fbpx
domenica, Maggio 19, 2024

Viaggio nel movimento femminista italiano: l’indagine di Semia

Quanto l'ambiente rientra nei temi delle realtà femministe italiane? In un'indagine Semia traccia numeri e sfide del movimento e, grazie al primo fondo femminista in Italia, ne supporta l'attività

Chiara Braucher
Chiara Braucher
Chiara Braucher è ricercatrice, si interessa di giustizia ambientale, estrattivismo e transizione energetica. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Ingegneria dell’Architettura e dell’Urbanistica lavorando su pratiche socio ecologiche in fase di post disastro con particolare attenzione alle pratiche di autocostruzione

Nato nel 2023 Semia, Fondo delle Donne Ente Filantropico, è il primo fondo femminista italiano e si descrive così: “Siamo indipendenti da qualsiasi ideologia politica, interesse economico o credo religioso. La nostra missione è offrire supporto al movimento per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere in Italia”.

La fondazione Semia si dichiara al servizio delle realtà territoriali e si pone l’obiettivo di supportare le organizzazioni che si occupano dei diritti di donne, persone trans e non binarie, per l’autodeterminazione di tutte. L’idea che sottende la costruzione di un fondo femminista è quella di accompagnare associazioni, organizzazioni, collettivi e reti finanziando tre macroaree tematiche le cui istanze vengono indicate come le più urgenti nella lotta alle disuguaglianze di genere dal movimento femminista in Italia: autodeterminazione e difesa del diritto di scelta; lavoro, indipendenza e giustizia economica; educazione alla consapevolezza e supporto all’attivismo. Ciascuno di questi aspetti viene letto dal movimento femminista in chiave intersezionale e racconta uno spaccato di mondo complesso e articolato.

Semia intraprende questo percorso poiché oltre il 70% delle associazioni femministe in Italia è di piccole dimensioni e composto da un massimo di 15 persone. L’85% di questi gruppi lavora su base volontaria, sopravvivendo perlopiù di autofinanziamento e solo il 15%  può contare sul sostegno economico di fondazioni italiane. Nello strutturare la sua azione, Semia è partita  da uno studio delle organizzazioni femministe italiane, proponendo un inedito censimento.

Un censimento del movimento

Nel dicembre dello scorso anno, Semia ha infatti lanciato un’indagine conoscitiva sul movimento femminista contemporaneo dal titolo “Il movimento femminista italiano: analisi conoscitiva, sfide e sostenibilità, presentata per la prima volta presso la Casa internazionale delle Donne a Roma.

“La cronica mancanza di risorse le costringe (le persone che fanno parte dei movimenti femministi italiani in esame, ndr) a puntare quasi tutte le energie sull’emergenza del contrasto alla violenza ma poco resta per lavorare sul cambiamento sistemico e sulle cause strutturali della stessa, prima fra tutte la disoccupazione femminile e la fragilità economica delle donne”, è quanto emerge dalla ricerca.

La fragilità economica strutturale che caratterizza in modo asimmetrico il genere femminile o le categorie svantaggiate è sempre un fattore centrale che produce contesti multi-crisi e la sovrapposizione di fattori di vulnerabilità. Il divario retributivo di genere in Europa si attesta al 12,7% nel 2021: questo significa che le donne guadagnano in media il 13% in meno all’ora rispetto agli uomini. Secondo il rapporto Istat “La povertà in Italia” del 2023, siamo davanti a un generale incremento di persone che vivono condizioni di povertà ed in particolare l’11,5% delle famiglie monogenitoriali, per lo più condotte da donne, vive condizioni di estrema povertà. 

Semia ha identificato oltre mille realtà che si occupano di questioni di genere sul territorio nazionale, di cui oltre il 40% nelle aree metropolitane, più ricche e servite, con un’aggregazione considerevole nell’area metropolitana della capitale (15,71%). Il report propone un fermo immagine del movimento femminista: un racconto che, attraverso i numeri, parla della potenza che negli ultimi mesi abbiamo visto dirompente riempire le strade di tutta Italia

Leggi anche: Crisi energetica, ecco perché i costi dell’energia pesano di più sulle donne

movimento femminista italiano

Il metodo

La ricerca è stata condotta attraverso una fase di desk che ha portato all’identificazione di 1047 organizzazioni femministe sul territorio nazionale che hanno risposto a un questionario online ed in seguito sono state intervistate. Nello studio, come precisato da  Semia, si è scelto di utilizzare il termine “organizzazione femminista” proprio con la volontà di identificare non solo le storiche e classiche organizzazioni femministe, ma allargando il campo di indagine a tutte quelle organizzazioni che portano avanti battaglie con una prospettiva intersezionale guardando a temi specifici quali l’ambiente, le migrazioni, l’occupazione, il lavoro, l’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità da una prospettiva di genere. 

Leggi anche: Giornata internazionale per i diritti delle donne: manifesti ecofemministi dal mondo

Missioni dei movimenti femministi

Un importante dato emerso dal report evidenzia come il movimento femminista sia, nel suo complesso, focalizzato sul contrasto alla violenza maschile sulle donne. Il 50,24% delle organizzazioni coinvolte nello studio afferma infatti che la sua missione primaria è il contrasto alla violenza di genere e il 79% dichiara che il contrasto alla violenza di genere è fra le priorità. In minor numero sono invece i gruppi che mettono al centro o che evidenzino fra le proprie priorità la fragilità economica delle donne e la disoccupazione femminile, così come la salute sessuale e riproduttiva, temi che sappiamo invece, evidenziati anche da Semia, essere centrali in una lotta strutturale al patriarcato. In un contesto come quello italiano, spiega Semia nel suo studio, “dove si trova il più basso tasso di occupazione femminile dell’Unione europea, dove la maggior parte delle donne non ha indipendenza economica, si hanno profonde conseguenze sulla libertà personale e di scelta”. 

Nel contempo un’ampia parte del movimento femminista coinvolto nello studio, il 15%, sente come missione primaria la promozione dei diritti LGBTQI+, il 53,80% dei partecipanti al sondaggio include questa tematica tra le proprie attività principali. Ciò evidenzia una forte intersezionalità dei vari gruppi femministi sui temi delle minoranze di genere, ma, secondo Semia, non si ha una simile risposta quando si analizza la quantità di “organizzazioni che includono tra le proprie attività il supporto ad altre direttrici intersezionali come il contrasto al razzismo, la disabilità e il cambiamento climatico“.

Non più dell’1% dei gruppi definisce fra i suoi obiettivi primari la difesa dell’ambiente, ma invece viene considerata un’area di intervento importante da circa il 20% delle rispondenti. La difesa di clima e ambiente non vengono quindi messi al centro delle battaglie femministe, ma ricalcano un ruolo importante nelle relazioni con il territorio e nella capacità di azione ed intervento. Una parte di gruppi femministi considerano quindi l’approccio eco-femminista importante in termini intersezionali per poter costruire un riflessione strutturale e sistemica. Questo infatti non significa che i gruppi femministi non si interessino a queste tematiche e che non abbiamo una matrice eco-femminista: gli stessi sono infatti spesso inseriti in reti territoriali e collaborano con soggetti più marcatamente ecologisti o che si occupano di lotte sul lavoro. I gruppi femministi non sono normalmente gruppi isolati ma anzi costruiscono e fanno vivere relazioni intense e produttive con altri soggetti dei territori. Da una prospettiva geografica scopriamo spesso una tendenza intersezionale più radicata in contesti territoriali più piccoli, ove i movimenti necessitano di reti di supporto reciproche più forti.

movimento femminista italiano manifestazione

Da Nord a Sud

Fra le oltre mille realtà formali e informali (1047) censite sul territorio nazionale, 441 sono localizzate nel Nord Italia, 305 al Centro e 297 nel Sud. Dal censimento emerge anche che oltre il 40% del numero totale delle organizzazioni femministe censite si trova nelle aree metropolitane più densamente popolate, più ricche e servite,  in cui hanno sede anche numerosissime Università. Al contrario è minore la diffusione di gruppi femministi, identificabili facilmente come tali, nelle città medie (16,95%) e piccole (18,38%). La ricerca relativa alla città di  Roma, città che conta oltre 4 milioni di abitanti, evidenzia una consistente parte di queste organizzazioni, circa il 15%. Molto interessanti sono i dati relativi alla  macroarea meridionale, che vede il 27,61% delle organizzazioni con sede in piccole città e il 9,42% in paesi ed aree rurali, mettendo in risalto una forte necessità di aggregazione intorno alle questioni di genere.

Questa distribuzione ricalca quella dei movimenti ecologisti e dell’attivismo di base. I dati prodotti da Semia restituiscono un’interessante fotografia che non ha l’ambizione di essere esaustiva: in particolare per quanto riguarda i territori marginali, laddove innumerevoli battaglie ambientali o sul lavoro utilizzano lenti femministe, probabilmente perché non è sempre semplice raccontarle o catalogarle come parte del movimento femminista. Racconta però di territori che hanno bisogno di organizzarsi, che hanno bisogno di un movimento femminista, e di donne che hanno voglia di incontrarsi, vivere, respirare e cospirare insieme. La ricerca di organizzazioni femministe con sede in aree poco popolate certo è molto più complessa, poiché tali organizzazioni possono essere incluse in gruppi che hanno obiettivi più trasversali e quindi intersezionali per definizione. Nei territori di provincia o periferici, ad esempio, può avvenire che attivisti con interessi diversificati adottino lenti e pratiche femministe per portare avanti battaglie sui posti di lavoro, contro il cambiamento climatico ed eco femministe, contro lo sfruttamento dei territori e la violenza di genere. È certamente difficile raccogliere o etichettare i dati su tutte queste realtà, ma sappiamo che esistono, così come sappiamo che costruiscono quotidianamente pratiche intersezionali per reimmaginare il loro territorio e il mondo.

Leggi anche: Dal Brasile alla Colombia, le donne della resistenza indigena che stanno salvando l’Amazzonia

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie