Su un pianeta che, almeno a parole, ha scelto la via della decarbonizzazione, ci aspetteremmo che la Befana sia la sola – e a lei lo perdoniamo – a consegnare carbone. Ma non è così, anzi: la crisi energetica resa gravissima in Europa dalla guerra in Ucraina e dalla speculazione ha riportato in auge – come quelle vecchie canzoni che inspiegabilmente risalgono in cima alle hit parade – il combustibile fossile della rivoluzione industriale. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE o, in inglese, IEA) il consumo mondiale di carbone ha raggiunto nel 2022 un nuovo massimo storico.
Il record
Il 2022 è stato per il carbone un anno probabilmente irripetibile. “I mercati del carbone sono stati fortemente scossi, con i flussi commerciali tradizionali interrotti, prezzi in aumento e la domanda destinata a crescere dell’1,2%, raggiungendo il massimo storico e superando per la prima volta gli 8 miliardi di tonnellate”, scrive l’agenzia nel report “Coal 2022” pubblicato a dicembre dello scorso anno (quindi si tratta di stime di fine anno). Praticamente una tonnellata a testa per ogni donna, uomo, bambino sulla faccia della Terra. Altro che calza della befana: i mercati mondiali non hanno mai visto così tanto carbone in circolazione.
Col prezzo del gas alle stelle, abbiamo assistito ad una fuga da questo combustibile fossile verso opzioni più economiche, come il carbone, nonostante sia ambientalmente ben più dannoso. Anche l’estate particolarmente secca, con la conseguente riduzione di energia idroelettrica, ha spinto il consumo fossile: in Cina la produzione di energia da carbone è aumentata di circa il 15% su base annua, superando i 500 terawattora (TWh). In Europa hanno pesato anche la riduzione di energia nucleare legata alle manutenzioni delle centrali Francesi. E poteva andare peggio: diversi fattori hanno limitato la crescita della domanda di carbone. Non solo l’aumento dei prezzi ma anche la forte diffusione delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, una crescita economica rallentata dalla stessa crisi energetica, dal Covid e dalla guerra hanno attenuato l’aumento della domanda.
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La Cina è la befana mondiale: primo produttore (ma anche consumatore e importatore) di carbone
La vera befana mondiale è la Cina, che rappresenta il 53% del consumo di carbone, seguita dall’India. Ma questi de Paesi sono anche i primi produttori e i maggiori importatori. E siccome la domanda chiama l’offerta – coi prezzi che hanno toccato, anche loro, livelli record Cina e India hanno aumentato le estrazioni. Secondo l’AIE la produzione cinese ha raggiunto un nuovo record annuale nel 2022, con una crescita dell’8% sull’anno precedente. In India nel 2021 la produzione di carbone ha raggiunto per la prima volta gli 800 milioni di tonnellate e dovrebbe, secondo le previsioni dell’agenzia, supererà 1 miliardo di tonnellate entro il 2025. Anche l’Indonesia, il terzo produttore mondiale, ha visto crescere le estrazioni nel 2022, con le esportazioni che giocano un ruolo più importante della domanda interna. Con una crescita minore negli Stati Uniti e persino in Europa, la produzione globale di carbone nel 2022 ha raggiunto appunto gli 8 miliardi di tonnellate, il livello più alto di sempre.
La domanda crescente e l’appetito per i prezzi record fanno immaginare un aumento degli investimenti nelle attività delle miniere di carbone: tuttavia, spiega ancora il report, al di fuori della Cina e dell’India, non ci sono forti segnali di inversione delle tendenze degli investimenti. “Governi, banche e investitori – così come le società minerarie – continuano a mostrare, in generale, una mancanza di interesse per gli investimenti nel carbone, in particolare nel carbone termico”.
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Elettricità nera
La produzione di elettricità, spiega l’AIE, è il principale settore di consumo di carbone, che nel 2022, stima l’agenzia, è cresciuta di poco più del 2%. In calo, invece, i consumi nell’industria, che secondo le stime dovrebbero essere diminuiti di oltre l’1%, principalmente a causa del calo della produzione di ferro e acciaio dovuto alla congiuntura economica.
In Europa, che più di tutti ha subito la crisi del gas, per compensare l’energia in arrivo dalla Russia sono rientrate in attività alcune centrali a carbone chiuse o rimaste in riserva. Nella maggior parte dei paesi si è trattato di quantità limitata di capacità di energia, a parte la Germania, dove con 10 gigawatt l’inversione è stata significativa.
Un aumento, secondo le stime dell’AIE, che in Europa dovrebbe rimanere stabile a questi livelli per qualche tempo e tornare a scendere, grazie agli sforzi per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, nel 2024. Questo non vale solo per l’Ue. Nelle previsioni dell’agenzia la domanda globale di carbone si dovrebbe stabilizza attorno al livello attuale fino al 2025. Per qualche anno ancora, dunque, la Befana dovrà sopportare una concorrenza spietata, con gli immaginabili rallentamenti nel percorso globale verso il net zero.
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Tanto carbone nella calza dell’Italia
Qualche giorno fa ENEA ha pubblicato la sua Analisi del sistema energetico italiano per il II e III trimestre dell’anno scorso. Segnalando “segnali di criticità”. Nei primi nove mesi dell’anno, a fronte di consumi di energia sostanzialmente fermi, con la previsione di un calo dell’1,5% sull’intero 2022, “le emissioni di CO2 sono cresciute del 6%, con una stima di aumento di oltre il 2% a fine 2022”. E il protagonista di questo aumento parrebbe essere proprio il carbone: mentre il consumo di gas è calato del 3% e quello di petrolio è salito dell’8%, il carbone ha fatto registrare un balzo del 47%. Quando si dice decarbonizzazione. Contemporaneamente le rinnovabili hanno registrato un calo dell’11%, dovuto a una riduzione dell’idroelettrico che l’aumento di solare ed eolico non è riuscito a compensare. Non è un caso, quindi, se l’Analisi ENEA evidenzi anche un “forte peggioramento” dell’indice della transizione energetica ISPRED elaborato proprio dall’ENEA (-60% nel III trimestre).
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