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giovedì, Novembre 14, 2024

L’acqua in brick invade il mercato. Ma è davvero meglio della plastica?

Dai vagoni dell’alta velocità alle apparizioni durante alcuni eventi sportivi, fino a Ecomondo 2021: capita sempre più spesso di vedere le bottigliette di plastica da mezzo litro sostituite con i brick. Proviamo a capire quanto sono effettivamente riciclate e quanto sono sostenibili

Silvia Ricci
Silvia Ricci
Collabora dal 2009 con l’Associazione Comuni Virtuosi come referente Economia Circolare nella realizzazione di iniziative attinenti alla prevenzione dei rifiuti da imballaggio rivolti ai diversi pubblici. Scrive per il sito Comuni Virtuosi e altre testate su tematiche attinenti alla progettazione e gestione circolare dei manufatti monouso. Dal 2022 coordina la campagna nazionale “A Buon Rendere - molto più di un vuoto”, per una veloce introduzione di un Sistema Cauzionale per imballaggi monouso per bevande

Dai vagoni dell’alta velocità alle apparizioni durante alcuni eventi sportivi, fino allo sbarco in pompa magna a Ecomondo 2021. Un mese fa, alla fiera di Rimini, l’azienda modenese Acquainbrick Srl ha “colonizzato” l’evento dedicato alla tecnologia green sostituendo in tutti gli spazi di ristoro le bottigliette di plastica da mezzo litro con il suo brick della stessa capienza, acquistabile al costo di due euro al pezzo. All’insegna del motto “Less plastic more life”, i contenitori azzurri hanno scalzato perfino il punto di erogazione d’acqua fresca presente nell’edizione 2019, mentre alle casse dei punti ristoro un cartello spiegava che i brick contenenti acqua di rubinetto “microfiltrata/osmotizzata ad osmosi inversa” supportano la transizione ecologica.

Lacqua personalizzata riduce davvero l’impatto?

L’idea alla base del progetto commerciale di Acquainbrick, come ha raccontato durante un recente intervento a Tutto Food l’amministratore delegato Cristiano Creati, è quella di ridurre l’impatto ambientale dei gadget. L’azienda, entrata a far parte del gruppo LY Company, primo produttore al mondo di acqua in cartone, si pone l’obiettivo “di sostituire sempre di più le classiche bottigliette in plastica fossile con altrettanti contenitori di cartone offrendo alle aziende la possibilità di brandizzare un brick e avere un’acqua personalizzata”. “Oggi possiamo dire di essere il quarto polo produttivo di acqua in cartone in Italia, il primo con una produzione etica e coerente con la nostra mission: solo carta, no plastica e vetro nelle nostre linee di imbottigliamento” ha precisato in un’intervista Creati.

Ma è proprio così sostenibile questa opzione? Basta davvero sostituire un materiale con un altro per poter parlare di transizione ecologica?

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Tutto riciclabile… ma è sufficiente?

Vediamo innanzitutto di cosa sono fatti questi contenitori. Si tratta di un poliaccoppiato, vale a dire un materiale a più strati: polietilene vegetale (HDPE 2 – 76% Plant-Based, si legge nella scheda tecnica), strato adesivo impermeabile, carta da foreste certificate e alluminio che protegge il liquido da luce, ossigeno e odori. Per chiuderlo, un tappo di plastica vegetale certificata. Sul proprio sito, l’azienda che propone bevande in imballaggi “on the go” (pensati cioè per essere utilizzati fuori di casa) racconta che “il contenitore di cartone è composto da oltre il 70% di materia prima di origine vegetale (72% per il volume 330ml, 76% per quello da 500ml) ed è completamente riciclabile”. Quello che l’azienda sa ma non è tenuta a comunicare, però, è che una volta raccolto separatamente – ammesso che ci si riesca, trattandosi di un prodotto che si usa mentre ci si sposta – difficilmente questo tipo di confezione sarà davvero riciclata, perché sono pochi nel nostro Paese gli impianti che lo fanno. Il riciclo di questi imballaggi, infatti, rappresenta una sfida per le cartiere convenzionali, come spieghiamo qui.

Al momento non risultano studi che attestino in modo inequivocabile che l’acqua in brick si possa considerare un’opzione “migliore” della bottiglia di plastica che si propone di sostituire. E seppure non volessimo considerare la necessità di ridurre il ricorso all’acqua imbottigliata in favore di quella “del sindaco”, resta il fatto che le bottiglie in PET, al contrario dei contenitori in poliaccoppiato, sono facilmente riciclabili e per giunta si possono ormai realizzare con plastica riciclata e percentuali minime di polimero vergine.

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Le aspettative di crescita degli obiettivi di riciclo

A questa si aggiunge un’altra considerazione: l’attuale tasso di raccolta differenziata di bottiglie in PET, che si attesta al 58%, è destinato ad aumentare sensibilmente nei prossimi anni. Gli obiettivi di raccolta imposti dalla direttiva SUP – il 77% entro il 2025 e al 2030 il 90% dell’immesso al consumo – e i target di contenuto riciclato obbligatorio per le bottiglie, spingeranno anche l’Italia ad adottare sistemi cauzionali, il cosiddetto Deposit Return System (DRS): peraltro è stata approvata pochi mesi fa una norma che va proprio nella direzione di introdurre un DRS e che ora attende l’emanazione di un decreto attuativo dal parte del ministero della Transizione ecologica.

Lo stesso scenario è difficile da ipotizzare invece per la raccolta e il riciclo dei cartoni per bevande: come riporta nel suo ultimo Rapporto di sostenibilità (riferito al 2020) Tetra Pak – la cui produzione di cartoni in poliaccoppiato per bevande e alimenti rappresenta l’80% del mercato globale – solamente il 27% dei 183 miliardi di pezzi immessi al consumo a livello mondiale nel 2020 è stato riciclato. Ora il nuovo obiettivo del maggior fornitore di imballaggi per alimenti al mondo è arrivare in Europa al 70% di riciclo entro il 2025, e al 90% entro il 2030. Va registrato però che i precedenti obiettivi di riciclo non sono stati raggiunti, incluso l’auspicato raddoppio del tasso di riciclo globale, che avrebbe dovuto arrivare al 40% già nel 2020. Il report parla di un lavoro durato “molti anni per sviluppare la raccolta e le infrastrutture per il riciclaggio costruendo partenariati efficaci a livello locale e regionale e un investimento complessivo pari a 23 milioni di euro (2012-2019) che ha contribuito a far crescere il numero degli impianti che riciclano i cartoni per bevande dai 40 del 2002 agli oltre 170 di oggi”. Ad oggi, però, i risultati parlano di un incremento di 3 punti percentuali in 5 anni.

Tasso riciclo Tetra pak [https://www.tetrapak.com/sustainability/planet/environmental-impact/a-value-chain-approach/sustainability-measuring-and-reporting/envir-performance-data]

Pakaging a confronto: quale ha il minore impatto?

Venendo invece all’impatto ambientale dei cartoni per bevande, Tetra Pak ha pubblicato lo scorso anno uno studio intitolato Comparative Life Cycle Assessment of Tetra Pak® carton packages and alternative packaging systems for beverages and liquid food on the European market, a cura dell’Ifeu, l’Istituto per la ricerca sull’Energia e l’Ambiente con sede ad Heidelberg, in Germania. Lo studio mette a confronto i cartoni per bevande e liquidi alimentari più rappresentativi del mercato con opzioni di packaging concorrenti monouso: bottiglie in PET, bottiglie in HDPE (polietilene ad alta densità), contenitori in vetro, lattine e stand up poach (buste in plastica flessibile). Le tipologie di imballaggi analizzate coprono, nei loro diversi formati, i segmenti di mercato che maggiormente utilizzano i cartoni: latticini, succhi, bevande non gassate, acqua, liquidi alimentari.

Tra le principali indicazioni che emergono dallo studio, molto corposo e complesso da raccontare in breve, ce ne sono due in particolare degne di nota. La prima è una sorta di premessa: “Da un punto di vista ambientale da questo studio non può uscire alcuna raccomandazione generale a supporto di una tipologia di packaging valida per tutti i segmenti di mercato analizzati”. La seconda indicazione rappresenta invece il risultato dello studio in forma sintetica: i cartoni per bevande e alimenti liquidi mostrano un impatto ambientale inferiore rispetto alle alternative (in quasi tutti i segmenti di prodotti analizzati) solamente in una delle otto categorie di impatto prese in considerazione nello studio: quella riferita al potenziale di “riscaldamento climatico”.

Per quanto riguarda le altre sette categorie di impatto (ovvero: acidificazione, smog fotochimico, distruzione dell’ozonosfera, produzione di particolato, eutrofizzazione terrestre, delle acque, utilizzo di risorse naturali) i cartoni non ne escono altrettanto vincenti.

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Gli impatti cambiano in base al fattore considerato

Ciascuna opzione di packaging infatti ottiene risultati migliori o peggiori rispetto alle altre in una determinata area di impatto in relazione a fattori/parametri che ne influenzano i risultati. L’esito della comparazione tra due opzioni cambia al mutare del peso della confezione, del contenuto di materia riciclata, della componente fossile o bio-based, per citare solo alcuni fattori.

Ad esempio, nell’area “Uso risorse naturali” i cartoni mostrano performance ambientali sostanzialmente superiori rispetto ai sistemi di imballaggio concorrenti a base fossile. D’altro canto, però, tra le raccomandazioni si legge che se l’utilizzo di polietilene di origine vegetale invece che fossile aiuta ad avere impatti inferiori nell’area del riscaldamento climatico, la fase di coltivazione della materia prima vegetale concorre invece ad aumentare gli impatti ambientali in tutte le altre sette categorie considerate. Al punto che lo studio precisa: “L’uso di materie plastiche a base vegetale, tuttavia, non può essere approvato senza riserve. In ogni valutazione le conseguenze sulle prestazioni ambientali in altre categorie di impatto non dovrebbero mai essere trascurate completamente”.

Un’altra raccomandazione riguarda i sistemi di chiusura, ovvero i tappi che, come risulta dallo studio, possono contribuire in misura considerevole a determinare gli impatti complessivi del ciclo di vita dei cartoni per bevande. In particolare, quando si tratta di confezioni con volumi inferiori al litro, come i brick da 330 ml che vengono regalati da Trenitalia o Italo Treno ai viaggiatori dell’alta velocità, la dimensione così ridotta e l’esiguità del contenuto contribuiscono a rendere più “pesante” l’impronta ecologica del packaging, che incide su quella complessiva del prodotto.

In conclusione, anche i risultati di questo studio spingono a interrogarsi sul senso ambientale che può avere la sostituzione di una bottiglietta da 500 ml in PET dal peso medio di 10 grammi (che potrebbe avere anche un contenuto riciclato vicino al 100%) con un cartone dal peso di 23 grammi come quelli fin qui descritti. E citare i risultati dell’analisi appena riportata (definita “studio di Ifeu”) senza far riferimento a tutte le categorie di impatto e non solo all’impatto climatico, come avviene spesso nella comunicazione aziendale in occasione del lancio di nuove bevande in cartone, non offre al consumatore un quadro informativo completo. Oltre a mettere l’azienda, a volte inconsapevole, nella sgradevole condizione di poter essere tacciata di fare greenwashing.

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Le critiche degli ambientalisti

Anche per questa ragione l’idea dell’acqua come gadget, nel primo Paese al mondo per consumo di acqua minerale in bottiglia – 222 litri l’anno pro capite – non raccoglie consensi unanimi. Sulla diffusione di questi brick, infatti,  il Centro di ricerca Rifiuti Zero ha vergato un comunicato stampa firmato congiuntamente ad altre organizzazioni della rete italiana Zero Waste. I firmatari si chiedono se questa soluzione sia davvero “la risposta ecologica alle esigenze di cambiamento”, come sostenuto dall’azienda produttrice, o se invece non siamo davanti ai “frutti avvelenati delle campagne ‘Plastic free’, che si concentrano solo sull’eliminazione della plastica e non sullo sviluppo di alternative migliori, riusabili e con vuoto a rendere”. Poi la nota rincara la dose parlando di “messaggi fuorvianti, diseducativi che mettono in ombra tutto lo sforzo fatto finora (da Comuni, associazioni, scuole) per invitare a bere acqua del rubinetto (…) e dai tanti progetti di sensibilizzazione nelle scuole, con le borracce regalate ai bambini e ai ragazzi”. Proprio sulla diffusione dei contenitori in poliaccoppiato nelle scuole si appuntano le maggiori critiche dei firmatari, che sottolineano come regalare migliaia di brick, com’è avvenuto a Marradi (Firenze) o sponsorizzare i campus di Milanosport come “acqua ufficiale” contrasti col bisogno di sensibilizzare i più giovani sulla necessità di ridurre i rifiuti e gli altri impatti legati all’acqua in bottiglia.

“La soluzione ambientalmente più sostenibile per contenere il consumo dilagante di acqua imbottigliata è senza dubbio quello di bere l’acqua di rubinetto, considerando che l’84,8% dell’acqua erogata dagli acquedotti italiani è sicura e di ottima qualità” commenta Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace. “I nostri più recenti rapporti evidenziano come sostituire il monouso in plastica con usa e getta in altri materiali – come nel caso dei cartoni – sia una falsa soluzione che non riduce gli impatti ambientali e lo spreco di preziose risorse naturali”.

L’alternativa del riutilizzo

Eppure soluzioni più sostenibili rispetto alla sostituzione del monouso con un diverso monouso esistono. In effetti sui sistemi riutilizzabili per bevande on the go non c’è che l’imbarazzo della scelta, e chi ha seguito anche di sfuggita i lavori della Cop26 di Glasgow lo ha potuto verificare: anche Biden e Obama hanno utilizzato tazze riutilizzabili che potevano essere conferite in appositi carrelli dopo l’uso per essere igienizzate. “Diverse start up all’estero hanno sviluppato servizi basati sulla fornitura di tazze e contenitori riutilizzabili quando le operazioni di lavaggio in loco non sono praticabili – conclude Giuseppe Ungherese –. Per le imprese, e in particolare per quelle del catering, soluzioni di questo tipo rappresentano un’opportunità da cogliere anche in Italia”.

Leggi anche il nostro Speciale Sistemi di riuso

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