L’architettura reversibile è un concetto ancora giovane e relativamente poco esplorato. Alcune delle tecniche costruttive utilizzate in questo tipo di architettura non sono del tutto nuove. Tuttavia, nuovo è l’approccio, l’idea di costruire pensando alla fine di vita degli edifici, progettando strutture che possano essere completamente smontate, senza lasciare traccia e con la possibilità di riutilizzare grossa parte dei componenti.
Finora questa filosofia è stata utilizzata soprattutto per strutture temporanee, come padiglioni espositivi, spazi per fiere ed eventi. Ma da qualche anno, diversi studi di architettura e ingegneria stanno provando ad applicare lo stesso approccio a strutture che, per quanto smontabili, sono concepite per durare. Si tratta di sperimentazioni, non sempre perfette, ma potenzialmente rivoluzionarie. Vediamone qualcuna.
Triodos Bank, Zeist, Olanda
Progettato da RAU Architects e Ex Interiors, questo edificio ospita una banca e allo stesso tempo è una banca: di materiali. La struttura segue infatti la logica BAMB (Buildings As Material Banks), per cui gli edifici vengono concepiti come riserve di materiali per costruzioni future. Tutti i materiali utilizzati sono stati registrati con Madaster che traccia, sistematizza e rende accessibili le informazioni relative all’ambiente costruito con lo scopo di creare circolarità. Completamente smontabile e ricostruibile, la sede delle Triodos Bank è interamente realizzata in legno e vetro, con l’eccezione delle fondamenta per cui è stato utilizzato il cemento per prevenire allagamenti. L’edificio di cinque piani di altezza è composto da elementi assemblati con viti, in modo da poter essere smontati e riutilizzati. La forma organica della struttura si adatta al paesaggio esistente e crea spazi e volumi in dialogo con l’ambiente esterno e il bosco che la circonda.
Triodos Bank Nederland from RAU Architects on Vimeo.
Arena Do Futuro, Rio de Janeiro, Brasile
Realizzata per i giochi olimpici del 2016, questa arena è stata costruita pensando al futuro. Molte delle città che nella storia hanno ospitato le Olimpiadi, infatti, finito il grande evento, si ritrovano strutture che si trasformano in cattedrali nel deserto, costose da mantenere e spesso inutilizzate. Per evitare che la storia si ripetesse anche a Rio, nel pianificare i giochi 2016 il comitato organizzativo e la municipalità avevano previsto che il parco olimpico che ospitava molti degli impianti sportivi sarebbe stato in buona parte smantellato. In particolare la Arena Do Futuro, uno stadio da 12000 persone che ha ospitato le competizioni di palla a mano, era stata progettata dallo studio di ingegneria AECOM per essere completamente smontata e gli elementi che la componevano dovevano essere utilizzati per realizzare quattro scuole pubbliche in città. Tuttavia, nonostante la progettazione abbia seguito tutti i criteri che avrebbero consentito di smontare la struttura e riutilizzarne i materiali, questo non è mai avvenuto. I richiami del comitato olimpico alla città non sono finora serviti a sbloccare lo stallo determinato dalle variate condizioni politiche e così il parco olimpico di Rio, da caso virtuoso, si è trasformato nell’ennesima storia di scomoda eredità olimpica. L’architettura in sé, tuttavia, non ne ha colpa.
Arena Do Futuro, via Creative Commons
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Pakhuset Braunstein, Køge, Danimarca
Progettato dallo studio di architettura Adept, questo spazio per la degustazione dei prodotti del birrificio Braunstein è pensato per essere completamente smontato e rimontato altrove. La struttura affaccia infatti sul porto ed è appoggiata su un molo in legno a pochi metri dall’acqua, una posizione che la rende vulnerabile ai cambiamenti climatici e che in futuro, con l’innalzamento del livello del mare, potrebbe richiedere lo spostamento in un luogo diverso o il completo smantellamento. La progettazione ne ha tenuto conto, prevedendo che l’intera struttura possa essere riposizionata o che le singole parti possano essere scomposte e riutilizzate altrove. L’uso di viti e bulloni per l’assemblaggio, le finestre modulari, i pannelli e i pavimenti in legno sostenibile rendono facile la rimozione e lo spostamento dei singoli pezzi, nonché la manutenzione. L’edificio integra inoltre caratteristiche dell’architettura passiva, come la ventilazione naturale per la regolazione della temperatura.
BRIC, Bruxelles, Belgio
Il nome sta per Build Reversible In Conception e nasce all’interno del centro di formazione EFP. Questa struttura è uno strumento didattico e una vetrina per i concetti di circolarità applicati all’edilizia. Il modulo è stato realizzato nel 2018, con il coinvolgimento di circa 180 studenti, per offrire un esempio concreto dei materiali e delle tecniche che possono essere utilizzati per costruire in modo reversibile. L’edificio è stato un vero e proprio laboratorio per gli studenti che hanno così imparato nuovi procedimenti replicabili in contesti diversi. Il progetto si è sviluppato nel corso di tre anni durante i quali la struttura ha cambiato funzione: il primo anno BRIC è stato un edificio per uffici, mentre il secondo anno ha ospitato spazi commerciali. Ogni anno le attività di montaggio hanno richiesto quattro mesi di lavoro, mentre per altrettanti mesi l’edificio è stato utilizzato e ci sono voluti due mesi per smantellarlo. Realizzato prevalentemente in legno, con l’utilizzo di vari materiali di seconda mano recuperati da altri edifici, BRIC non ha fondamenta in cemento bensì si appoggia su delle grosse viti piantate nel terreno e, una volta smontato, non lascia traccia.
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Architettura rigenerativa e nomade: Nomadic Museum
L’architetto giapponese Shigeru Ban è famoso per le sue costruzioni di carta, economiche e facili da montare, utilizzate in situazioni di emergenza come i terremoti. Le sue creazioni sono animate da un approccio simbiotico con la natura e una presenza leggera sulla terra e meritano un posto nella storia dell’architettura sostenibile. Ma, tra tutte, quella che più di altre merita un posto in questa lista poiché concepita per essere completamente smontata e rimontata, è il Nomadic Museum. Inizialmente realizzato a New York nel 2005 per la mostra del fotografo Gregory Colbert, il museo ha viaggiato da Santa Monica a Città del Messico passando da Tokyo. Le gallerie espositive consistono nello spazio che si crea tra le pareti esterne, costituite da container per la spedizione delle merci, sovrapposti a scacchiera. Capriate in tubi metallici e carta creano un frontone classico alle estremità delle gallerie e, insieme ai pilastri in cartone disposti all’interno a formare due navate laterali, sorreggono il tetto in membrana di PVC. A terra, il percorso è segnato da una passerella in legno riciclato da impalcature edili. Il museo è stato concepito per essere smontato e rimontato e per poter continuare a viaggiare senza una destinazione finale.
Guarda il video The Nomadic Museum in Santa Monica from Gregory Colbert on Vimeo.
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