Il problema è noto, le soluzioni pure, eppure l’inquinamento da plastica resta uno dei macigni più inscalfibili dell’economia lineare. I numeri sono impressionanti e, seppur da soli non bastano a rendere in maniera netta gli effetti di una proliferazione così dannosa, sono comunque significativi. Solo nel 2022 il mondo ha prodotto 430 milioni di tonnellate di plastica, secondo i dati dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico): oltre due terzi sono prodotti di breve durata che presto diventano rifiuti, e una quantità crescente (139 milioni di tonnellate nel 2021) dopo un singolo utilizzo.
Se è noto che la produzione e l’uso globale delle plastiche sono cresciuti in modo esponenziale dagli anni ‘50, grazie alle loro caratteristiche di resistenza e di basso costo, il loro uso intensivo ha sì permeato le nostre vite, le nostre società e le nostre economie, ma a un ritmo che si è trasformato in costi significativi per l’ambiente, la salute umana e l’economia. Come si spiega tutto ciò? Banalmente, è una questione di interessi: secondo i dati di UNIDO (Portale dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale) in tutto il mondo sono nove milioni le persone impiegate a livello globale nelle industrie di produzione di polimeri e lavorazione della plastica. Di questo passo la produzione di plastica è destinata a triplicare entro il 2060.
Che fare allora? Prova a dare qualche soluzione UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che opera dal 1972 contro i cambiamenti climatici, a favore della tutela dell’ambiente e dell’uso sostenibile delle risorse naturali. L’ultimo rapporto di UNEP è specificatamente dedicato alla plastica ma, rispetto ad altri report simili, amplia le prospettive già dal titolo: il rapporto infatti si intitola “Turning off the Tap: How the world can end plastic pollution and create a circular economy” (Chiudere il rubinetto: come il mondo può porre fine all’inquinamento da plastica e creare un’economia circolare). In 88 pagine l’agenzia ONU spiega che per avere una reale economia circolare serve un cambiamento di sistema. Ecco come.
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Contro l’abuso della plastica serve un cambiamento di sistema
Il rapporto UNEP, dunque, propone un cambiamento di sistema per affrontare le cause dell’inquinamento da plastica, combinando la riduzione dell’uso problematico e non necessario della plastica con una trasformazione del mercato verso la circolarità di questo materiale. Ciò può essere ottenuto accelerando tre cambiamenti chiave: riutilizzo, riciclo, riorientamento.
Si tratta di soluzioni già disponibili, sottolinea l’agenzia Onu. “Gli studi dimostrano che i sistemi di riutilizzo offrono la massima opportunità di ridurre l’inquinamento da plastica (una riduzione del 30% entro il 2040) sostituendo alcuni dei prodotti più problematici e non necessari – si legge nel report – Accelerare il mercato del riciclaggio della plastica garantendo che il riciclaggio diventi un’impresa più stabile e redditizia potrebbe ridurre la quantità di inquinamento da plastica di un ulteriore 20% entro il 2040. Plasmare il mercato delle alternative alla plastica per consentire sostituzioni sostenibili, evitando così di sostituire i prodotti in plastica con alternative che sostituiscono piuttosto che ridurre gli impatti. Le alternative sostenibili potrebbero ridurre l’inquinamento del 17% entro il 2040”.
Delle tre alternative delineate, però, la seconda e la terza restano al momento problematiche: il riciclo della plastica è a tassi ancora molto bassi mentre le alternative alla plastica, si legge ancora, “faticano a competere sui mercati con prodotti realizzati con polimeri vergini a base di combustibili fossili a causa di una serie di sfide: costo del prodotto, domanda dei consumatori e la mancanza di una regolamentazione adeguata.”
Così, prima ancora di delineare un auspicato cambiamento di sistema, resta da chiarire che “un volume significativo di plastica non può essere reso circolare nei prossimi 10-20 anni e richiederà soluzioni di smaltimento per prevenire l’inquinamento”. Detto ciò, comunque, il cambiamento di sistema che potrebbe essere reso possibile da una globale applicazione dell’economia circolare potrebbe, e dovrebbe, essere già attuato sin da subito. “Sebbene significativi, i costi di investimento del cambiamento dei sistemi sono inferiori all’attuale traiettoria di investimento, circa 65 miliardi di dollari all’anno fino al 2040 rispetto a 113 miliardi di dollari all’anno – si legge ancora nel report di UNEP – Ma il tempo è essenziale: un ritardo di 5 anni potrebbe portare a un aumento di 80 milioni di tonnellate di inquinamento da plastica”.
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I commenti di Greenpeace e Zero Waste al report di UNEP
Seppur zeppo di buoni propositi, il rapporto UNEP non sembra aver soddisfatto alcune delle maggiori realtà che combattono l’inquinamento da plastica. Ad esempio per Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia dal 2015, “il rapporto non affronta il ruolo della produzione di plastica nell’aggravare la crisi climatica e la contaminazione globale. Qualsiasi piano basato su uno scenario che prevede una produzione pari a 100 milioni di tonnellate di plastica all’anno risulterà inadeguato. Sebbene il rapporto riconosca l’importanza del riutilizzo e di una giusta transizione per i lavoratori, ignora in gran parte i problemi ambientali associati alla raffinazione, all’uso, all’incenerimento e allo smaltimento in discarica della plastica – aggiunge Ungherese a EconomiaCircolare.com – Un trattato che non limiti e riduca la produzione di plastica a monte non riuscirà a fornire le risposte di cui il pianeta e le persone hanno urgente bisogno”.
Allo stesso tempo Zero Waste Europe, il newtork internazionale di realtà sociali che si batte per un mondo senza rifiuti, pone una serie di questioni:
- “Allineare il Trattato globale sulla plastica con l’accordo sul clima, vale a dire che la produzione di plastica dovrebbe essere limitata a un livello compatibile con un riscaldamento di 1,5°C;
- Garantire che il campo di applicazione si concentri sull’intero ciclo di vita della plastica, dalla produzione allo smaltimento, compresi gli impatti sociali e sulla salute, invece di concentrarsi solo sui rifiuti di plastica;
- Sottolineare l’importanza del riutilizzo e della prevenzione dando la priorità all’ampliamento delle soluzioni esistenti in settori prioritari come la vendita al dettaglio, le bevande, il cibo da asporto, le consegne e l’e-commerce”.
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A che punto è il Trattato globale sulla plastica?
Il report UNEP assume in ogni caso un significato ancora più significativo perché arriva a pochi giorni dalla seconda sessione del Comitato intergovernativo di negoziazione sull’inquinamento da plastica, che si terrà a Parigi dal 26 maggio al 2 giugno 2023.
L’obiettivo è quello di arrivare a uno strumento legalmente vincolante sulla plastica, vale a dire ad un trattato globale che si possa applicare a tutti i Paesi del mondo, per dare seguito alla storica risoluzione del marzo 2022, firmata in Kenya, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite sull’Ambiente.
Affinché il trattato sia efficace bisognerà innanzitutto definire “il campo da gioco”, scegliendo se limitarsi ai rifiuti da plastica (così come chiedono i produttori) o l’intero ciclo di vita, dall’estrazione dei combustibili fossili necessarie a produrle, al design e alla fabbricazione degli oggetti fino al loro smaltimento (così come richiesto dalle ong). E poi servirà indicare in maniera puntuale i possibili strumenti che ogni Paese dovrà poi applicare.
Una sfida complessa ma urgente, da combattere per tutte le specie che vivono il Pianeta e che sempre più spesso si vedono soffocate dalla plastica prodotta da una sola di queste specie.
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