Un altro passo in avanti per la direttiva che punta a prevenire e mitigare gli impatti delle imprese lungo la catena di fornitura, nota con l’acronimo CSDD, che sta per Corporate Sustainability Due Diligence Directive. Dopo l’approvazione, lo scorso 1 giugno, da parte del Parlamento europeo, la direttiva entra nella fase del processo di negoziazione tra Parlamento, Commissione e Consiglio UE, per raggiungere un accordo sul testo definitivo. Spetterà poi agli Stati membri introdurre le nuove norme nella loro legislazione nazionale. Ma restano alcune questioni aperte sulle quali val la pena soffermarsi.
Nella versione approvata dal Parlamento – 366 voti a favore, 225 contrari e 38 astensioni – le aziende saranno tenute a identificare e, se necessario, prevenire, porre fine o mitigare, l’impatto negativo che le loro attività hanno su diritti umani e ambiente, come il lavoro minorile, la schiavitù, lo sfruttamento del lavoro, l’inquinamento, il degrado ambientale e la perdita di biodiversità. Inoltre dovranno monitorare e valutare l’impatto sui diritti umani e sull’ambiente dei loro partner lungo l’intera catena del valore, compresi i fornitori, la vendita, la distribuzione, il trasporto, lo stoccaggio, la gestione dei rifiuti e altre aree.
Le norme interesseranno le imprese UE con più di 250 dipendenti e un fatturato superiore a 40 milioni di euro, indipendentemente dal loro settore d’appartenenza, e le società “madri” con più di 500 dipendenti e un fatturato superiore a 150 milioni di euro. Saranno incluse anche società con sede fuori dall’Ue aventi un fatturato superiore a 150 milioni di euro, se hanno generato almeno 40 milioni di euro con business all’interno dell’Ue.
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Le novità della direttiva CSDD
Già da tempo il Parlamento europeo aveva costantemente chiesto una maggiore responsabilità aziendale e una legislazione obbligatoria sulla cosiddetta due diligence, vale a dire la trasparenza sui dati e le informazioni. Il punto di partenza è la proposta della Commissione europea, presentata il 23 febbraio 2022. Un testo importante, tra gli altri aspetti, perché integra altri atti legislativi esistenti e futuri, come il regolamento sulla deforestazione, il regolamento sui minerali di conflitto e il progetto di regolamento che vieta i prodotti ottenuti con il lavoro forzato.
Per quanto riguarda il clima, in particolare, la direttiva obbliga le aziende ad adottare degli obiettivi climatici basati sulla scienza e dei piani di transizione coerenti con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura al di sotto degli 1,5°gradi centrigradi dell’Accordo di Parigi. E sarà obbligatorio inserire gli obiettivi climatici nella remunerazione dei top manager.
Per quanto riguarda l’ambiente, il Parlamento ha definito quali sono gli aspetti che devono essere tenuti sott’occhio dalle aziende: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo; degrado degli ecosistemi terrestri, marini e d’acqua dolce, disboscamento, consumo eccessivo di materiale, acqua, energia e altre risorse naturali e produzione dannosa e cattiva gestione dei rifiuti, comprese le sostanze pericolose.
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Le questioni aperte della direttiva CSDD
Uno dei punti della direttiva CSDD su cui si è più discusso nella sede del Parlamento europeo è stata la possibile inclusione delle istituzioni finanziarie tra i soggetti ai quali è richiesta una maggiore trasparenza. Specie perché nel loro caso l’applicazione della due dilingence riguarderebbe l’uso e la destinazione di ingenti investimenti. La bozza approvata dalle deputate e dai deputati dell’Unione europea stabilisce che le regole di due diligence dovrebbero riguardare anche il settore finanziario includendo in particolare gli asset manager e gli investitori istituzionali, ma escludendo i fondi pensione, i fondi di investimento alternativi, gli operatori di mercato e le agenzie di rating del credito. Un chiaro caso di compromesso che potrebbe comportare un’ulteriore spinta al ribasso nella fase di negoziazione tra le istituzioni europee.
Altro punto caldo della CSDD su cui dovrà essere trovato un accordo riguarda gli aspetti delle responsabilità legali dei vertici delle aziende. “Per facilitare l’accesso degli investitori – si legge sul sito del Parlamento europeo – le informazioni sulla politica di due dilingence diligenza di un’impresa dovrebbero essere disponibili anche sul punto di accesso unico europeo (ESAP)”. L’uso dei verbi al condizionale, tuttavia, non è un buon segnale e lascia presupporre che sarà un altro dei temi al centro delle negoziazioni. Staremo a vedere.
“Le società inadempienti saranno responsabili dei danni e potranno essere sanzionate dalle autorità nazionali di vigilanza” si legge ancora sul sito del Parlamento europeo. Già, ma quali autorità? Il testo non lo specifica. Segno che dovranno essere gli Stati nazionali a definire di volta in volta le autorità a cui spetterà il compito di vigilare sul rispetto della normativa e sull’applicazione delle sanzioni per le inadempienze. Un compito non facile. In Italia ad esempio quale sarà l’Autorità preposta? L’Antitrust (Autorità garante della concorrenza e del mercato) o l’Agcm (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni)? E i loro poteri resteranno gli stessi o verranno rafforzati? Domande foriere di conseguenze e alle quali bisognerà rispondere.
Quel che è certo è che le sanzioni previste includono multe pari almeno al 5% del fatturato netto globale dell’azienda che non ha rispettato la direttiva, la possibilità di pubblicare i nomi degli inadempienti (la cosiddetta pratica del “naming and shaming”), il ritiro dal mercato dei prodotti aziendali. L’onere della prova del danno spetterà al ricorrente. Mentre le aziende extraeuropee che non rispettano le regole saranno bandite dagli appalti pubblici nell’Ue. Secondo il testo adottato, i nuovi obblighi si applicherebbero dopo 3 o 4 anni a seconda delle dimensioni della società. Le imprese più piccole potranno posticipare di un altro anno l’applicazione delle nuove norme. Una tempistica che appare eccessivamente dilatata: di trasparenza delle imprese si discute da anni, se non da decenni, e l’aspetto del greenwashing sulle questioni legate alla sostenibilità è uno dei focus più caldi, è proprio il caso di dirlo, che andrebbe risolto prima possibile.
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