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giovedì, Novembre 14, 2024

La strada verso lo stop UE alle auto col motore a combustione si fa sempre più tortuosa

In questi anni la Corte dei conti europea ha mosso una serie di osservazioni puntuali sui problemi del settore dei trasporti nell'Unione Europea. Critiche che però finora sono rimaste inascoltate. Dai biocarburanti all'assenza delle colonnine di ricarica elettrica, ecco dove i 27 Stati membri dell'Ue devono migliorare

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Redazione EconomiaCircolare.com

“Il futuro è l’auto elettrica, ma all’UE dico di togliere il bando al motore a scoppio”. Dopo la conclusione del G7 Ambiente e Clima, che a Torino ha visto riuniti i ministri di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America, il ministro Gilberto Pichetto Fratin è tornato a criticare uno degli obiettivi ambientali più ambiziosi sanciti dall’Unione Europea negli ultimi anni, vale a dire il divieto di produzione di auto col motore a combustione termica – benzina, diesel, metano, gpl – a partire dal 2035.

Se la presidenza italiana del G7 a livello ambientale e climatico non è andata oltre il compitino, come scrive Fabrizio Fasanella su Linkiesta, sul tema dei trasporti sono in realtà tutti i 27 Stati membri dell’Ue a registrare debolissimi, se non inesistenti, passi in avanti.

Tra gli enti che più di tutti ha seguito in maniera attenta e costante questo sforzo c’è la Corte dei conti europea. “Custode delle finanze dell’Ue”, come si legge sul sito, l’istituzione, che è preposta all’esame dei conti di tutte le entrate e le uscite dell’Unione e dei suoi vari organi al fine di accertarne la sana gestione finanziaria, ha definito quella dell’azzeramento delle emissioni dei trasporti una “strada tortuosa”.

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Uno stop a rischio?

Il governo Meloni è uno dei governi europei che più di tutti critica in maniera netta lo stop alle auto a combustione. Tuttavia anche chi ne sostiene il divieto, poi, in questi anni non ha fatto granché per raggiungere un obiettivo che appare lontano soltanto dal punto di vista della proiezione mentale, ma che dal punto di vista industriale è già dietro l’angolo.

“Ridurre o eliminare le emissioni prodotte dalle autovetture è una componente essenziale della strategia climatica dell’UE, il cui obiettivo è azzerare le emissioni nette entro il 2050 – scrive in una nota la Corte – A tal fine sarà necessario limitare le emissioni di carbonio delle autovetture convenzionali con motori a combustione, esplorare le opzioni di combustibili alternativi e favorire la diffusione di massa dei veicoli elettrici. Negli ultimi due anni la Corte dei conti europea ha pubblicato una serie di relazioni in proposito, in cui dimostra che il primo punto non si è finora concretizzato, il secondo risulta non essere sostenibile su vasta scala (stando al caso dei biocarburanti) e il terzo rischia di essere costoso sia per l’industria che per i consumatori dell’UE”.

Insomma: l’Italia si trova in pessima compagnia. E lo stop alle auto a combustione termica potrebbe essere uno dei primi scalpi dei rinnovati assetti dell’Unione Europea, dopo il voto di giugno. Specie perché, così come concepito, il divieto concepito all’interno del pacchetto Fit for 55 – il pacchetto di riforme e norme per ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 – si inserisce in un quadro già complesso per l’Ue, tra declino industriale interno e una eccessiva dipendenza dalla Cina per ciò che riguarda l’intera catena di fornitura sull’auto elettrica. “L’UE deve evitare che sia alto il prezzo da pagare in termini di sovranità industriale e per le tasche dei cittadini” è l’ammonimento della la Corte dei conti europea –

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Ridurre le emissioni delle auto in UE: più facile a dirsi che a farsi

Sono tante le criticità sollevate in questi due anni dalla Corte dei conti europea, attraverso una serie di report puntuali e dettagliati che ogni volta hanno fatto sì discutere ma che poi, in concreto, sono stati poco ascoltati. A gennaio 2024, ad esempio, con una lunga relazione l’ente giuridico europeo sottolineava che da una parte è innegabile che l’Unione Europea abbia compiuto progressi nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in generale, ma che ciò non è ancora avvenuto in uno dei settori più cruciali, che da solo produce circa un quarto di queste emissioni, e cioè appunto i trasporti. Di questa quota, poi, metà proviene dalle sole autovetture.

“Benché le norme per i collaudi siano diventate più rigorose a partire dal primo decennio di questo secolo, gli auditor della Corte hanno constatato che in 12 anni le emissioni prodotte in condizioni di guida reali dalle auto convenzionali, che rappresentano ancora quasi tre quarti delle nuove immatricolazioni, non sono diminuite in misura consistente – scrive la Corte – Nonostante l’accresciuta efficienza dei motori, in media le auto pesano circa il 10% in più e hanno bisogno di motori circa il 25 % più potenti per spostare tale peso. Inoltre, gli auditor della Corte hanno riscontrato che le auto ibride ricaricabili (plug-in), che un tempo si riteneva potessero agevolare la transizione dai veicoli tradizionali a quelli elettrici, sono ancora classificate a basse emissioni anche se il divario tra le emissioni misurate in condizioni di laboratorio e quelle misurate su strada è in media del 250%”.

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I problemi dei biocarburanti (che l’UE continua a ignorare)

Quasi mai si specifica che il divieto previsto dall’Ue per le auto col motore a combustione vale (o varrebbe) per le auto di nuove produzione e che comunque i veicoli a combustione prodotti fino al 31 dicembre 2034 potranno continuare a circolare. Ed è chiaro, allo stesso tempo, che le alternative ai vecchi motori benzina, diesel, metano e gpl dovranno rafforzarsi enormemente in questo arco temporale. Le due opzioni più diffuse sono al momento l’auto elettrica e l’auto alimentata con biocarburanti, mentre quelle a idrogeno e quelle alimentate coi bio-fuels appaiono largamente minoritarie, anche nel prossimo futuro.

La relazione della Corte dei conti europea sui biocarburanti ha però evidenziato la mancanza di una tabella di marcia chiara e stabile per risolvere i problemi a lungo termine del settore: la quantità di combustibile disponibile, i costi e la sostenibilità dei biocarburanti. Problemi che però l’Italia non sembra tenere in considerazione, se si considera la promozione che ne fa in ogni ambito (e su cui torneremo in un prossimo articolo).

“In primo luogo – scrive la Corte –  l’UE non produce sufficiente biomassa perché questi ultimi diventino una valida alternativa ai combustibili fossili tradizionali. Peraltro, se si importa biomassa da paesi esterni all’UE, viene meno l’obiettivo dell’autonomia strategica in materia di energia. In secondo luogo, la Corte ha concluso che, in parte a causa dei problemi dal lato della domanda, i biocarburanti non sono ancora competitivi da un punto di vista economico. Come ultimo aspetto, ma non per questo meno importante, ha rilevato che la sostenibilità dei biocarburanti è sovrastimata. Le materie prime necessarie alla loro produzione possono danneggiare gli ecosistemi e nuocere alla biodiversità, al suolo e alle acque; di qui sorgono quindi dilemmi etici sull’ordine di priorità tra beni alimentari e carburanti”.

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La strada dell’elettrico passa ancora dalla Cina

In teoria in Europa c’è consenso (quasi) unanime sul fatto che, al netto dell’auspicata riduzione delle auto in circolazione, quelle restanti dovranno essere prevalentemente elettriche. Ma poi, concretamente, le difficoltà sono tante. Basti pensare che le vendite di auto elettriche nuove sono fortemente aumentate in Europa (1,5 milioni di immatricolazioni lo scorso anno, ossia una nuova immatricolazione su sette). Tuttavia studi recenti mostrano che le vendite hanno beneficiato di sovvenzioni pubbliche e hanno riguardato per lo più il segmento dai 30mila euro in su, fattore che le rende sinora accessibili soltanto a determinate fasce di popolazione. Soprattutto l’alto prezzo delle auto elettriche è riconducibile prevalentemente alle batterie, il cui costo può arrivare in media a 15mila euro in Europa.

ue auto elettrica

“Gli auditor della Corte hanno riscontrato però che l’industria europea delle batterie è in ritardo rispetto ai concorrenti mondiali, il che mette potenzialmente in crisi la capacità interna del nostro continente prima ancora che questa sia al massimo regime – scrive la Corte – In Europa è localizzato meno del 10% della produzione mondiale di batterie e tale quota è perlopiù in mano ad imprese non europee. A livello mondiale, la Cina rappresenta un colossale 76%. L’industria delle batterie dell’UE è frenata in particolare dall’eccessiva dipendenza dalle importazioni di materie prime da paesi terzi, con i quali non sono stati sottoscritti adeguati accordi commerciali. Ne conseguono rischi per l’autonomia strategica dell’Europa. E questo prima ancora di considerare le condizioni sociali ed ambientali in cui queste materie prime sono estratte. Gli auditor della Corte hanno anche sottolineato che, nonostante un significativo sostegno pubblico, il costo delle batterie prodotte nell’UE resta nettamente superiore al previsto. Ciò le rende inevitabilmente meno competitive rispetto a quelle di altri produttori mondiali e potrebbe anche rendere proibitivi i prezzi dei veicoli elettrici europei per una larga parte della popolazione”.

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Nell’UE mancano pure le infrastrutture di ricarica

D’altra parte per incentivare la mobilità elettrica è necessario un numero sufficiente di infrastrutture di ricarica, che siano ben sparse sui territori e veloci da ricaricare. Fino a questo momento, pur più alte nei costi di partenza, le auto elettriche hanno mostrato di avere bassi costi di gestione e di ricarica. Negli ultimi mesi però, perlomeno in Italia, si è registrato un aumento considerevole di quest’ultima voce. E non è l’unico problema legato alle auto elettriche.

“In una relazione del 2021 sulle infrastrutture di ricarica nell’UE, gli auditor della Corte hanno però rilevato che, nonostante successi come la promozione di uno standard comune UE per i connettori di ricarica dei veicoli elettrici, permangono molti ostacoli per viaggiare attraverso l’UE con un veicolo elettrico – fa notare la Corte dei conti europea – Innanzitutto, il numero dei punti di ricarica nel continente non è sufficiente e, al momento dell’audit, era ben lungi dal raggiungere l’obiettivo di 1 milione di unità entro il 2025. In secondo luogo, la disponibilità di stazioni di ricarica varia notevolmente da un paese all’altro. Infine, gli auditor hanno sottolineato che, in assenza di informazioni in tempo reale e di un sistema di pagamento armonizzato, viaggiare in Europa a bordo di un’auto elettrica è ancora tutt’altro che una passeggiata”.

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Per la fondazione Mattei “gli italiani non sognano auto elettriche”

Se il quadro tracciato dalla Corte dei conti europea appare fosco, ancora più critico, se possibile, è quello dell’Italia. Dove, come abbiamo già accennato, il governo resta contrario allo stop alle auto a combustione. Invece di comprendere come migliorare i punti deboli, evidenziati ampiamente dagli auditor della Corte, in Italia assistiamo da anni a una demonizzazione delle auto elettriche, di cui si esaltano i difetti e si minimizzano i vantaggi.

Così non sorprende l’esito di un recente report, realizzato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei e intitolato “Gli Italiani non sognano auto elettriche: la difficile decarbonizzazione del parco circolante”. Certo, il report è realizzato dalla Fondazione finanziata da Eni, cioè dall’azienda che più di tutte punta sui biocarburanti, quindi il rischio che il report, che si propone di discutere “l’efficacia (e i limiti) della strategia di decarbonizzazione spinta dalle norme UE”, risulti poco oggettivo è presente. Tuttavia  i dati e le analisi riportate nel report sono difficilmente contestabili. Il punto di partenza è preoccupante: il parco auto italiano è secondo in Europa per estensione e terzo per numero di immatricolazioni; contiene oltre il 16,5% delle autovetture circolanti nell’Unione e contribuisce al 14% della CO2 emessa.

ue auto elettriche italia

“Emerge, purtroppo, un quadro grandemente sconfortante: insufficiente penetrazione e ruolo per nulla sostitutivo delle auto full-electric – si legge nella sintesi del rapporto – A fine 2023, appena il 5 per mille del parco italiano è a ‘emissioni zero’, il ritmo di crescita del circolante eccede (abbondantemente) gli ingressi di auto elettriche che tra l’altro permangono nel parco (molto) meno delle endotermiche. Le vetture preferite dai policymaker europei, ora in carica, non intercettano i bisogni degli automobilisti italiani. Fortunatamente la strategia di decarbonizzazione vigente non è la sola possibile. Le scadenze, però, sono incombenti. Saranno necessarie, non solo per l’Italia, misure suppletive che consentano di decarbonizzare le autovetture in uso ancor prima di sostituirle”.

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