Oggi è la Giornata mondiale per la lotta contro la desertificazione e la siccità. La ricorrenza è stata istituita nel 1994 dalle Nazioni Unite. L’edizione 2023 si concentra sui diritti delle donne sulla terra, essenziali per raggiungere gli obiettivi globali di parità di genere e neutralità del degrado del suolo entro il 2030, contribuendo agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile sanciti dall’Onu.
Lo scopo dell’iniziativa è quello di “promuovere la consapevolezza pubblica degli sforzi internazionali per combattere la desertificazione, la perdita di fertilità del suolo e il conseguente degrado delle risorse naturali causati dalle attività umane (inquinamento, eccessivo sfruttamento delle terre, sovrapascolamento, deforestazione, incendi, irrigazione con acque saline)”.
Ma c’è un aspetto che di solito viene poco approfondito quando si parla di scarsità idrica, ed è il nesso con l’energia. Quando si parla di energie rinnovabili, infatti, la nostra attenzione si focalizza sulle due forme più diffuse e potenzialmente più interessanti, vale a dire il fotovoltaico e l’eolico. Ma una delle prime forme di energie rinnovabili che si è sviluppata in Italia è l’idroelettrico. Come scrive Enel, “anche se tra le rinnovabili è la più anziana, nel corso degli anni la continua innovazione ha reso gli impianti idroelettrici sempre più efficienti. Grazie alle attuali tecnologie, è possibile trasformare in elettricità il 90% circa dell’energia dell’acqua, una percentuale quasi tre volte superiore al livello di efficienza delle fonti convenzionali”.
Di fronte a una siccità preoccupante e crescente, dunque, cosa rischia l’Italia dal punto di vista energetico? È il punto di partenza di un report realizzato da Cassa Depositi e Prestiti, che punta a rispondere a quattro domande cruciali:
– Qual è lo stato delle scorte idriche in Italia?
– C’è un rischio di scarsità di acqua nel futuro?
– Quali sono le implicazioni per la sicurezza energetica e la transizione ecologica?
– Come attenuare i rischi legati al cambiamento climatico?
Le risposte, come vedremo, non sono per nulla incoraggianti. O, meglio, serve prendere atto della realtà della crisi climatica in corso e agire per affrontare immediatamente una delle conseguenze più evidenti. Altrimenti la crisi energetica che ci siamo messi alle spalle potrebbe tornare presto, e questa volta potrebbe durare a lungo.
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La scarsità idrica sarà una condizione permanente?
Il lavoro puntuale di Cassa Depositi e Prestiti si apre sin dal titolo con una domanda. Disponibilità idrica e produzione di energia: rischi per la transizione? è la domanda attorno a cui si modellano, in 9 fitte pagine, le riflessioni di Alberto Carriero, Antonello Di Pardo, Alessandra Locarno e Maria Gerarda Mocella, con il coordinamento di Andrea Montanino e Simona Camerano.
“Il cambiamento climatico contribuisce a rendere i flussi d’acqua sempre più irregolari e ad aumentare la frequenza e l’intensità di eventi metereologici estremi – si legge nel report – L’alternanza di tali fenomeni di segno opposto, quali l’innevamento ai minimi storici nei primi mesi 2023 e la recente alluvione in Emilia-Romagna, sono il tratto più evidente del cambiamento climatico. Già il 2022 è stato l’anno più caldo e siccitoso degli ultimi 2 secoli e connotato da una forte accelerazione degli episodi metereologici estremi con implicazioni sulla disponibilità dell’acqua necessaria ai diversi usi”.
Il clima piovoso di maggio e giugno non deve illuderci: il deficit idrico dell’Italia rimane inferiore del 49% rispetto alla media degli ultimi 12 anni. Neanche gli Stati confinanti come Spagna e Francia se la passano meglio, segno che l’intera Europa dovrà imparare ad affrontare una scarsità idrica che si annuncia permanente.
“Oltre ad alterare la portata dei fiumi e dei corsi d’acqua – aggiungono le studiose e gli studiosi di CDP – la carenza di risorsa idrica ha un forte impatto su settori diversi: dall’agricoltura all’energia e all’industria, con notevoli ripercussioni economiche e sociali. A livello europeo si stima che la perdita economica legata alla siccità sia pari a circa
9 miliardi di euro all’anno, dove il settore agricolo è quello più colpito (con perdite tra il
39% e il 60%) seguito da quello energetico (22-48%). In Italia, tra il 2000 e il 2022, i danni dovuti a tale fenomeno sono stati stimati in circa 20 miliardi di euro“.
Uno scenario ancora più drammatico se si pensa che al 2050, secondo gli scenari delineati dal Programma delle Nazioni Unite per il Mediterraneo, la domanda d’acqua raddoppierà o addirittura triplicherà. “In tale contesto – si legge ancora – per garantire la sicurezza
idrica è necessario riorganizzare in modo ottimale il sistema dello stoccaggio
dell’acqua e fondamentale sono i potenziamenti infrastrutturali. Il nostro Paese, infatti, ha la stessa capacità di invaso che aveva mezzo secolo fa, ma con un fabbisogno ed un consumo che sono aumentati. Il 58% delle 531 grandi dighe di cui disponiamo (con 309 invasi ad uso energetico) ha un’età media pari a 65 anni (per gli impianti idroelettrici si raggiungono i 75 anni) e un volume reale di invaso del 35% inferiore al volume invasabile (14 miliardi di metri cubi)”.
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La crisi dell’idroelettrico
In questo scenario, dunque, tra le conseguenze più gravi della siccità c’è proprio la riduzione della produzione del settore idroelettrico. Perché, ovviamente, meno acqua c’è negli invasi meno energia si riuscirà a ottenere. “In questo contesto, il 2022 ha segnato un record negativo, con una contrazione del 38% circa rispetto all’anno precedente – si apprende dal report di CDP – Basti pensare che se negli ultimi anni la produzione idroelettrica rappresentava circa il 15-20% dell’elettricità complessivamente prodotta, nel 2022 il contributo ha raggiunto appena il 10% del totale; un valore così basso non si registrava dagli anni ‘50, quando la capacità produttiva installata tuttavia era circa un terzo
dell’attuale”.
Accanto alla vecchiaia delle dighe, dunque, si aggiunge il problema della siccità: un problema strutturale si affianca a un altro. Ma non tutto è perduto. “Nonostante la performance particolarmente negativa – fa notare Cassa Depositi e Prestiti – l’idroelettrico a fine 2022 è ancora la prima fonte di produzione di elettricità rinnovabile con il 28,4% del totale (39,4% nel 2021). Negli ultimi anni eolico e fotovoltaico insieme hanno raggiunto un livello equivalente e nel 2022 il fotovoltaico ne ha eguagliato il contributo, con il 28% del totale”.
Rispetto a fotovoltaico ed eolico, poi, l’idroelettrico ha un indubbio vantaggio: è in grado sia di garantire flessibilità e continuità energetica e, soprattutto, si integra bene con le altre energie rinnovabili grazie alla funzione dell’accumulo. In più l’idroelettrico, secondo i calcoli di CDP, “presenta i valori di emissioni climalteranti più contenuti durante l’intero ciclo di vitarispetto ad altre tecnologie energetiche (26 tonnellate di CO2 equivalente per GWh, a fronte di 85 del fotovoltaico o di 500 del gas naturale)”. Mentre la costruzione di dighe e invasi, al contrario di eolico e fotovoltaico, non richiede materie prime particolarmente complesse da reperire dato che “si basa prevalentemente su
materiali come cemento e calcestruzzo”.
Insomma: al netto della scarsità idrica, che si preannuncia crescente, converrebbe continuare a puntare su questa forma di energia. “Tale rilevanza – sottolinea il report – risulta ancora maggiore alla luce degli obiettivi di sviluppo fissati dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) e incrementati ulteriormente dal pacchetto Fit for 55, da RepowerEU e dal Piano per la transizione energetica. Il quadro che emerge, infatti, prevede una crescita molto sostenuta delle installazioni da fonti rinnovabili, con una prevalenza di quelle non programmabili”.
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Le soluzioni energetiche alla siccità
Se l’idroelettrico è così fondamentale in Italia, come sostenerlo? Bisognerebbe partire da ciò che abbiamo, o che si attende a breve. Come il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), nella cui bozza il governo Meloni ha evidenziato come “aree di vulnerabilità i sistemi di raffrescamento delle centrali termoelettriche e la produzione idroelettrica”. Ma ciò non può bastare. A proposito di miglioramento dell’esistente, infatti, Cassa Depositi e Prestiti fa notare che “gli interventi di manutenzione e ammodernamento, attraverso anche il ricorso a nuove tecnologie e alla digitalizzazione,possono migliorare la producibilità e la flessibilità degli impianti, riuscendo a garantire buone rese anche in condizioni di minore disponibilità della risorsa idrica, attraverso una regolazione puntuale e precisa dei flussi di acqua e di energia in funzione dei fabbisogni”.
Rispetto alle indicazioni del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica per affrontare la scarsità idrica ciò che si nota, nel report di CDP, è l’assenza di due questioni che invece per il ministro Fratin sono fondamentali: la costruzione di nuovi invasi e di dissalatori per ricavare acqua dolce dal mare. Uno dei punti, invece, su cui bisogna puntare secondo le esperte e gli esperti di Cassa Depositi e Prestiti è “la risoluzione delle criticità connesse al cosiddetto fenomeno nimby (not in my back yard), attraverso un maggior coinvolgimento degli stakeholders a tutti livelli, una comunicazione chiara e trasparente sugli effetti e sulla sicurezza degli interventi. La creazione di un clima favorevole agli investimenti oltre a rispondere alle necessità di sicurezza, resilienza e sostenibilità del sistema energetico, è fondamentale per la tutela di una filiera nazionale che rappresenta un’eccellenza a livello globale: l’Italia è leader nella produzione di tecnologie a servizio del comparto idroelettrico, con un valore della produzione di quasi 28 miliardi e una forte propensione all’export in cui è seconda solo alla Germania in Europa”.
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