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venerdì, Maggio 17, 2024

“Pronti a gestire il vuoto a rendere di qualsiasi oggetto”. Parla Lorenzo Pisoni di Pcup

Il cambiamento degli stili di consumo e dei modelli di business per passare dal paradigma lineare a quello dell’economia circolare, dall’usa e getta al riutilizzo, ha bisogno non solo di tecnologie, di innovazione, di fondi, di politiche. Ha bisogno anche di “educazione”. Il punto di vista di Lorenzo Pisoni co-founder di Pcap, la startup che ha inventato il bicchiere smart

Silvia Ricci
Silvia Ricci
Collabora dal 2009 con l’Associazione Comuni Virtuosi come referente Economia Circolare nella realizzazione di iniziative attinenti alla prevenzione dei rifiuti da imballaggio rivolti ai diversi pubblici. Scrive per il sito Comuni Virtuosi e altre testate su tematiche attinenti alla progettazione e gestione circolare dei manufatti monouso. Dal 2022 coordina la campagna nazionale “A Buon Rendere - molto più di un vuoto”, per una veloce introduzione di un Sistema Cauzionale per imballaggi monouso per bevande

L’esperienza di Pcup, l’azienda che ha come nome l’acronimo di “public cup” (tazza pubblica), non è nuova per lettrici e lettori di EconomiaCircolare.com. Abbiamo già avuto modo di dialogare con il co-founder Lorenzo Pisoni dell’idea nata con amici durante una traversata in kayak. Sbarcati su una città in pieno spirito da movida, venne fuori per gioco l’ipotesi di un bicchiere smart, in grado di connettere tra loro gli utilizzatori, di fargli scambiare informazioni e drink e rappresentare la convivialità in una mappa interattiva e sempre aggiornata.

 “Nel 2017 realizzammo il vero potenziale del progetto: fare del bicchiere connesso un’alternativa scalabile ai bicchieri usa e getta nelle movide” racconta Pisoni. “L’anima sostenibile del modello di business di Pcup ha dato la spallata a me e a Stefano Fraioli per licenziarci e fondare la società. E ancora oggi è il centro di gravità della nostra galassia di clienti, fornitori, collaboratori e investitori”. Per il nostro speciale sui sistemi di riuso abbiamo chiesto nuovamente un confronto con il cofondatore di Pcup, anche per capire quali cambiamenti abbiano registrato in questi mesi, tra un accenno di ritorno alla normalità dopo la pandemia e le novità introdotte con l’entrata in vigore della direttiva Sup (Single use plastics), che ha messo al bando il monouso.

Leggi anche: La rivoluzione del riuso fa bene all’ambiente e all’economia

Dottor Pisoni, come avete impiegato questi mesi di pandemia che immagino abbiano quantomeno rallentato i vostri piani e iniziative?

La pandemia ha azzerato un trend commerciale strabiliante, e con questo ha fatto saltare un investimento strategico. Non è stato facile, ad aprile 2020, decidere di mantenere in vita Pcup e, anzi, continuare a crescere. Il discorso che ci siamo fatti, e che ha trovato l’appoggio dei nostri investitori, è stato difendere con i denti le persone e le competenze che siamo riusciti ad aggregare. Una volta presa la decisione, abbiamo approfittato della chiusura generale per investire il meglio delle nostre energie nel portare il prodotto ad un livello superiore. Abbiamo terminato la prima release della piattaforma software, abbiamo migliorato la chimica e la trasparenza del bicchiere, abbiamo concluso nuovi processi di personalizzazione dei loghi e abbiamo ottenuto importanti certificazioni. Negli ultimi mesi, le nostre fatiche sono state ripagate con clienti e iniziative di primissimo livello, che mai avremmo saputo gestire prima della pandemia.

La pandemia ha fatto anche emergere nuove tendenze: l’aumento esponenziale dello smartworking, del delivery e del commercio online, ad esempio. Rispetto al 2018, quando avete esordito, le sembra che siano più maturi i tempi per progetti come il vostro? 

Non credo. Al di là delle oscillazioni locali in termini di sensibilità e normativa, non da ultima il bando al monouso, ci troviamo sempre di fronte alla stessa sfida: dare buoni motivi per tenere in mano un bicchiere sporco dopo il primo drink e riutilizzarlo per i prossimi, dando la possibilità di risciacquarlo e portarlo con sé in modo comodo e igienico. I nostri buoni motivi passano attraverso una tecnologia abbastanza complessa e sappiamo che bastano a cambiare il comportamento di una parte dei consumatori, ma la verità è che l’usa e getta è più comodo di qualunque riutilizzabile, e da consumatori cerchiamo prima di tutto la comodità. Per questo la sostenibilità è intrinsecamente una conquista e non un dato di partenza. E per questo noi, come tutte le altre società impegnate nel cambiare la matrice profonda delle nostre abitudini di consumo, facciamo i conti con l’antropologia, con gli istinti primordiali di attrazione-repulsione, che sono per definizione atavici.

Dal 3 luglio scorso la direttiva Sup bandisce alcuni prodotti monouso come piatti e posate, e chiede una riduzione nel consumo di bicchieri, tazze e contenitori da asporto. Anche altre iniziative europee spingono verso modelli di riuso e in particolare verso il “product as a service”, la cosiddetta servitizzazione. In che modo la tecnologia che avete sviluppato può essere funzionale a questi nuovi modelli?

Puntando il nostro mercato di riferimento, cioè il consumo di alcolici fuori casa, abbiamo sviluppato una tecnologia altamente scalabile per gestire il vuoto a rendere di qualsiasi oggetto. Le funzioni svolte sono tante e complesse: gestione dei profili utenti, associazione temporanea ad oggetti, pagamento e sicurezza dei dati, conguaglio del deposito cauzionale tra i diversi attori del sistema, scambio di informazioni tra utenti organizzati per microcomunità, direct marketing dagli attori della filiera ai consumatori, collocazione di prodotti ufficiali sui diversi punti vendita del circuito. Queste e molte altre funzioni sono implementabili su una varietà di ecosistemi: bottiglie di vino, contenitori di cibo da asporto, carrelli della spesa, cassette della frutta, flaconi di sapone… Non abbiamo intenzione di creare nuovi marchi per commercializzare in prima persona la nostra tecnologia in questi campi, ma siamo disponibili a fornire la licenza dei nostri servizi Api (Application programming interface, ndr) ad aziende già attive nel settore. Diciamo che possiamo fornire un motore molto potente a chi abbia già le ruote e la carrozzeria, per creare insieme una soluzione vincente di “prodotto come servizio”.

Avete fatto degli studi che forniscono qualche dato sulle minori emissioni associate all’utilizzo di Pcup durante gli eventi e sui rifiuti eventualmente risparmiati all’ambiente e alle casse comunali?

Un bicchiere Pcup ha un costo energetico di produzione maggiore di un bicchiere usa e getta. Sebbene anche in recenti studi le opzioni riutilizzabili escano vincenti come Lca (l’analisi sull’intero ciclo di vita, nda) quando utilizzate per un numero x di volte, non sempre ci troviamo di fronte a interlocutori maturi per apprezzare il risparmio in termini di energia necessaria e di emissioni di CO2. Le amministrazioni comunali, che hanno il compito di ridurre la produzione dei rifiuti e di riflesso le bollette dei cittadini, evidenziano maggiore sensibilità al tema dei rifiuti evitati e del decoro cittadino, ma anche in questo caso non tutti i cittadini sono sensibili al tema, né possiamo aspettarci che lo diventino. Spetta a noi imprenditori offrire buoni motivi in grado di modificare i comportamenti.  Tornando alla misurazione, non abbiamo ancora fatto una Lca ma con gli studenti del Politecnico di Milano stiamo ridisegnando il nostro bicchiere per dimezzarne il peso ed efficientare il processo di produzione, quindi faremo uno studio approfondito una volta terminata l’industrializzazione.

Il sistema informatico Pcup conteggia ogni utilizzo di un bicchiere, che corrisponde a un usa e getta risparmiato. Il passo successivo sarà premiare gli utenti che hanno contribuito a far vivere quello specifico bicchiere abbastanza a lungo da ripagare la propria differenza di costo energetico rispetto all’equivalente di usa e getta, ottenendo così una LCA veramente positiva. Raccontare e premiare il breakeven energetico della nostra pratica di riuso è rischioso e non aiuta le vendite nell’immediato, ma è una forma di rispetto per l’intelligenza dei nostri utenti e per la nostra ragion d’essere.

Che cosa manca a sistemi come il vostro per espandersi su larga scala e poter competere con modelli di consumo tradizionali ad alto consumo di risorse?

A livello legislativo sono stati fatti passi importanti che sicuramente aiutano, ma al contempo il rumore in cui è immerso il concetto di sostenibilità non permette al pubblico e agli interlocutori di filiera di riconoscere quello che davvero può fare la differenza dal più gretto greenwashing. L’antidoto non è una pillola che si prende dal giorno alla mattina, non credo negli “ismi” come chiave del cambiamento, non credo nell’ortodossia individuale. L’etica è dei sistemi, e per creare nuovi sistemi bisogna innanzitutto capirli. La mia startup ha bisogno di una seria educazione ambientale che fornisca a tutti gli strumenti intellettuali per discernere il falso dal vero, il serio dalla fuffa in una rete di relazioni altamente complessa. Per “tutti” intendo tutti: consumatori, proprietari di locali, responsabili acquisti dei distributori horeca, direttori marketing dell’industria delle bevande. È una sfida immane, specialmente se consideriamo che l’educazione è uno sforzo nazionale, ma il mercato è globale. La nota positiva che sempre più mi stupisce è la maturità estetica che si è sviluppata in Italia: ormai chiunque riconosce come “brutto” un bicchiere usa e getta nel naviglio, un sacchetto di plastica in un bosco. Questo non è affatto scontato ed è terreno fertile per ripensare il sistema.

Leggi anche: Speciale sistemi di riuso 

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