giovedì, Novembre 6, 2025

Clean Industrial Deal, commenti dal mondo produttivo, associativo, politico

Da Confindustria alla Confederazione dei sindacati europei, da Fratelli d’Italia ai Vedi, dal WWF a CAN Europe: una sintesi dei commenti al Clean Industrial Deal presentato dalla Commissione europea

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Redazione EconomiaCircolare.com

Vi abbiamo raccontato ieri il Clean Industrial Deal appena presentato dalla Commissione europea. Oggi è la volta dei commenti: quelli dal mondo produttivo (associazioni di imprese e sindacati), dalle associazioni ambientaliste, e poi quelli di alcuni esponenti politici. Senza, ovviamente, pretesa di esaustività.

 

Le associazioni ambientaliste

Climate Action Network (CAN) Europe. CAN Europe “accoglie con favore l’impegno dell’UE per l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2040, la circolarità e l’espansione delle energie rinnovabili. Tuttavia, il pacchetto manca il bersaglio per quanto riguarda la rottura della dipendenza dai combustibili fossili dell’UE, non riesce a garantire ulteriori finanziamenti dell’UE per una transizione verde e giusta e cede terreno all’influenza delle imprese, facendo retrocedere leggi vitali sull’ambiente e sulla responsabilità delle imprese sotto la falsa promessa della semplificazione”. Chiara Martinelli, direttrice di CAN Europe: Sebbene il Clean Industrial Deal affermi di porre la decarbonizzazione al centro, il diavolo si nasconde nei dettagli e le ambizioni di alto livello non corrispondono alle proposte reali. Non è quello che la Commissione aveva promesso durante le audizioni dello scorso autunno. Con la spinta alla deregolamentazione e nessun piano concreto per mobilitare veri finanziamenti aggiuntivi, c’è poco da fare per trasformare l’ambizione in azione. L’unica vera urgenza dell’accordo sembra essere l’indebolimento delle regole di rendicontazione, non la garanzia che le aziende contribuiscano a un’economia equa, competitiva e a prova di clima“.

European Environmental Bureau (EEB). il Clean Industrial Deal “nasconde sporche concessioni”, secondo EEB. “Sebbene il pacchetto non faccia deragliare il Green Deal, ne indebolisce l’approccio olistico, utilizzando la competitività come falso pretesto per giustificare concessioni inaccettabili agli inquinatori”. Tra gli aspetti positivi, EEB sottolinea il fatto che il CID sia uno strumento forte per la decarbonizzazione industriale. Ma ne rimprovera l’ambito di applicazione limitato, “che favorisce solo l’industria ad alta intensità energetica”; rimprovera che il clean deal ignora l’inquinamento e, ad esempio, che l’industria chimica “sfugge ai controlli, senza piani per la disintossicazione, il monitoraggio o la bonifica dei suoi processi e siti”; che gli investimenti messi in campo “sono di gran lunga inferiori a quanto necessario. L’UE deve creare uno spazio fiscale per una vera trasformazione industriale verde attraverso prestiti congiunti e un bilancio più ampio, con forti condizionalità ambientali e sociali per garantire che serva l’interesse pubblico”; secondo EEB il deal “manca di dettagli concreti e di misure per applicare il principio chi inquina paga“.

Friends of the Earth Europe. Secondo l’associazione, “l’ambizione verde è la più grande perdente nel gioco della deregolamentazione dell’Ue”. La Commissione europea “ha presentato un pacchetto di misure legislative (Clean Industrial Deal, Action Plan for Affordable Energy e Omnibus) che “ponendo l’accento sulla deregolamentazione e sui sussidi incondizionati, rappresentano un’inversione di rotta rispetto al pacchetto Green deal dell’Ue”. Invece di garantire che “ogni persona, comunità e impresa possa beneficiare della transizione pulita e che i diritti umani siano protetti dai danni delle imprese, l’UE sembra dare la priorità ai sussidi alle industrie che scelgono di pagare gli azionisti piuttosto che gli investimenti verdi”. Ha commentato Kim Claes: Il Clean Industrial Deal dà chiaramente la priorità agli interessi delle imprese rispetto all’azione per il clima e al benessere pubblico. L’idea che l’industria abbia bisogno di più capitale per decarbonizzarsi è ingannevole: l’allentamento delle norme sugli aiuti di Stato e l’utilizzo di fondi pubblici per “de-rischiare” gli investimenti privati non guideranno la transizione necessaria. Invece di versare denaro pubblico nelle casse delle imprese, i politici devono imporre condizioni ambientali e sociali rigorose sui finanziamenti, reindirizzare gli investimenti verso industrie veramente pulite e porre fine a tutti i sussidi per i combustibili fossili e le pratiche inquinanti”.

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Greenpeace. Ha detto Lorelei Limousin, campaigner per il clima dell’associazione: “I dati della stessa Commissione UE dimostrano che le energie rinnovabili e la riduzione degli sprechi energetici potrebbero far diminuire rapidamente le importazioni di combustibili fossili – e con esse l’inquinamento climatico, le bollette e la dipendenza energetica. Questa Commissione è vaga sulla riduzione degli sprechi energetici mentre, per placare Trump, vuole investire in infrastrutture inquinanti per il gas all’estero che terranno l’Europa legata a questo combustibile costoso e pericoloso per decenni. La Commissione si è anche piegata alla lobby del nucleare e sta pensando di finanziare questo settore decrepito e costoso. Questi piani sono un’ancora di salvezza per le industrie inquinanti in difficoltà e in cerca di denaro pubblico, ma lasciano la gente comune ancora in difficoltà nel riscaldare le proprie case”.

Legambiente. “L’adozione del Clean Industrial Deal – ha commentato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – rappresenta un’opportunità da non sprecare per mettere in campo un’ambiziosa politica industriale, strettamente integrata con gli obiettivi del Green Deal. Ed affermare così la leadership europea nel mercato globale delle tecnologie pulite, che l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) valuta in almeno 2mila miliardi di dollari entro il 2035. Solo in questo modo sarà possibile accelerare la transizione verso un’economia europea libera da fonti fossili, circolare ed a zero emissioni. Ben venga perciò il contributo del Piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili, che deve mettere in campo misure ambiziose non solo per le rinnovabili ma anche per l’efficienza energetica. A condizione, però, che non si ceda alle sirene della deregulation come invece sta purtroppo accadendo per il primo Pacchetto Omnibus di semplificazione, riguardante la rendicontazione di sostenibilità delle imprese, del loro dovere di diligenza ai fini della sostenibilità e della tassonomia ossia del regolamento sulla classificazione comune delle attività economiche sostenibili. Si tratta di una vera e propria deregulation dell’attuale normativa sulla finanza sostenibile. Un preoccupante passo indietro che non aiuta la competitività delle imprese europee ed ostacola la promozione di pratiche commerciali responsabili, di protezione dei diritti umani e del lavoro, dell’ambiente, e di rafforzamento della capacità produttiva delle filiere nazionali e internazionali secondo i più elevati standard di qualità sociale e ambientale”.

WWF. Secondo il WWF, il CID “prevede una serie di misure positive per potenziare i settori e i prodotti delle tecnologie pulite in Europa”. Tuttavia, “non riesce a fornire una visione chiara, ambientalmente sostenibile ed equa per la trasformazione industriale in Europa. Per essere veramente efficace, l’accordo deve garantire certezza normativa, fornire investimenti mirati verso soluzioni verdi, portare a impegni concreti da parte delle industrie per la decarbonizzazione e avere una solida base di giustizia sociale”. L’associazione riconosce che nel progetto sono presenti “iniziative promettenti, per esempio la creazione di mercati da cui partire per la diffusione di prodotti decarbonizzati come l’acciaio a basse emissioni di carbonio, integrando criteri non legati al prezzo nei finanziamenti dell’UE”. E poi “la forte ambizione di posizionare l’UE come leader globale nell’economia circolare entro il 2030 nonché il suo prossimo piano per sostenere l’energia e l’elettrificazione a prezzi accessibili”. Ma “la CID manca ancora di una chiara visione a lungo termine per affrontare le principali sfide di decarbonizzazione che le industrie ad alta intensità energetica devono affrontare, oltre a concedere loro un sostegno finanziario pubblico senza alcuna garanzia di decarbonizzazione e di mantenimento o creazione di posti di lavoro nella UE”. Ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia: “La Commissione sembra aver ceduto alle richieste di sgravi a breve termine da parte dell’industria pesante, come un più facile accesso ai fondi UE, senza richiedere loro forti impegni, lasciando da parte la decarbonizzazione e gli impegni sociali. Invece di impostare una rotta per la trasformazione, si accontenta di restare a galla, eppure se c’è un momento per guidare e innovare è proprio questo”.

Zero Waste Europe. Aline Maigret, responsabile delle politiche di Zero Waste Europe, ha affermato che “il Clean Industrial Deal definisce un quadro di alto livello che non si spinge abbastanza in là per liberare il potenziale dell’economia circolare. Le misure di circolarità, e il Clean Industrial Deal in particolare, dovrebbero servire da bussola per trasformare il modo in cui consumiamo e produciamo, dare potere alle comunità e costruire economie resilienti attraverso la creazione di posti di lavoro nei settori circolari. L’impatto del CID dipenderà dai dettagli che emergeranno in seguito”. Inoltre, poiché sono previsti ingenti finanziamenti pubblici, la trasparenza e l’inclusione saranno fondamentali: “il Clean Industrial Dialogue on circularity è un passo positivo – ha aggiunto Maigret – a condizione che la società civile abbia un posto al tavolo e che tale dialogo sia esteso a tutti i temi del CID”.

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Il mondo produttivo

BusinessEurope. Il direttore generale di BusinessEurope (La confederazione delle imprese europee) Markus J. Beyrer ha dichiarato: “È incoraggiante vedere che la Commissione ha ascoltato l’industria e ha riconosciuto l’urgente necessità di ridurre il differenziale di costo dell’energia rispetto ai nostri principali concorrenti, accelerare e semplificare le procedure di autorizzazione e aumentare la domanda di prodotti circolari e a basse emissioni di carbonio”. Tuttavia, ha aggiunto, “a nove mesi dalle elezioni europee, abbiamo urgentemente bisogno di misure più rapide e d’impatto. È improbabile che le misure proposte oggi siano sufficienti a ridurre i costi energetici nel breve periodo. Non possiamo aspettare la fine dell’anno per azioni cruciali come quelle che dovrebbero essere incluse nella legge sull’acceleratore della decarbonizzazione industriale. Inoltre, la “neutralità tecnologica” non deve essere solo una dichiarazione di intenti, ma deve essere applicata in modo coerente a tutte le iniziative del Clean Industrial Deal”.

Confindustria. “Siamo tutti europeisti, ma quello che è uscito da Bruxelles, sul pacchetto Omnibus e sul Clean Industrial Deal, sono misure insufficienti”, ha detto Emanuele Orsini, presidente di Confindustria. “I tempi sono cambiati e le azioni dell’Europa devono sterzare decisamente per tutelare le imprese e le famiglie. Le democrazie occidentali si basano sul patto tra impresa e lavoro: mettiamoli finalmente al centro con azioni decise’, continua Orsini. ‘Costo dell’energia, sburocratizzazione, transizione ambientale e credito sono aree su cui si deve intervenire…ieri. Chiediamo alle forze politiche e alle parti sociali un patto bipartisan per il Paese e per l’Europa. Usa, Cina, India, si sono date una visione e la perseguono. Serve che l’Europa faccia lo stesso, subito’, ha concluso il presidente di Confindustria.

EURATEX. L’associazione che riunisce l’Industria tessile e dell’abbigliamento europea accoglie con favore il Clean Industrial Deal come quadro fondamentale per sostenere la competitività industriale”. Tuttavia, le discussioni tra gli industriali presenti ad Anversa alla presentazione del Clean Industrial Deal “hanno sottolineato la realtà che, senza un’azione rapida e mirata, il settore tessile europeo rimarrà a serio rischio. I prezzi elevati dell’energia, la complessità normativa e la concorrenza sleale delle importazioni che non rispettano gli standard dell’UE rendono sempre più difficile per i produttori rimanere a galla”. “Abbiamo bisogno di condizioni di parità, in particolare per quanto riguarda le piattaforme online che eludono gli standard di qualità e sostenibilità stabiliti”, ha detto il presidente di EURATEX Mario Jorge Machado. Che relativamente agli obiettivi climatici, ha aggiunto: “Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità, ma se vogliamo salvare il pianeta non possiamo farlo da soli. L’Europa rappresenta meno del 10% delle emissioni globali di CO₂ nel settore tessile, eppure stiamo imponendo a noi stessi leggi severe sulla sostenibilità, mentre le importazioni non sostenibili conquistano il mercato. Se continuiamo così, non facciamo altro che esternalizzare l’inquinamento in altre regioni e chiudere le fabbriche europee“. Secondo Machado, “Dobbiamo spostare l’attenzione dalla sola pressione sui produttori affinché adottino pratiche sostenibili all’incentivazione attiva dei consumatori e dei committenti pubblici a scegliere opzioni sostenibili. Se il costo della sostenibilità non è coperto dal cliente, sarà sostenuto dal pianeta”.

EuRIC. Ha commentato Julia Ettinger, segretario Generale dell’associazione dei riciclatori europei: “Il Clean Industrial Deal deve guidare l’azione, non solo l’ambizione. L’UE dispone ora di tutti gli strumenti necessari, dalla legge sulle materie prime critiche alla NZIA e allo stesso Clean Industrial Deal. La sfida è ora quella di usarli in modo efficace. I riciclatori hanno urgentemente bisogno di sostegno per combattere i prezzi dell’energia alle stelle, la debolezza della domanda e l’eccesso di burocrazia. Non ci possono essere decarbonizzazione e competitività senza circolarità, e non c’è futuro sostenibile senza una forte industria del riciclo”. Secondo i riciclatori, il Clean Industrial Deal “non è in grado di fornire le misure coraggiose necessarie per raggiungere gli obiettivi indicati”. Ad esempio l’obiettivo del 24% di utilizzo di materiali circolari entro il 2030, “manca di meccanismi concreti per raggiungerlo. Come può l’Europa raggiungere questo obiettivo se i settori del riciclaggio in difficoltà – plastica, tessile e pneumatici – sono lasciati senza sostegno?”, chiede EuRIC. Inoltre, la CID “si concentra pesantemente sulle materie prime critiche (CRM), che rappresentano solo una frazione dei flussi di materiali circolari in Europa, senza proteggere le industrie già alle prese con una domanda bassa e costi crescenti”.

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ETUC – European Trade Union Confederation. “Per i lavoratori non c’è tempo da perdere. Molti dei posti di lavoro che queste misure mirano a salvare non esisteranno più se ritardiamo l’azione fino a dicembre. Chiediamo che l’attenzione per i lavoratori non venga trattata come un’aggiunta, ma come un elemento strutturale con lo stesso livello di urgenza del resto dell’accordo”, ha commentato la segretaria generale ETUC – Confederazione Europea dei Sindacati, Esther Lynch. “Sono necessari investimenti straordinari – ha aggiunto -. Le aziende che beneficiano degli investimenti devono essere obbligate a garantire un piano per la forza lavoro, un piano negoziato con i sindacati, che protegga e crei posti di lavoro di qualità e che tenga conto delle esigenze di occupazione e di competenze, nonché della formazione durante l’orario di lavoro, in modo che i lavoratori possano realisticamente accedere all’aggiornamento o alla riqualificazione.”

Secondo la confederazione “devono essere applicate condizionalità sociali in modo che i lavoratori beneficino del sostegno all’industria, anche per promuovere la contrattazione collettiva”. Serve formazione: “La formazione delle competenze è necessaria, ma la Confederazione avverte che le misure proposte nel Clean Industrial Deal non saranno disponibili per i lavoratori senza garantire loro il diritto alla formazione durante l’orario di lavoro e senza costi”.

FEAD. L’Associazione europea per la gestione dei rifiuti (FEAD – European Waste Management Association), “accoglie con favore la pubblicazione del Clean Industrial Deal della Commissione europea, in particolare la sua ambizione di posizionare l’UE come leader mondiale nell’economia circolare entro il 2030. La Commissione riconosce giustamente che la circolarità è fondamentale per massimizzare le risorse limitate dell’Europa, ridurre le dipendenze, aumentare la resilienza e creare un modello industriale più competitivo e a basse emissioni di carbonio”. Tuttavia, afferma, “per rendere la circolarità una vera priorità, la gestione dei rifiuti e il riciclaggio devono essere resi più competitivi rispetto ai materiali vergini. Ciò richiede una serie di misure forti per garantire che i riciclati siano la scelta preferita nel mercato dell’UE”.  

L’associazione sostiene gli appalti pubblici verdi obbligatori e gli obiettivi orizzontali di contenuto riciclato per stimolare la domanda di materiali riciclati, ma avverte che “questi obiettivi non devono essere diluiti con l’inclusione di rifiuti pre-consumo o di materiali a base biologica, poiché questi ultimi spesso provengono da fonti vergini e non contribuiscono alla vera circolarità”. Chiede di evitare “restrizioni artificiali” al riciclo come il riciclaggio a ciclo chiuso (closed loop) o le tasse sull’esportazione dei rifiuti: “Invece di tasse sull’esportazione, l’UE dovrebbe incentivare il mantenimento di materiali preziosi all’interno dell’Europa attraverso misure economiche positive”.

Clean industrial Deal
Foto: Commissione Ue

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La politica

Carlo Fidanza (FdI). “Il Clean Industrial Deal ha certamente il pregio di affrontare le sfide della sostenibilità e della competitività dal punto di vista industriale. Di fronte alla mole di provvedimenti previsti ci auguriamo che il cambio di passo non sia soltanto nel lessico ma anche nelle misure concrete”, ha dichiara il Capodelegazione di Fratelli d’Italia-ECR al Parlamento europeo, Carlo Fidanza. “Sburocratizzazione delle procedure, reciprocità con i produttori extra-Ue, strumenti fiscali equi e accessibili a tutti gli Stati membri, sicurezza energetica, neutralità tecnologica e non solo elettrificazione. Sono queste le soluzioni concrete per lasciarci alle spalle la buia stagione dell’ambientalismo ideologico dello scorso mandato. Se invece qualcuno, nella Commissione e tra i suoi burocrati, pensa a questo nuovo piano come a un Green Deal cambiato di nome se la vedrà con un Parlamento pronto a far valere il peso del mandato popolare ricevuto lo scorso giugno”.

Elisabetta Gualmini (Pd). “Finalmente un approccio pragmatico e concreto capace di garantire competitività e crescita in Europa nel rispetto degli obiettivi green ma con maggiore realismo e meno ideologia”. Così Elisabetta Gualmini, europarlamentare del Partito Democratico, ha commentando il Clean Industrial Deal. “Oltre 100 miliardi di euro e misure di semplificazione entro giugno sono infatti il segno di un cambio di passo e di una svolta da tempo attesa. Nel mandato scorso abbiamo osservato inutili e opposte tifoserie tra i sostenitori dell’ambientalismo a tutti i costi e i sostenitori di un approccio pro-industria. Rilancio dell’industria e lotta ai cambiamenti climatici sono due facce della stessa medaglia: se la crescita e la sostenibilità non vanno di pari passo, imprese e lavoratori ne pagheranno le conseguenze. Per questo dobbiamo promuovere il settore industriale europeo, in particolare le imprese energivore, senza punirle con una gabbia di regole opprimenti e senza fissare obiettivi irrealizzabili. Questo Piano assicura il cambio di direzione verso un approccio più pragmatico, senza farsi abbindolare né dal negazionismo populista né dall’ambientalismo utopico, ma proponendo un’alleanza con il settore industriale europeo per affrontare questa fase storica”.

Benedetta Scuderi (Verdi). “Come Verdi siamo felici di constatare che lo scopo del Green Deal non è stato annullato con la presentazione del Clean Industrial Deal, ma un primo campanello d’allarme è dato dal fatto che non sono presenti obiettivi chiari sull’uscita dal fossile, che per noi è una priorità, anche perché sono questi i fattori che ci tengono ancorati a prezzi dell’energia molto alti e a Paesi terzi poco democratici e affidabili”. Così l’europarlamentare dei Verdi Benedetta Scuderi. Scuderi punta il dito anche sulla mancanza di azioni su inquinamento e perdita di biodiversità e di un piano per l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili. Soprattutto, aggiunge, “siamo di fronte ad un sistema di governance debole: il riferimento è alla mancanza di un quadro partecipativo e scientifico per una transizione socialmente equa. In questo senso, anche la proposta Omnibus pone rischiosi limiti alla tutela dei diritti ambientali, umani e sociali, indebolendo ulteriormente la governance stessa”. 

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