La gestione dei rifiuti urbani in Italia, soprattutto in alcune Regioni del centro sud, è un problema. Problema legato principalmente alle disparità impiantistiche. E chi sperava che i fondi del Pnrr destinati alla gestione dei rifiuti avrebbero cambiato le cose, subirà una doccia fredda. Un recente briefing della Cassa depositi e prestiti (Cdp) dice infatti il contrario. I fondi destinati agli impianti per migliorare la gestione dei rifiuti e potenziare l’economia circolare– stando agli esisti dei bandi da poco pubblicati dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica – andranno soprattutto alle Regioni che ne avevano meno bisogno. Ma facciamo un passo indietro.
Le note dolenti del sistema nazionale della gestione dei rifiuti urbani
“In Italia persistono significative differenze territoriali nella capacità di trattamento dei rifiuti urbani, in parte riconducibili ad una distribuzione non omogenea degli impianti per numerosità, capacità autorizzata e scelte tecnologiche”, afferma il briefing dei Cassa depositi e prestiti. Si tratta delle note “forti disparità territoriali nella dotazione impiantistica, che impediscono la chiusura del ciclo dei rifiuti nel rispetto dei principi di autosufficienza e prossimità”. In particolare il documento si riferisce sia al trattamento della frazione organica sia del recupero energetico.
A fronte di un obiettivo europeo di riciclo del 65% degli urbani entro il 2035, Cdp ricorda (citando ISPRA) che oggi siamo in media al 50%. Con un ricorso alla discarica pari a circa il 19%, a fronte di un target UE del 10% da raggiungere entro il 2035. Questione legata a queste ultime due è quella dell’incenerimento: gli impianti, ricorda il report, sono concentrati in particolare nelle Regioni settentrionali (lì si trova il 70% degli inceneritori). Mentre le sei regioni (Valle D’Aosta, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo e Sicilia) che non ricorrono al recupero energetico a causa della totale assenza impiantistica, “non a caso registrano tra i più elevati tassi di conferimento in discarica”.
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Il trattamento dell’organico, principale frazione dei rifiuti urbani, è una cartina di tornasole degli squilibri nell’assegnazione dei fondi. Il Nord riesce infatti a trattare più rifiuti di quelli effettivamente raccolti, mentre nel centro Italia la capacità attuale di trattamento degli impianti è appena sufficiente a gestire la metà della frazione organica raccolta, sottolinea Cdp. Campania e Lazio conferiscono fuori Regione rispettivamente il 25% e il 14% dei rifiuti organici prodotti, prevalentemente in Regioni non limitrofe. Le disparità impiantistiche, aggiunge Cdp, si manifestano non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi: “Le Regioni del Centro-Sud si caratterizzano per una scarsa presenza di impianti a tecnologia complessa che consentano oltre al recupero di materia anche la produzione di biogas”.
Cassa depositi e prestiti ricorda come per i rifiuti residui (quelli non riciclabili e quelli frutto delle operazioni di riciclo), “il recupero energetico costituisca allo stato attuale l’unica alternativa al conferimento in discarica, ormai stabile da alcuni anni”. Sostiene quindi che si rende necessario potenziare la capacità di recupero energetico dei rifiuti urbani residui, anche in considerazione della ridotta vita residua delle discariche attive (4 anni in media nel Centro-Nord, 2 anni nel Sud peninsulare e in Sicilia, 1 anno in Sardegna: stime Utilitalia)
Second le stime di Cdp, complessivamente, per raggiungere i target europei al 2035, il fabbisogno impiantisco per il trattamento di rifiuti urbani ammonterebbe a 5,2 milioni di tonnellate: 2,4 milioni per l’organico, concentrati in particolar modo in Campania, Lazio e Sicilia; 2,8 milioni per il recupero energetico, soprattutto in Sicilia, Veneto e Lazio.
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Pnrr e rifiuti
“Il PNRR, pur costituendo un importante passo in avanti per il superamento delle disparità geografiche nel trattamento dei rifiuti da raccolta differenziata, non esaurisca pienamente i fabbisogni espressi dai territori”, scrivono gli autori del documento. Principale obiettivo delle risorse messe in campo, infatti, è ”colmare il divario impiantistico per il trattamento dei rifiuti da raccolta differenziata tra regioni del Nord e del Centro-Sud: a queste ultime, infatti, è destinata ex lege la quota più significativa degli stanziamenti (60%)”. Se gli oltre 2 miliardi di euro stanziati per la filiera dei rifiuti forniscono “una prima risposta alle criticità evidenziate”, restano dei limiti nell’assegnazione dei fondi.
“Le risorse assegnate tendono a concentrarsi, di fatto, in poche Regioni”. Questo, spiega Cdp, soprattutto per via del rapido esaurimento dei fondi “riconducibile all’elevato valore medio dei singoli progetti assegnatari (tabella 2), soprattutto nel caso delle progettualità per lo sviluppo di impianti per il trattamento di rifiuti urbani (linea 1.1.B) e flussi particolari (linea 1.1.C)”.
Vediamo la linea d’investimento relativa alla realizzazione e ampliamento di impianti di trattamento/riciclo dei rifiuti urbani provenienti da raccolta differenziata. Sugli oltre 480 progetti ritenuti idonei, quelli finanziati sono meno di 30. E il 70% dei fondi assegnati si concentra in cinque regioni: Sicilia (oltre 20% delle risorse), Abruzzo (14%), Sardegna (12%), Liguria (11%) e Piemonte (10%). Lazio e Campania – Regioni nelle quali come abbiamo visto si registra la maggiore e più urgente domanda impiantistica – non accedono ai finanziamenti “a causa dell’esaurimento del plafond territoriale (270 milioni per il Centro-Sud nel suo complesso)”. Stesso problema emerge per i fondi assegnati ai cosiddetti progetti per “nuovi impianti innovativi di trattamento e riciclaggio per lo smaltimento di materiali assorbenti ad uso personale (PAD), fanghi di acque reflue, rifiuti di pelletteria e rifiuti tessili”: i progetti assegnatari delle risorse si concentrano in Sardegna, Toscana e Veneto (12% ciascuna), seguite da Piemonte (9%) e Campania (8%).
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Cosa fare
Se questo è lo scenario, secondo il report di Cassa depositi e prestiti è necessario “favorire l’afflusso di ulteriori risorse verso i progetti di comprovata fattibilità rimasti esclusi dall’assegnazione dei fondi Pnrr per esaurimento del plafond”. Per ripianare le differenze territoriali, visto che i soldi messi in campo col Pnrr non basteranno, servono dunque altri finanziamenti, sia pubblici che privati. Sarà necessario anche “puntare sulla termovalorizzazione quale tecnologia di transizione nel graduale passaggio dal modello di produzione lineare a quello circolare”.
Ma i soldi non bastano. Si dovrà anche rendere più efficiente la gestione dei rifiuti a monte “facendo leva su processi di digitalizzazione, favorendo la diffusione di tecnologie come, ad esempio, i cassonetti intelligenti (smart bin) in grado di classificare e quantificare i rifiuti conferiti dagli utenti e sistemi di tracciabilità che consentono di monitorare e misurare tutti i flussi di materia e di rifiuti, al fine di individuare il percorso di valorizzazione più conveniente”. E poi sarà necessario un cambiamento anche culturale “in seno a Pubbliche Amministrazioni, imprese e cittadini al fine di diffondere modelli comportamentali che tengano conto della limitatezza delle risorse e che non prevedano né lo scarto né l’usa e getta”.
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