Con l’avvio della riscrittura delle regole europee sugli imballaggi (il recente regolamento), la Commissione ha posto in maniera problematica anche la questione degli imballaggi realizzati con le bioplastiche. Questi materiali – è la linea della che la Commissione esprime con il Regolamento e con l’EU policy framework on biobased, biodegradable and compostable plastics – non sono sostenibili a prescindere, ma solo dopo attenta valutazione. Scrive infatti la Commissione in quest’ultimo documento: “Vi sono prove scientifiche crescenti e consapevolezza che una serie di condizioni devono essere soddisfatte per garantire che la produzione e l’uso di queste materie plastiche si traducono in esiti ambientali complessivamente positivi e non si aggravano problemi di inquinamento da plastica, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità”. Insomma: fatto in bioplastica non sempre vuol dire “sostenibile”.
Qualche dato sulle bioplastiche
Il Quadro politico pubblicato dalla Commissione (documento non vincolante) ha l’obiettivo di “una migliore comprensione delle sfide e dei vantaggi che derivano dal loro utilizzo”.
A livello globale, l’insieme delle cosiddette bioplastiche (che siano biobased, biodegradabili o compostabili: vedi oltre) rappresenta oggi l’1% della capacità produttiva totale di plastica, per un volume di oltre 2 milioni di tonnellate annue. L’Europa ospita un quarto di questa capacità, mentre a farla da padrone è l’Asia, con quasi la metà del totale. Secondo stime citate dalla Commissione, la quota delle bioplastiche sulla produzione totale di plastica raddoppierà entro il 2025.
Le bioplastiche vengono impiegate, come sappiamo, come alternativa alla plastica tradizionale. In particolare gli imballaggi rappresentano quasi la metà della domanda, seguita da beni di consumo e tessili, seguiti dall’uso in settori come agricoltura, trasporti e costruzioni.
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C’è bioplastica e bioplastica
La Commissione nel documento sottolinea una distinzione essenziale all’interno del generico perimetro delle bioplastiche, spesso motivo di fraintendimento. Non tutte le bioplastiche sono ottenute da materia prima biologica né sono biodegradabili o compostabili. Ci sono ad esempio plastiche biobased (da materia prima biologica, come colture, scarti di produzione della filiera agroalimentare, rifiuto umido) che non sono biodegradabili. Altre che invece lo sono. Come ci sono plastiche da fonte fossile che sono biodegradabili. E poi ci sono, ovviamente, plastiche biobased e biodegradabili. Altro ancora sono quelle compostabili (secondo la norma UNI EN 13432): “Un sottoinsieme di plastiche biodegradabili progettate per biodegradarsi in condizioni controllate, tipicamente attraverso il compostaggio industriale in impianti speciali per il compostaggio o la digestione anaerobica”.
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Bioplastiche, la questione ambientale
Se dire bioplastica non significa per ciò stesso dire “sostenibile”, quali sono le questioni aperte?
Questi materiali “hanno le proprie sfide di sostenibilità e i propri compromessi che dovrebbero essere ben compresi e di cui tenere conto”, leggiamo nel documento. Le questioni riguardano diversi aspetti:
- hanno a che fare con la produzione della biomassa utilizzata come materia prima. “Nella maggior parte dei casi, la produzione di biomassa richiede l’utilizzo di risorse naturali come terra e acqua e l’uso di sostanze chimiche come fertilizzanti e pesticidi. Pertanto, la produzione di materie plastiche dalla biomassa primaria può portare a un cambiamento diretto o indiretto della destinazione dei terreni, che a sua volta può risultare nella perdita di biodiversità, nel degrado degli ecosistemi, nella deforestazione e nella scarsità d’acqua, nonché competizione con le colture destinate al consumo umano”;
- effettiva biodegradabilità di questi materiali negli specifici ambenti nei quali vanno gestiti;
- rischi di contaminazione della plastica tradizionale nella raccolta differenziata, che ne pregiudicano il cammino verso la piena circolarità;
- longevità dei prodotti. Allungare la vita dei prodotti è un obiettivo da perseguire, secondo la strategia europea dei rifiuti, per tutti i beni, anche quelli in bioplastica. Inoltre, la preferenza andrebbe data, secondo la Commissione, sempre alle materie prime seconde rispetto a quelle vergini, anche se biobased e biodegradabili.
Quello che la Commissione propone per le bioplastiche, dunque, è un approccio sistemico he “cercherà di trovare un attento equilibrio tra la necessità di ridurre dipendenza dalle risorse fossili e per garantire la sicurezza alimentare, che è influenzato dall’uso del suolo per la produzione di biomassa che deve soddisfare esigenze concorrenti”. Obiettivo delle politiche comunitarie, sottolinea il documento, “devono essere, in questo ordine di priorità, ridurre, riutilizzare e riciclare materie plastiche per ridurre al minimo l’uso di energia e risorse e mantenere i materiali nell’economia per quanto il più a lungo possibile, perseguendo un ambiente privo di sostanze tossiche”.
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Il rischio di greenwashing
Attualmente, ricorda poi il documento, “non esiste un contenuto biobased minimo obbligatorio né uno schema di certificazione concordato o un etichetta per un prodotto in plastica da etichettare come biobased”. Proprio per questo il rischio di greenwashing è dietro l’angolo. Per combatterlo ed evitare di ingannare i consumatori, “affermazioni generiche sui prodotti in plastica come bioplastiche e biobased non dovrebbero essere utilizzare”, afferma la Commissione. Le indicazioni, invece, “devono fare riferimento solo alla quota esatta e misurabile di contenuto a base biologica nel prodotto, affermando ad esempio che il ‘il prodotto contiene il 50% di contenuto di plastica a base biologica’”. Quando alla modalità di calcolo del contenuto organico, la tecnica del radiocarbonio viene indicata come la più sicura.
Al fine di evitare di confondere i consumatori, inoltre, la plastica etichettata come “biodegradabile” dovrebbe sempre specificare l’ambiente dove è prevista la degradazione e il tempo necessario.
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Le indicazioni della Commissione
Il Regolamento proposto dalla Commissione e pubblicato il 30 novembre scorso, come abbiamo scritto, prevede che due anni dopo l’entrata in vigore del documento dovranno essere in materiale compostabile tutte le cialde per caffè, le bustine di tè, le etichette adesive per frutta e verdura e le borse di plastica ‘molto leggere’ (non gli shopper, che sono buste ‘leggere’, ma ad esempio quelle che si usano al supermarket per frutta e verdura). Sempre entro due anni dall’approvazione del regolamento, gli altri imballaggi compostabili “devono consentire il riciclaggio dei materiali senza pregiudicare la riciclabilità di altri flussi di rifiuti”. Passaggio sibillino, questo, che rimanda implicitamente ai problemi di contaminazione incrociata (vedi oltre).
Questa parte della proposta di regolamento è stata il punto di arrivo di un percorso che, come ha mostrato una bozza del documento circolata qualche giorno prima della sua pubblicazione, ha previsto anche una sorta di bando agli imballaggi in bioplastica, con alcune eccezioni. Nella bozza, infatti, il passaggio citato era assente, mentre venivano stabilite regole molto rigide per limitare il campo di applicazione delle plastiche compostabili: si sarebbero dovute utilizzare solamente nell’ambito dell’agenda relativa alla gestione dello scarto organico e non in quella relativa alla sostituzione delle plastiche. Per l’uso delle bioplastiche compostabili veniva dato via libera alle sole bustine di tè, cialde di caffè, etichette adesive per frutta e verdura e i sacchetti di plastica molto leggeri (come nella versione definitiva del documento). Divieto per ogni altro tipo di imballaggio.
Dopo aver rinunciato a questa rigida limitazione, nel Quadro politico la Commissione cerca di tracciare il perimetro per l’effettiva sostenibilità delle bioplastiche. Quindi, ad esempio, in linea con la strategia forestale dell’UE per il 2030, nell’ambito della revisione della Direttiva sulle Energie Rinnovabili (REDIII) del luglio 2021, la biomassa utilizzata per produrre plastica a base biologica dovrebbe secondo la Commissione soddisfare i criteri di sostenibilità dell’UE per la bioenergia.
L’uso di materie plastiche biodegradabili dovrebbe essere limitato a quei materiali per i quali è provata una piena biodegradabilità in un periodo di tempo stabilito, per evitare che questi prodotti contribuiscano all’inquinamento dell’ambiente. E dovrebbe essere limitato ad applicazioni per la quali “la riduzione del consumo o il riutilizzo non sono opzioni praticabili e dove la rimozione completa, la raccolta e il riciclaggio dei prodotti in plastica non è fattibile”. Insomma viene confermato il ruolo della gerarchia europea dei rifiuti.
Attenzione alla semplice e pigra scelta della “sostituzione”, avverte la Commissione. “Sostituire la plastica convenzionale con quella biodegradabile rischia di rallentare lo sviluppo di soluzioni di economia circolare basato sulla riduzione dei rifiuti e sul riutilizzo di tali prodotti. Rischia anche di disincentivare i progetti a riciclare la plastica per mantenere i materiali il più a lungo possibile, così come l’uso di più alternative sostenibili che non contengono plastica. Pertanto, le sostituzioni non dovrebbero essere considerate come una soluzione per la gestione inappropriata o l’abbandono dei rifiuti”. Secondo la Commissione si palesa, come vedremo anche più avanti, il rischio che le bioplastiche possano rallentare o ostacolare l’economia circolare della plastica tradizionale
In linea con i principi dell’economia circolare, i produttori dovrebbero dare la priorità all’uso di rifiuti organici e sottoprodotti come materia prima per la produzione delle bioplastiche, riducendo così al minimo l’uso di biomassa primaria. Quando si utilizza la biomassa primaria, “è importante garantire che sia rispettosa dell’ambiente e non danneggi la biodiversità o la salute degli ecosistemi”.
Anche gli additivi utilizzati per la produzione di plastiche biodegradabili o compostabili dovrebbero biodegradarsi “in modo sicuro e non essere dannosi per l’ambiente”. La loro presenza dovrebbe inoltre essere comunicata anche ai rivenditori e ai consumatori.
Venendo alla questione climatica, secondo la Commissione solo la plastica biobased usata per prodotti di lunga durata che non vengono inceneriti quando diventano rifiuti “ha effetti benefici di stoccaggio del carbonio. Per prodotti a vita breve, ovvero la maggior parte degli odierni prodotti biobased come gli imballaggi monouso, il carbonio inizialmente assorbito dall’atmosfera viene rapidamente rilasciato”.
Il rischio di contaminazione incrociata
La Commissione sottolinea come i sacchetti di plastica compostabili industrialmente usati per la raccolta differenziata dei rifiuti organici siano “una applicazione vantaggiosa”. Questi sacchetti possono ridurre l’inquinamento da plastica del compost legato alla presenza di quelli di plastica convenzionale. Tra gli esempi virtuosi si citano Italia e Spagna. Ma la Commissione avverte anche che non tutti i Paesi o le regioni hanno un sistema efficiente di gestione dei rifiuti organici, e che il rischio di “contaminazione incrociata” dei rifiuti (plastica tradizione e plastica compostabile) esiste: “Dove sono disponibili sul mercato per applicazioni simili sia in plastica convenzionale che plastiche compostabili, i consumatori hanno sempre meno chiaro come smaltire correttamente gli imballaggi in plastica compostabile con la conseguente contaminazione incrociata dei rifiuti di imballaggi in plastica convenzionali e compostabili che riduce la qualità delle materie prime secondarie risultanti”. Per questo gli imballaggi compostabili industrialmente, auspica l’esecutivo europeo, “dovrebbero mostrare il modo in cui devono essere gestiti mediante pittogrammi”: insomma etichette parlanti per ridurre gli errori.
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La reazione delle imprese
European Bioplastics (EUBP) ha accolto la proposta di Regolamento e il policy framework con “favore” ma anche con importanti riserve. “L’industria apprezza il primo quadro politico completo della Commissione sui materiali bioplastici innovativi in quanto ne riconosce il potenziale per fornire reali benefici ambientali. L’EUBP in particolare elogia l’approvazione da parte della Commissione dell’importante ruolo degli imballaggi in plastica compostabile nelle norme sugli imballaggi proposte per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi in materia di rifiuti e clima”, ha commentato Hasso von Pogrell, amministratore delegato di EUBP. Tuttavia, “ci saremmo aspettati un sostegno più forte per l’uso di materie prime a base biologica”. EUBP plaude al passo indietro sul bando agli imballaggi in bioplastica ma punta il dito contro “alcuni malintesi persistenti per quanto riguarda l’uso del suolo, i metodi utilizzati per valutare i benefici ambientali, presunti rischi di contaminazione incrociata dei flussi di rifiuti”, ha aggiunto von Pogrell. Per questo, “la proposta di nuove norme sugli imballaggi deve ancora essere migliorata. In particolare, il Regolamento non riesce a promuovere il contenuto biologico allo stesso modo di quanto fatto con il contenuto riciclato attraverso obiettivi”.
Assobioplastiche, l’Associazione Italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili, aveva bocciato duramente la bozza circolata nelle settimane precedenti la pubblicazione del Regolamento, esprimendo “forte sconcerto”: per “un problema di merito (penalizzazione di alcuni materiali di imballaggio rispetto ad altri), ma anche di metodo nel processo decisionale europeo, quando si adottano normative così impattanti sulle imprese, il tessuto economico-sociale e i cittadini, in assenza di solidi agganci su chiare e trasparenti valutazioni scientifiche”. Dopo la pubblicazione del Regolamento, l’associazione non ha ancora preso posizione. Stesso discorso per Biorepack, il consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile.
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