Nel mare di sfide che attendono case automobilistiche e nazioni europee dopo l’approvazione definitiva da parte del Parlamento europeo del bando alla vendita dei veicoli con motore endotermico dal 2035, senza dubbio uno degli aspetti centrali è il tema riciclo delle batterie: a che punto siamo? Ci sono gli impianti adatti? Quali tecnologie impiegare per il recupero dei materiali? La raccolta funziona bene? Non rispondere a queste domande significa alzare in anticipo la bandiera bianca nei confronti dell’elettrificazione dei trasporti.
Si prevede, infatti, che la domanda globale di batterie crescerà di 19 volte entro il 2030, con un tasso del +25% all’anno (dati Erion). E la mobilità elettrica sarà responsabile del 95% della domanda di batterie. Pensare di gestire questi numeri soltanto con la produzione di nuove batterie è una chimera, oltre a essere dannoso per l’ambiente. Già oggi in Europa ci sono 10 milioni di tonnellate di batterie (per qualsiasi utilizzo, compresi i device elettronici come computer e smartphone). Ogni anno verranno immesse nel mercato altre 2,5 milioni di tonnellate, che produrranno un’analoga quantità di rifiuti.
Per tali ragioni, è di fondamentale importanza recuperare i materiali critici dalle batterie a fine vita: anche perché in Europa miniere per estrarre tali materiali critici non sono così numerose. Del resto ne è consapevole la stessa Unione europea: nel nuovo Regolamento batterie impone un tasso di raccolta dei rifiuti di batterie per i mezzi di trasporto leggeri del 54% entro i primi otto anni dall’entrata in vigore. Mentre sono fissati obiettivi vincolanti di contenuto di materiali riciclati per le nuove batterie prodotte da qui a otto e tredici anni: 12% (20%) cobalto, 85% piombo, 4% (10%) litio e 4% (12%) nichel.
Batterie al piombo e agli ioni di litio: due diverse tipologie di riciclo
Il 2035 è relativamente distante, tuttavia per arrivare a questi obiettivi siamo solo all’inizio. Il riciclo delle batterie, in realtà, c’è e funziona: finora, però, nel settore automotive le batterie maggiormente utilizzate erano le batterie piombo acido, convenienti e sicure dal punto di vista tecnico: e qui il tasso di recupero arriva al 90%. Nel futuro, però, le cose cambieranno: “Nel settore della mobilità c’è un interesse crescente per le batterie agli ioni di litio, caratterizzate da un peso ridotto e da un’elevata densità energetica”, spiega la ricercatrice Federica Forte del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell’ ENEA, l’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
E qui la situazione è differente: il riciclo non supera in media il 5% in tutta Europa. Se pensiamo che già oggi le batterie agli ioni di litio sono arrivate a coprire il 36% della quota di mercato e nel 2025 ci saranno circa 700.000 tonnellate di batterie di questo tipo potenzialmente riciclabili a fine vita a livello globale, e nel 2030 – secondo i dati del Global Battery Alliance – saranno 11 milioni di tonnellate, è evidente come sia necessario lavorare per ottimizzare la filiera del riciclo.
Il confronto con la Cina, principale produttore di batterie al litio al mondo, è impietoso: qui nel 2022 sono state costruite 700.000 tonnellate di batterie al litio con materiali riciclati. In Europa le previsioni di riciclo arrivano a una capacità di 200.000 tonnellate nel 2024-2025 e di 369.000 tonnellate entro il 2030. Il motivo di questo ritardo europeo sta a monte: mancano gli impianti e non sono stati ancora superati una serie di ostacoli di natura tecnica. “Sono disponibili numerosi studi in scala laboratorio e pilota”, spiega Federica Forte, ricercatrice del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali di ENEA.
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Difficoltà nel recuperare i materiali
Il litio, peraltro, non è per nulla semplice da recuperare: come spiega Alessandro Danesi, dell’azienda Seval, specializzata nel riciclo dei RAEE, “nelle batterie litio-ferro-fosfato il litio rappresenta circa il 4% del peso della batteria. Quindi riciclare il 60% di litio vuol dire recuperare solo l’1% di una batteria: non bisogna però dimenticare gli altri materiali importanti come il cobalto e il nichel”. Un singolo pacco batteria agli ioni di litio per auto contiene, infatti, circa 3,5 kg di litio, 10,9 kg di nichel, 9,8 kg di manganese e 10,9 kg di cobalto.
Tuttavia, ad oggi, della batteria si continuano a valorizzare solo alcune componenti. “Si registra la mancanza di una strategia integrata tesa alla valorizzazione di tutte le frazioni”, spiega Forte. “Le batterie sono matrici complesse, ovvero matrici caratterizzate da una notevole varietà di materiali e componenti; tali matrici richiedono uno studio approfondito e tecniche selettive per recuperare i materiali con elevata efficienza e soprattutto con elevato grado di purezza, importante per la qualità del prodotto finale”, è la premessa della ricercatrice.
Prima di vedere come sia possibile migliorare la situazione, conviene allora capire più nel dettaglio come avviene a livello tecnico il processo di riciclo delle batterie agli ioni di litio.
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Come si riciclano le batterie agli ioni di litio
Dopo la prima fase di scarica e di smontaggio della batteria nei singoli componenti, ovvero moduli e celle, è necessaria una fase di lavorazione aggiuntiva per estrarre i metalli strategici. “I processi industriali utilizzati oggi – spiega la ricercatrice di ENEA – si basano prevalentemente sulla pirometallurgia. Attraverso tali processi vengono recuperati metalli come nichel, cobalto e rame, trattando le batterie ad elevata temperatura. Litio e manganese, invece, finiscono nelle scorie e non sono in genere recuperati”.
Se da un lato le tecnologie pirometallurgiche sono relativamente semplici, dall’altro “i risultati sono evidentemente scadenti: c’è un grande impiego di energia, non si recuperano tutti i materiali e i lingotti prodotti sono composti da leghe sconosciute, durissime e complicate da gestire, tanto che è difficile trovare acquirenti”, conferma Danesi.
Per questo sono visti con interesse crescente i processi idrometallurgici, che consentono di recuperare metalli con elevato grado di purezza utilizzando solventi chimici. “Le rese in questo caso sono elevate e in linea di principio possono essere recuperati tutti i metalli presenti”, fa notare Forte. Ci sono, però, alcuni svantaggi. Intanto l’idrometallurgia può richiedere volumi considerevoli di acqua e l’utilizzo di sostanze chimiche per la lisciviazione può generare reflui che vanno gestiti in maniera opportuna. Inoltre, “c’è la questione dei costi associati ai diversi step che, a seconda dei casi, possono rendersi necessari per la purificazione dei metalli di interesse”, aggiunge la ricercatrice.
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I progetti nei laboratori di Enea
Non finisce qui: “La batteria è composta da un elettrolita e da una parte anodica e catodica. Per essere maggiormente sostenibile, un processo di riciclo deve essere orientato alla valorizzazione dell’intero rifiuto, recuperando nel caso specifico non solo la componente catodica, come avviene allo stato attuale, ma anche l’anodo e l’elettrolita”, spiega Federica Forte. I laboratori di ricerca di ENEA studiano proprio come valorizzare i vari materiali contenuti nelle batterie agli ioni di litio a fine vita in una serie di progetti.
Uno di questi progetti è Acrobat. “ENEA – spiega la ricercatrice – si sta occupando, in particolare, del processo di valorizzazione dei materiali elettrolitici, come ad esempio i sali conduttori ed i solventi organici”.
“Entro il 2030 – aggiunge – il progetto Acrobat punterà a raggiungere un target complessivo di recupero annuale di 5.400 tonnellate di materiale catodico (litio-ferro-fosfato), 6.200 tonnellate di grafite e 4.400 tonnellate di elettrolita”.
Nell’ambito del progetto Iemap (Italian Energy Materials Acceleration Platform), il gruppo di ricerca di cui fa parte Forte si sta occupando della valorizzazione della frazione catodica, mentre in ambito Eubatin si occuperà di sviluppare tecnologie per il recupero dei diversi materiali, inclusa la frazione plastica.
“Tali attività sono al momento sviluppate in scala laboratorio – fa notare Forte – ed è quindi prematuro fare previsioni sul possibile contenuto di materiali recuperati attraverso tali processi all’interno di nuove batterie. Attraverso i nostri processi attualmente è possibile recuperare materiali anche oltre il 90%, rese che saranno poi verificate in scala più grande spiega Forte. Perché sarà inevitabile, se vogliamo raggiungere gli obiettivi fissati dall’Ue, passare dai laboratori alla scala industriale”.
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Impianti di riciclo industriali
“È il nostro obiettivo a lungo termine”, anticipa Forte: fornire tecnologie e conoscenze da impiegare in futuro su una scala più grande. “Il riciclo delle batterie agli ioni di litio è ancora un settore in evoluzione e gli impianti devono essere ancora costruiti”. In Italia siamo indietro e l’obiettivo è quello di colmare il gap, mentre in Europa ci sono già alcuni impianti, soprattutto nei Paesi Scandinavi, in Belgio, dove c’è un colosso come Umicore, e in Francia: “Si tratta però di impianti che lavorano principalmente con tecniche pirometallurghiche e solo adesso ci si stanno muovendo per adottare processi combinati piro-idrometallurgici”, aggiunge la ricercatrice.
Un ruolo chiave nel futuro lo potranno svolgere le stesse case automobilistiche come Volkswagen, Stellantis o Renault, riciclando le stesse batterie che producono. Oppure le gigafactory affiancando agli impianti di produzione quelli di riciclo. In Italia sta andando in questa direzione, ad esempio, lo stabilimento di Teverola, in provincia di Caserta, della società Faam. Qui si producono già batterie e sono in corso investimenti per aumentare da un lato la produzione e dall’altra il riciclo. “L’esperienza nasce con il riciclo delle batterie piombo-acido – spiega Federico Vitali, amministratore delegato della società – e adesso ci concentreremo sulle batterie agli ioni di litio”.
Impianti di riciclo su scala industriale sono previsti in altre due gigafactory, italiane, di dimensioni molto superiori agli stabilimenti di Teverola: Italvolt in Piemonte e un impianto di Stellantis a Termoli. Il problema è che nelle ultime settimane sono emersi una serie di ostacoli e rallentamenti con il progetto Italvolt, mentre quello di Stellantis non partirà prima del 2026. Ci sono altre iniziative, come lo stabilimento di Colico della Seval, dedicato al recupero dei materiali delle batterie, ma si tratta di progetti su piccola scala. Quindi per il momento è difficile per il sistema-Paese avere un’idea chiara sul potenziale di riciclo da qui ai prossimi cinque anni: la corsa contro il tempo è appena cominciata.
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