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venerdì, Novembre 15, 2024

Non c’è economia circolare se non si rimuove il divario di genere

Nel mondo del lavoro la presenza delle donne è scarsa in attività ad alto valore aggiunto o nei ruoli apicali. Ma nel percorso verso la transizione ecologica non si può non tenere conto del divario di genere: per farlo è necessario agire in maniera sistemica, partendo dalla formazione

Raffaele Lupoli
Raffaele Lupoli
Direttore responsabile di EconomiaCircolare.com. Giornalista professionista, saggista e formatore, è docente a contratto di Economia delle organizzazioni complesse presso ISIA Roma Design e collabora con il Sole 24 Ore. Ha diretto diverse testate, tra cui il settimanale Left e LaNuovaEcologia.it. Ha lavorato con Legambiente collaborando tra l’altro alla redazione del Rapporto Ecomafie, ha coordinato la redazione del periodico Rifiuti Oggi e il mensile La Nuova Ecologia. Si è occupato di comunicazione politica e nel 2020 è stato consigliere della Ministra dell'Istruzione sui temi della sostenibilità ambientale e dell'innovazione sociale.

Le grandi ambizioni della transizione verde e digitale vanno di pari passo con l’attenzione per la parità di genere? E nell’Anno europeo delle competenze che ruolo deve avere la formazione nel raggiungere quest’obiettivo anche nei settori dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale in generale?

Quello scivolone sulle donne “comprese” tra le persone

Nel Green Deal industrial Plan appena lanciato dalla Commissione europea, uno scivolone in un passaggio sulle competenze, che devono essere “green e digitali, a tutti i livelli e per tutte le persone, comprese le donne”, fa pensare al rischio che l’approccio inclusivo sia più di forma che di sostanza.

Al momento, a fronte di una forte richiesta di competenze specializzate in diversi ambiti della sostenibilità, dalle batterie alle rinnovabili, va registrato che il divario di genere in questi settori è ancora enorme: nelle rinnovabili, per esempio, le donne rappresentano solo un terzo della forza lavoro. E a poco serve prevedere quote obbligatorie di forza lavoro femminile da occupare, come avviene in Italia con il Pnnr, se poi non si affiancano politiche adeguate e investimenti per la formazione dedicati. Diverse imprese del settore delle costruzioni, ad esempio, rinunciano a partecipare ad alcune gare d’appalto perché non riescono ad assumere abbastanza lavoratrici da rispondere all’obbligo di assumere almeno il 30% di donne e di giovani previsto dai bandi per aumentare l’occupazione giovanile e femminile.

Serve un protagonismo femminile ad ogni livello

Episodi come questi fanno emergere la necessità di affrontare la questione del divario di genere in maniera sistemica, impegnandosi da un lato a calare nel vissuto quotidiano un tema ritenuto centrale nell’Agenda 2030 dello Sviluppo sostenibile e dall’altro a considerarlo completamente coerente e inglobato nel processo di “cambio di paradigma” legato ai modelli di produzione e consumo. In altre parole, la prospettiva di genere è indispensabile nella creazione di un modello orientato alla transizione giusta e inclusiva e pienamente coerente sia sotto il profilo ambientale sia sotto il profilo sociale e della governance (ESG).

Protagonismo e partecipazione femminile non possono essere meri requisiti di un bando, ma devono trasformarsi in criteri guida delle politiche pubbliche nella stessa maniera in cui la sostenibilità ambientale non può limitarsi ad essere un elemento “aggiuntivo” che magari aiuta nella comunicazione. A questo si aggiunga che un percorso coerente ed efficace verso la circolarità richiede un protagonismo femminile a ogni livello e non solo un coinvolgimento in attività associate al settore informale, poco specializzate e con bassi livelli di produttività e di uso della tecnologia. I dati a livello globale dimostrano, infatti, una scarsa presenza di donne in attività ad alto valore aggiunto, come l’ecodesign, altre attività legate all’uso di tecnologie avanzate o in generale ruoli apicali, mentre l’intensità di occupazione femminile aumenta in attività a basso valore aggiunto, come per esempio la raccolta e il riciclo dei rifiuti o la preparazione al riutilizzo.

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Con le donne al comando migliorano responsabilità sociale e profitti

Questa dinamica, oltre a risentire in generale di un livello ancora elevato di discriminazione, è legata anche all’insufficiente coinvolgimento delle donne nelle attività scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (STEM), anch’esso frutto di discriminazione e di dinamiche di divisione del lavoro basate sul genere. Per esempio, a livello globale, solo il 30% circa degli studenti iscritti ai campi STEM nell’istruzione superiore sono donne e nel settore dell’energia elettrica e dei servizi di pubblica utilità, strettamente connesso alla transizione verso la circolarità, le donne costituiscono solo il 5% dei membri del consiglio esecutivo, il 21% dei membri del consiglio non esecutivo e il 15% dei ruoli dirigenziali di alto livello. Eppure, secondo lo studio Women as levers of change (qui in Pdf), condotto da FP Analytics nel 2020, le aziende con la più alta percentuale di donne nei consigli di amministrazione hanno in media una valutazione della loro performance di responsabilità sociale superiore del 74% rispetto a quelle con la percentuale più basse di donne nei cda. Inoltre, le prime sono del 32% più trasparenti in termini di divulgazione di informazioni ESG e ottengono profitti maggiori del 47% (sempre rispetto alle imprese con meno donne ai vertici).

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Più diversità di genere = più sostenibilità

È importante, dunque, partire dalla presa d’atto che il divario di genere caratterizza attualmente anche i settori produttivi legati alla transizione ecologica e all’economia circolare, che da un diverso approccio anche nelle politiche di genere può trarre grandi vantaggi anche sotto il profilo delle performance economiche e ambientali. Sempre lo studio di FP Analytics rileva che “le aziende con una maggiore diversità di genere nei consigli di amministrazione dal 2013 al 2018 avevano il 60%, 39% e 46% in più di probabilità rispetto a quelle senza, di ridurre rispettivamente l’intensità del consumo di energia, le emissioni di gas serra e il consumo di acqua”. Anche per questo, il contributo delle donne a pratiche circolari e rispettose dell’ambiente non si deve limitare a quelli derivanti da una situazione di discriminazione e svantaggio, come la maggiore propensione al risparmio o al riutilizzo. Le donne dovrebbero avere pari accesso alle opportunità che consentano loro di agire come leader del cambiamento per la circolarità in tutti i campi e settori.

divario di genere economia circolare grafica

Se i documenti sulla sostenibilità si dimenticano del gender gap

Spesso però, procedendo per compartimenti stagni, i documenti programmatici e pianificatori legati alla sostenibilità, come ad esempio la Strategia per l’economia circolare, non contengono riferimenti concreti e operativi alla rimozione del divario di genere e senza piani d’azione concreti e integrati è impossibile ottenere cambiamenti.

Se l’economia circolare deve essere un punto di svolta per i modelli di produzione e consumo, deve farlo sulla base di principi di uguaglianza: integrare nei piani d’azione linee programmate e strumenti operativi orientati all’inclusione e a rimuovere gli ostacoli alla parità di genere, non è dunque un “plus” ma un’esigenza consustanziale al processo verso la circolarità. E in questo percorso va riconosciuto un ruolo centrale alla formazione, sia in termini di empowerment femminile sia in termini di costruzione, tra i maschi, di una cultura paritaria e inclusiva.

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