Passano dall’Africa le speranze e le preoccupazioni sul trattato globale per la plastica. Il continente africano da tempo sta provando a ritagliarsi un ruolo centrale sulle questioni ambientali, consapevole che è qui che si sviluppano molti aspetti fondamentali: dalla crisi climatica al recupero della biodiversità, dalle soluzioni basate sulla natura all’energia. E non poteva mancare in questo senso il materiale più pervasivo delle nostre vite, con l’Africa che per decenni è stata vista (e lo è tuttora) come la discarica dell’Occidente.
Ora però le cose potrebbero cambiare. A novembre in Kenya si terrà il terzo appuntamento, sui cinque previsti dal percorso dei negoziati, che punta a ottenere un trattato globale sulla plastica entro la fine del 2024. E non è un caso che l’accordo del marzo 2022, sottoscritto da 175 Paesi del mondo su spinta dell’Onu per stilare un trattato giuridicamente vincolante contro l’inquinamento da plastica, sia stato firmato proprio in Kenya, a Nairobi.
Negli scorsi giorni, in vista della terza sessione del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC-3), l’agenzia dell’Onu per l’ambiente ha diffuso la cosiddetta “bozza zero”, nota anche con l’espressione inglese “draft zero”, che dovrà servire come punto di partenza per il confronto collettivo e globale atteso a Nairobi. Il testo si basa sulle opinioni espresse nella prima e nella seconda sessione del Comitato (avvenuta a Parigi) e riflette l’obiettivo e il mandato della risoluzione 5/14 dell’assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Dopo l’ottimismo iniziale di marzo 2022, quando la scelta di lavorare a un trattato globale sulla plastica aveva scomodato aggettivi come “storico” e “vitale”, nei mesi successivi hanno prevalso tatticismi e rallentamenti. Dalla tappa di novembre si attende dunque una ripresa dello slancio. Che poggia però su una bozza che appare ancora timorosa.
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Cosa contiene la “bozza zero” del trattato sulla plastica
C’era molta attesa su questa “bozza zero”, o “draft zero”, perché costituisce le fondamenta delle discussioni che si svolgeranno a Nairobi. La premessa necessaria, prima di addentrarci nell’analisi, è che il testo diffuso – lungo 51 pagine – non costituisce il punto di vista dell’UNEP, cioè l’agenzia Onu per l’ambiente (la quale si è già espressa con un proprio dossier) ma si basa sui contributi forniti dai Paesi nei negoziati precedenti. È, insomma, il più classico dei compromessi, la sintesi delle diverse posizioni in campo e riporta, soprattutto, i punti sui quali fino a questo momento c’è stata una convergenze. Non può essere, dunque, un documento politico ma, allo stesso tempo, data l’assoluta gravità del problema dell’inquinamento da plastica, non si può trincerare dietro una presunta visione tecnica. A leggere il documento, infatti, la sensazione è che ci si muova lungo questo particolare equilibrio, in cui prevale la voglia di non inciampare, a costo di restare fermi.
Per intenderci: la bozza non fissa alcun obiettivo da raggiungere e neppure sceglie gli strumenti più utili per diminuire l’inquinamento da plastica. Indica che l’obiettivo è “porre fine all’inquinamento da plastica, anche nell’ambiente marino, e di proteggere la salute umana e l’ambiente” ma lasciando aperte tutte le opzioni. E dunque:
- “ponendo fine all’inquinamento da plastica;
- basato su un approccio globale che affronta l’intero ciclo di vita della plastica;
- attraverso la prevenzione, la progressiva riduzione e l’eliminazione dell’inquinamento da plastica lungo l’intero ciclo di vita della plastica entro il 2040;
- attraverso, tra l’altro (in corsivo nel testo generale, nda), la gestione dell’utilizzo della plastica e dei rifiuti plastici, contribuendo al contempo al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile”.
Diventa evidente come la scelta di non scegliere lascia sì aperte tutte le porte, a meno di un anno e mezzo di distanza dalla scadenza che ci si è prefissati, e soprattutto ciascuna opzione va in una direzione o nell’altra: continuare a produrre la plastica, cercando di limitare l’inquinamento (e dunque puntando sulle scelte individuali)? agire sulla produzione, attraverso concetti come l’ecodesign e il riuso e la sostituzione con altri materiali? provare a ridurre l’impatto ambientale della plastica, attraverso le buone pratiche industriali? puntare sulla capacità del riciclo di assorbire la plastica in eccesso?
La bozza si limita a citare i diversi temi, quasi tutti collegati all’economia circolare: ecodesign, microplastiche, presenza di sostanze chimiche problematiche, modelli di riutilizzo, responsabilità estesa del produttore, alternative alla plastica, attrezzi da pesca abbandonati, giustizia ambientale, restrizioni all’export di prodotti chimici, manufatti e rifiuti. Per molti di questi temi – ma non per tutti – vengono elencate le diverse opzioni disponibili, dalle più blande agli interventi più radicali. Si tratta di questioni già note da tempo e la cui risoluzione, come già accennato, viene rinviata agli ulteriori negoziati.
Secondo la bozza, infine, una volta raggiunto l’accordo, ogni Paese dovrà mettere a punto e attuare un piano nazionale che soddisfi gli obblighi derivanti dal trattato globale sulla plastica. Se è vero che in teoria si tratta di uno strumento giuridicamente vincolante, e che gli stessi Stati hanno deciso di elaborarlo, è innegabile che l’ONU non ha la capacità politica di imporre alcunché. Toccherà dunque, poi, alle opinioni pubbliche nazionali agire affinché le decisioni prese in ambito globale vengano poi ratificate e attuate a livello locale.
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Le reazioni alla bozza
Di certo la “draft zero” è un contributo utile per la discussione. Ma era lecito attendersi qualcosa di più. È la sensazione più diffusa leggendo le prime reazioni al testo. “È un primo passo importante, ma manca di chiarezza e ambizione sufficienti per affrontare pienamente le conseguenze della plastica sul clima, sulla salute e sull’ambiente” ha affermato Climate Rights International, una ong californiana che si sta distinguendo per gli importanti lavori sulla crisi climatica. “La bozza è vaga e ambigua sotto molti aspetti – prosegue la nota – Infatti verrebbe istituito un meccanismo indefinito per facilitare l’attuazione e il rispetto del trattato. Il progetto, però, non stabilisce standard minimi per i piani nazionali, né attribuisce poteri specifici al meccanismo”.
Preferisce vedere il bicchiere mezzo piano, invece, il WWF, una delle più note ong ambientaliste al mondo, che parla di “molte soluzioni efficaci” e di “diversi elementi di debolezza”. Nella nota pubblicata sul proprio sito il WWF “ritiene sia fondamentale, per eliminare la plastica più dannosa e creare uno standard minimo comune a livello globale, l’inclusione di divieti globali sui prodotti in plastica ad alto rischio, nonché sui polimeri e sugli additivi che destano preoccupazione. La bozza prevede anche la possibilità di sviluppare requisiti comuni di progettazione per i prodotti per garantire un’economia sicura e circolare per la plastica. La bozza fornisce inoltre una buona base per ulteriori discussioni sulla creazione di un forte meccanismo di finanziamento in grado di sostenere l’attuazione in ogni Paese sulla base di un approccio olistico e di solidarietà globale. Tra le opzioni sono inclusi anche diversi articoli non vincolanti che non porteranno il mondo più vicino alla fine dell’inquinamento causato dalla plastica”.
Infine il presidente del World Plastics Council Benny Mermans si è detto “preoccupato per l’assenza di opzioni per accelerare e scalare un’economia circolare per la plastica”.
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