Che la transizione green debba essere anche un cambio di paradigma dell’attuale modello di sviluppo è ormai chiaro. A digerire più faticosamente questo concetto sono spesso le istituzioni. E in particolare l’Unione Europea. Nonostante gli ultimi anni siano stati contrassegnati da eventi epocali come la pandemia di Covid-19, la guerra in Ucraina e il collasso climatico, gli organi decisionali dell’UE hanno continuato in questi anni a difendere ricette economiche come l’austerità che si sono rivelate fallimentari e incapaci di affrontare l’attuale fase storica. Proprio per questo motivo vanno salutate con favore le scelte delle istituzioni europee che provano a rimettere in discussione equilibri che si ritenevano immodificabili.
Ne è una prova la recente approvazione da parte della Commissione europea di un regime italiano da 1,1 miliardi di euro a sostegno di investimenti per la produzione di attrezzature necessarie a promuovere la transizione verso un’economia a zero emissioni nette, così come stabilito dal piano industriale del Green Deal. “Il regime – si legge in una nota della Commissione – è stato approvato nell’ambito del quadro temporaneo di crisi e transizione per gli aiuti di Stato che la Commissione ha adottato il 9 marzo 2023, e modificato il 20 novembre 2023, per sostenere misure in settori che svolgono un ruolo fondamentale ai fini dell’accelerazione della transizione verde e della riduzione della dipendenza dai combustibili”.
Parallelamente a questa decisione si collega anche un’altra approvazione relativamente agli aiuti di Stato da parte della Commissione europea. Nello specifico l’ok riguarda un regime italiano da 750 milioni di euro a sostegno delle piccole e medie imprese (PMI) e delle imprese a media capitalizzazione nel contesto della guerra della Russia contro l’Ucraina. In sostanza gli aiuti sono rivolte alle pmi colpite dalla crisi energetica dal 2021 a oggi, con i conseguenti prezzi alle stelle soprattutto per quel che riguarda le forniture di gas e le bollette, e assumeranno la forma di garanzie statali, in modo da garantire alle imprese beneficiarie l’accesso a una liquidità finanziaria immediata e sufficiente.
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Un’altra transizione è possibile?
“Il regime garantisce che le eventuali distorsioni della concorrenza rimangano contenute”. Le parole con le quali Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione Ue e responsabile per la Concorrenza, commenta l’approvazione degli aiuti di Stato per l’Italia non sono da sottovalutare. Specie perché, come già accennato, indicano un parziale rovesciamento delle priorità: invece di concentrarsi su uno dei principi cardine del mercato, vale a dire la concorrenza, si preferisce dare priorità agli obiettivi ambientali. E per raggiungerli serve più Stato, altro che meno Stato, perché ciò si traduce, o dovrebbe tradursi, in una partecipazione pubblica e in una visione politica che non sono più rinviabili.
Per comprendere meglio la “nuova” posizione assunta dall’Unione europea è proprio all’Italia che si deve guardare. A gennaio 2024 il Servizio Studi della Camera dei Deputati ha dedicato al tema degli aiuti di Stato un documento di 210 pagine. “L’Unione europea ha intrapreso un percorso di revisione delle regole nell’ottica di consentire agli Stati membri di concedere celermente quegli aiuti cosiddetti buoni – si legge nel documento – che favoriscono investimenti e crescita senza la necessità di un previo esame da parte della Commissione, così consentendo a quest’ultima, secondo l’approccio big on big, small on small, di concentrare le proprie attività di controllo sui casi che rischiano maggiormente di falsare la concorrenza e dunque di maggiore rilevanza per il mercato interno”.
Come ricorderà chi legge questo pezzo, il primo cambio di approccio da parte dell’UE si è avuto col Covid-19, quando nel 2020, di fronte a una pandemia globale di portata devastante, si comprese che da solo il mercato non risolve i problemi, anzi li acuisce con la sua sete di profitto a tutti i costi. Quell’approccio “neostatalista” è stato poi rispolverato dopo lo scoppio della guerra in Ucraina: è il 23 marzo 2022 quando la Commissione modifica e proroga in parte il quadro temporaneo di crisi, per consentire agli Stati membri di avvalersi della flessibilità prevista dalle norme sugli aiuti di Stato per sostenere l’economia nel nuovo contesto bellico. E da lì si arriva a politiche mirate come il Green Deal e il REPower EU, con le quali l’Ue intende “dirigere” gli sforzi dei 27 Stati membri verso la sostenibilità.
“La logica del controllo mirato sugli aiuti per incoraggiare la definizione di politiche di stimolo alla crescita sembra continuare a caratterizzare il processo, in corso, di revisione della disciplina europea sugli aiuti di Stato – riporta ancora il documento della Camera dei deputati – La fase storica attuale è caratterizzata dal passaggio tra la necessità di gestione della non del tutto superata questione energetica legata al conflitto ancora in atto e la necessità di dare attuazione alle misure per la ripresa e la resilienza. Come evidenziato dalla Commissione, l’economia europea si trova a un importante crocevia: da un lato, la necessità di una ripresa economica da una profonda crisi; dall’altro, la necessità di profondi cambiamenti delle pratiche e dei modelli di business e di massicci investimenti a lungo termine, atti a garantire le transizioni verde e digitale e la futura competitività e autonomia strategica aperta dell’Unione in un contesto globale”.
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Cosa verrà finanziato in Italia con gli aiuti di Stato “green”
È da questo contesto che si arriva alla doppia decisione della Commissione, che nell’arco di pochi giorni ha approvato due grossi aiuti di Stato. Nel primo caso, quello da 1 miliardi e 100 milioni di euro che sarà parzialmente finanziato attraverso il dispositivo per la ripresa e la resilienza, l’aiuto assumerà la forma di sovvenzioni dirette. L’importo massimo dell’aiuto per beneficiario sarà di 150 milioni di euro, cifra che può essere aumentata fino a 200 milioni di euro per alcuni beneficiari particolari.
Della misura potranno beneficiare le imprese che producono attrezzature pertinenti, vale a dire batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori, strumenti per la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, nonché componenti essenziali progettate e principalmente utilizzate come fattori di produzione diretti per la fabbricazione di tali attrezzature o le relative materie prime essenziali necessarie per la loro fabbricazione.
La Commissione ha constatato che il regime italiano rispetta le condizioni stabilite nel quadro temporaneo di crisi e transizione, con gli aiuti di Stato che saranno concessi entro il 31 dicembre 2025. La Commissione ha concluso che il regime italiano è necessario, adeguato e proporzionato al fine di accelerare la transizione verde e agevolare lo sviluppo di talune attività economiche che rivestono importanza per l’attuazione del piano industriale del Green Deal.
L’altra approvazione sugli aiuti di Stato riguarda i 750 milioni di euro che il governo italiano intende fornire alle piccole e medie imprese alle prese con i prezzi alle stelle derivanti dalla crisi energetica del 2021. Per la Commissione gli aiuti dovranno essere concessi entro il 30 giugno 2024. Questa volta la garanzia non supererà i 280.000 euro per la singola azienda attiva nella produzione primaria di prodotti agricoli, i 335.000 euro per la singola azienda attiva nei settori della pesca e dell’acquacoltura e i 2 milioni di euro per la singola azienda attiva in tutti gli altri settori. Una decisione che per il Corriere della Sera è perfino limitante, se si pensa che alla Germania sono stati concessi aiuti di Stato per una cifra dieci volte superiore.
“D’altronde qual è il limite agli aiuti pubblici per sostenere le imprese? – si domanda il Corriere – L’Ue deve procedere o no con il fondo per finanziare le aziende strategiche? E quanto ha cambiato lo scenario competitivo mondiale la decisione americana di varare un piano da 370 miliardi di dollari (l’Inflaction reduction act) a favore delle imprese presenti negli Usa? In questo contesto geopolitico l’Europa ha deciso di venire in supporto delle sue imprese. Ora lo fa con l’Italia che aveva denunciato una sproporzione rispetto agli aiuti concessi ad altri Paesi”.
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La strada della transizione è pubblica
Nonostante gli indubbi passi in avanti restano alcuni dubbi. Innanzitutto perché gli aiuti di Stato non dovrebbero riguardare solo le imprese ma anche le realtà sociali e le singole persone. E poi c’è il problema della mancata trasparenza. Cosa verrà supportato in concreto dall’Italia con questi (quasi) due miliardi di euro? Per saperlo abbiamo provato a consultare il registro degli aiuti di Stato del sito web della Commissione, nonché il bollettino elettronico di informazione settimanale in materia di concorrenza (Competition Weekly e-News). Se è vero che da questi portale è possibile accedere al documento presentato dal governo Meloni, si resta delusi dalla vaghezza dei contenuti. Dalle 12 pagine del documento si apprendono pochi punti essenziali:
1) “le autorità italiane hanno spiegato che strutturalmente l’Italia non è in grado di soddisfare la domanda di tecnologie a basse emissioni di carbonio, che è in progressivo aumento negli anni”;
2) l’ente erogatore degli aiuti di Stato è il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, mentre l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa (Invitalia) è responsabile della gestione del regime di aiuti;
3) le misure non potranno in alcun modo essere utilizzate per indebolire gli effetti previsti delle sanzioni imposte dall’Unione o dai suoi partner internazionali;
4) i beneficiari devono impegnarsi a mantenere gli investimenti nell’area interessata per almeno cinque anni, o tre anni per le PMI, dopo il completamento dell’investimento;
5) a determinate condizioni gli aiuti di Stato possono essere cumulabili.
Troppo spesso in passato gli aiuti di Stato, come riconosce il Servizio Studi della Camera dei Deputati, hanno costituito “uno strumento di politica economica suscettibile di determinare, se selettivo ed ingiustificato, una distorsione della concorrenza e di restringere la libera circolazione delle merci e dei servizi”. Tuttavia la strada, cioè quella di un rinnovato protagonismo degli Stati e di un ritorno delle politiche pubbliche, resta tracciata. “Il sostegno agli ambiziosi obiettivi di ripresa e resilienza, connessi a quelli in materia di clima, energia e ambiente, informa la revisione della disciplina ordinaria sugli aiuti di Stato – si legge ancora – La revisione in corso delle norme in materia di aiuti di Stato (Regolamenti di esenzione e Regolamenti “de minimis” e Orientamenti della Commissione) è dunque prioritariamente finalizzata a supportare gli investimenti, garantendone la coerenza con i principi, sia consolidati che nuovi, del Green Deal europeo, cui sono informati il Piani nazionali di ripresa e resilienza, come il principio chi inquina paga e del non arrecare un danno significativo (DNSH)”.
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