Un fumetto autobiografico e di denuncia, pluripremiato, la cui lettura vi trasformerà, e un saggio per riflettere sulle pratiche comuni dall’attivismo ecologista contemporaneo e nutrire un dibattito lasciando spazio a tutte le sfumature del caso: sono le nostre due proposte di letture per iniziare l’autunno.
Ducks. Due anni nelle sabbie bituminose
Con questo racconto autobiografico a fumetti di Kate Beaton, edito da Bao publishing, approdiamo nelle sabbie bituminose dell’Alberta, a metà degli anni 2000, con lo sguardo di chi non sa dove sta mettendo i piedi. I disastri ecologici che derivano dall’estrattivismo si scoprono insieme alla protagonista arrivata lì per ripagare il suo debito studentesco, senza preoccuparsi degli impatti ecologici di quell’industria così redditizia che ha il permesso di avvelenare i popoli nativi deprivati delle proprie terre.
“Le sabbie bituminose operano su terra rubata. – scrive Kate Beaton nella postfazione – Il loro inquinamento, i campi di lavoro, la popolazione crescente continuano ad avere serie conseguenze sociali, economiche, culturali, ambientali e sanitarie per le popolazioni indigene della regione”.
I numerosissimi casi di tumori legati al petrolio non scuotono l’indifferenza delle multinazionali dai profitti miliardari che, racconta nel fumetto, vanno avanti con la benedizione del governo canadese. Secondo l’Atlante dei conflitti ambientali questa fonte di petrolio è la meno efficiente, più distruttiva e più sporca del mondo: “ciò ha distrutto enormi porzioni della foresta boreale (importante lavello di carbonio), ucciso uccelli migratori e mandrie di caribù e la liscivazione tossica dagli stagni di sterili e l’inquinamento atmosferico ha causato un aumento del 30 per cento dei tumori dal 1995-2006 nelle comunità locali”.
L’ambiente tossico e quasi esclusivamente maschile che circonda Kate Beaton e il 2 per cento di donne che lavorano per Syncrude, Opti-Nexen o Shell è fatto di giornate lavorative di 12 ore, spazi condivisi 24 h intrisi di sessismo, molestie quotidiane e stupri. Il disastro è ambientale e umano in un luogo come quello dei campi di lavoro, che dal mondo reale, quello fuori campo e fuori dai campi, sembra aver preso il peggio. Qui si perdono qualunque coordinate, i camion sono alti come palazzi e tutto è fuori misura.
Eppure, il fumetto di Kate Beaton si sforza di fare spazio alle sfumature. Come scrive nella postfazione “spesso si tende a dipingere le sabbie bituminose dell’Alberta del nord come completamente buone o assolutamente terribili, nella contrapposizione tra lavoro e profitto contro la distruzione progressiva dell’ambiente. Nel mio tempo li, ho imparato che il bene e il male ci sono nello stesso momento e nello stesso luogo, e che le sabbie bituminose sfuggono alle facili caratterizzazioni”.
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Perdita e rigenerazione. Ambiente, arte, politica
A marzo scorso, le proteste di Ultima generazione in piazza della Signoria a Firenze, culminate nel lancio di pittura sulla facciata di Palazzo Vecchio, hanno suscitato l’indignazione e occupato le cronache. Sporcare le opere d’arte famose per attirare l’attenzione sulla situazione climatica e ambientale, è una forma di attivismo che sta facendo molto discutere : è stata adottata da Ultima Generazione ma anche da Just Stop Oil, Extinction Rebellion, la campagna Stop sussidi ai combustibili fossili, e numerosi altri gruppi ambientalisti. La filosofa Judith Butler ha deciso di soffermarcisi con il volume della nuova collana Lo stato dell’arte (edita da Marsilio Arte e curata da Barbara Carnevali) Perdita e rigenerazione. Ambiente, arte e politica che mette proprio al centro il rapporto tra arte, istituzioni e capitalismo.
“Phoebe Plummer, – scrive Butler – ventunenne londinese attivista di Just Stop Oil, ha rilasciato la seguente dichiarazione: ‘cosa vale di più, l’arte o la vita?’. Insieme a lei c’era Anna Holland, vent’anni, di Newcastle. ‘Vale più del cibo? Più della giustizia? Siete più preoccupati di proteggere i dipinti o il pianeta? Le persone?’ “.
A partire da queste domande, che mettono in avanti guerra, pandemia e violenze, Butler riflette su quello che sempre più spesso viene chiamato lutto climatico, o dolore climatico e si interroga sul come si prova a dare senso a quello che viene considerato come inevitabile. Alla radice del mondo che lotta performando la messa a rischio delle opere d’arte c’è la cultura estrattivista e l’esperienza pandemica.
“L’arte può dare una scossa solo se dimostra e documenta la normalizzazione della distruzione – analizza Butler – La normalizzazione del consumo e della produzione di petrolio è un processo di distruzione, e come tale andrebbe presentata. Abbiamo bisogno di forme d’arte che lottino per la vita nel mezzo della distruzione, e al contempo smascherino gli stratagemmi attraverso i quali la rovina si spaccia per progresso o, peggio ancora, per normalità. La teorica ambientale Heather Davis ha coniato la perfetta definizione di archivio performativo del presente.
“Una testimonianza – scrive Davis – che documenta non la condizione delle cose perdute, ma il lutto preventivo e il sentimento perturbante di un mondo ormai scomparso”.
Lungo la riflessione, si apre una strada per un’altra via che faccia emergere nuove interazioni che non siano distruttive ma rigeneratrici di uno spazio vivente. “l punto – afferma Butler – non è se l’arte sia più importante della vita , ma se possiamo vivere, ossia affermare la vita nella sua precarietà, all’ombra di una distruzione imminente”.
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