rica e altri.
Secondo quanto indicano alcune fonti giornalistiche, un’altra coalizione di nazioni si starebbe formando con la regia degli Stati Uniti e il supporto di Australia e Giappone, con l’obiettivo di annacquare l’ambizione del processo, ricondurre il problema principalmente alla corretta gestione dei rifiuti e, soprattutto, evitare l’introduzione di obiettivi globali. La soluzione preferita, sempre secondo i rumors, sarebbe quella di usare un approccio simile agli accordi di Parigi per il clima e dare facoltà ai singoli Stati di decidere in autonomia i propri obiettivi. Una linea questa che, se dovesse passare, permetterebbe alle nazioni di negoziare solo ciò che oggi è già alla loro portata. Si tratterebbe, di fatto, di perdere la partita per salvare il Pianeta dalla plastica prima ancora di cominciare.
Su un versante opposto si colloca la Business coalition for a global plastic treaty che vede coinvolte numerose imprese che basano il loro business sul massiccio impiego di plastica monouso (Coca Cola, Nestlé, Pepsi, Unilever, Danone, Ferrero, etc), produttori di plastica, istituti finanziari con l’appoggio della EllenMacArthur Fundation e del WWF. L’obiettivo della coalizione è quello di ottenere un trattato globale ambizioso ed efficace per mettere fine all’inquinamento. L’asse portante della visione della coalizione è dare vita a una vera economia circolare delle plastiche, con alcuni interventi apprezzabili focalizzati sul passaggio dal monouso ai modelli di riuso. Ma visti gli scarsi risultati ottenuti delle multinazionali firmatarie rimane il dubbio se ci sia da fidarsi.
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Il primo appuntamento per scrivere una nuova storia
Il prossimo appuntamento in Uruguay può segnare un importante passo per affrontare il problema dell’inquinamento da plastica. Per arrivare a un trattato realmente efficace, l’obiettivo dell’accordo deve essere quello di individuare un limite alla produzione delle plastiche che riduca l’abuso dei nostri tempi. Solo fissando un production cap globale che vada poi gradualmente a ridursi nelle prossime decadi potremo permettere all’attuale sistema di produzione, business e consumo di essere ricondotto nei binari della sostenibilità. A ciò vanno aggiunti adeguati interventi per ridurre l’impiego della frazione spesso inutile e superflua rappresentata dall’usa e getta, l’eliminazione di tutti quei polimeri e prodotti problematici ai fini del riciclo e creare le condizioni per realizzare una transizione verso sistemi di consegna basati sul riutilizzo degli imballaggi.
Nei fatti va seguita, in ordine di priorità, la gerarchia di gestione dei rifiuti focalizzandosi su prevenzione e riutilizzo, a cui far seguire interventi che migliorino i sistemi di raccolta e gestione a fine vita come l’introduzione obbligatoria di sistemi di DRS. Infine, nel novero di interventi è necessario garantire una transizione giusta per tutte le persone che operano nel settore. Solo così riusciremo a realizzare il cambiamento sistemico di cui noi, e il Pianeta, abbiamo urgentemente bisogno.
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