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lunedì, Maggio 13, 2024

Cosa c’è da sapere sul Regolamento Ue sugli imballaggi in arrivo

Riuso contro riciclo? Una mannaia per le bioplastiche? Il nuovo Regolamento europeo sugli imballaggi, che la Commissione presenterà il 30 novembre, uccide davvero l’economia circolare? Abbiamo analizzato la bozza circolata le scorse settimana e dato voce ai diversi punti di vista

Carlotta Indiano
Carlotta Indiano
Classe ‘93. Giornalista freelance. Laureata in Cooperazione e Sviluppo e diplomata alla Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso a Roma. Si occupa di ambiente ed energia. Il suo lavoro è basato su un approccio intersezionale, femminista e decoloniale. Scrive per IrpiMedia e collabora con altre testate.

Tra pochi giorni la Commissione Europea presenterà la proposta di Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggi. La diffusione di una bozza del documento da parte dell’EU Issue Tracker, il 19 ottobre scorso, ha scatenato un’aspra polemica: visionaria per alcuni, ideologica per altri, la proposta salvo ripensamenti vedrà la luce il 30 novembre.

Intanto nell’industria del riciclo del packaging e delle bevande serpeggia il malcontento, si evoca la morte dell’economia circolare e in Italia il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, parla di un impatto “devastante” sull’industria italiana. Un’industria definita “all’avanguardia su queste tematiche, tanto che oggi gli imballaggi sottratti alla discarica sono l’84%”.

Sulla bozza di direttiva si è espresso anche il Ministero della Transizione ecologica (ormai dell’Ambiente e della Sicurezza energetica), che in una nota stampa del 4 novembre si è detto perplesso “sia per il veicolo normativo scelto, un regolamento, che non lascia alcuna flessibilità di applicazione, sia per i contenuti”. Sulla questione è tornato poi, intervenendo all’Assemblea nazionale dell’Anci lo scorso 23 novembre, il ministro dell’Ambiente e Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin che ha ribadito la posizione: “Se l’Unione europea vuole spingere sul riutilizzo piuttosto che sul riciclo, togliere lo squilibrio non vuol dire che l’Italia debba tornare indietro: devono essere gli altri Paesi europei a fare il passo in avanti”. 

Un iter partecipato e ancora da completare

Il “veicolo normativo” che preoccupa così tanto Confindustria e Ministero è appunto il Regolamento, che per sua natura è autoapplicativo, non ha bisogno cioè di essere recepito dall’ordinamento nazionale, come invece accade con le direttive. Il timore è che, davanti a una normativa europea che interviene direttamente a modificare quella italiana, gruppi di interessi e stakeholder del settore non avrebbero spazio di manovra. Non è infrequente, infatti, che l’applicazione di direttive europee nell’ordinamento nazionale abbia dato luogo a interventi che poi hanno creato conflitti con le istituzioni comunitarie. Il caso più recente nel settore dei rifiuti riguarda il recepimento della direttiva SUP (Single Use Plastic) sulle plastiche monouso, che tuttora vede pendente il rischio di una procedura di infrazione, per la modalità con cui il legislatore italiano ha effettuato il recepimento, forzando alcuni passaggi con l’obiettivo di assecondare le richieste che arrivavano da alcuni settori produttivi.

Va aggiunto che il Regolamento sugli imballaggi arriva, come si può leggere nel documento stesso, a valle di una fase consultiva che ha coinvolto più di 800 organizzazioni attraverso richieste di feedback iniziali, questionari pubblici per gli Stati membri, webinar e workshop online: un iter che di sicuro non fa pensare a una “imposizione dall’alto” come ha affermato qualcuno. A maggior ragione se si considera che la data del 30 novembre non rappresenta il momento conclusivo dell’iter di attuazione del provvedimento: la proposta di cui è trapelata una bozza dovrà infatti passare per il Parlamento Europeo, per il Consiglio e per la cosiddetta “Trilaterazione delle Decisioni” (Europarlamento, Consiglio, Commissione) per poi essere approvata, probabilmente a valle di alcune mediazioni, e infine applicata in tutti gli Stati membri.

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Riutilizzo contro riciclo: la protesta delle imprese

Passando ai contenuti contestati da diversi settori industriali, va detto in premessa che il documento prende le mosse da una considerazione sistemica: l’impatto ambientale del packaging – ovvero l’imballaggio e imbottigliamento di prodotti – è ancora troppo elevato e servono sforzi maggiori in tutti i Paesi membri. Come si legge nella bozza circolata in queste settimane, gli obiettivi principali sono tre: ridurre l’attuale livello di produzione di rifiuti da packaging, promuovere i principi dell’economia circolare nel settore e incrementare l’uso di materiale riciclato negli imballaggi.

L’obiettivo della riduzione non si limita a produrre meno rifiuti ma ambisce a ridurre sensibilmente peso e tipologie non necessarie di imballaggi, limitando principalmente la quantità dei materiali (plastica, vetro, carta, alluminio, ecc.) dispersi, aumentando il riciclo e iniziando a lavorare anche sulla determinante del riuso del packaging.

Proprio il tema del packaging riutilizzabile – e in particolare l’obiettivo di riutilizzare il 95% degli imballaggi di bevande da asporto entro il 2040è finito nel mirino delle imprese e di diverse associazioni di categoria, secondo cui non sempre il riutilizzo porta più benefici ambientali e in ogni caso puntare sul riuso significa penalizzare fortemente l’eccellenza italiana nel settore del riciclo. Marco Pagani, Direttore Normativa e Rapporti Istituzionali di Federdistribuzione, spiega che “il tasso di riciclo degli imballaggi negli ultimi anni in Italia ha superato ogni previsione, con percentuali intorno al 70%, raggiungendo con anni di anticipo gli obiettivi previsti dall’Europa per il 2030”. Per Pagani è “inadatto che un Regolamento UE vada a disciplinare la materia, mentre sarebbe più opportuno l’utilizzo di una Direttiva come linea di indirizzo che lasci agli Stati membri la possibilità di trovare gli strumenti migliori per sviluppare le rispettive strategie di economia circolare e per implementare i propri sistemi industriali che operano nella gestione dei rifiuti, con tempi di attuazione adeguati”.

La scelta del Regolamento, però, a questo punto appare immodificabile, anche se dopo la levata di scudi delle imprese arrivano notizie da Bruxelles circa una possibile revisione al ribasso del target di riutilizzo al 2040. 

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“Conflitto tra riuso e riciclo? Una narrazione fuorviante”

Ma proseguiamo nella lettura della bozza, che prevede anche limiti all’uso di materiali inquinanti: il secondo Capitolo stabilisce infatti un limite di 100 mh/kg per i livelli di piombo, cadmio, mercurio e cromo esavalente presenti nel packaging o nelle sue componenti. E nello stesso capitolo, il documento propone un aumento dei contenuti minimi di quantitativi di materiale riciclato per il packaging in plastica.

Dal 2030 i livelli minimi di materiale riciclato saranno dunque: 25% per gli imballaggi in plastica sensibili al contatto; 50% per le bottiglie di plastica monouso per bevande; 45% per tutti gli altri imballaggi in plastica. Dal 2040 si passerà al 50% per gli imballaggi in plastica sensibili al contatto; al 65% per le bottiglie di plastica monouso per bevande e al 65% per tutti gli altri imballaggi in plastica.

Per Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace dal 2015 e autore del libro “Non tutto il mare è perduto”, questi obiettivi di contenuto riciclato negli imballaggi sono la conferma che “la narrazione degli ambienti industriali, secondo cui la proposta punta solo sul riuso a scapito del riciclo, è altamente fuorviante. Nel regolamento c’è un obiettivo di impiego di materiale riciclato in alcune applicazioni della plastica che rappresenta un volano per far crescere il mercato delle materie prime seconde”. Da un lato innalzare gli obiettivi di riciclo effettivo per tutti i materiali da packaging significa spingere a migliorare e a consolidare la raccolta differenziata e, dall’altro, prevedere percentuali più elevate di contenuto riciclato fa aumentare la domanda di materiali riciclati.

Ungherese non ravvede un conflitto tra riuso e riciclo ma un indispensabile concorso di fattori: “Di fatto – spiega – prevenzione, riciclo e riuso sono tre delle direttrici che ci possono aiutare a costruire l’economia circolare e sono sinergiche, non in antitesi tra di loro. Si rafforzano per garantire la vera economia circolare”.

Il nono capitolo della bozza, infatti, stabilisce obiettivi generali di riciclo per tutti i materiali: entro il 2025 il 65% in peso di tutti i rifiuti per gli imballaggi dovranno essere riciclati, con minimi individuali per categoria: 25% per il legno, 50% per la plastica e alluminio, 70% per vetro e metalli ferrosi e 75% per carta e cartone. Entro il 2030, l’obiettivo complessivo salirà al 70%, con aumenti singoli: 30% per il legno, 55% per la plastica, 60% per l’alluminio, 75% per il vetro, 80% per i metalli ferrosi e 85% per carta e cartone.

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Più spazio al riuso per e-commerce, food delivery e take away

Il timore che uno slittamento di interesse verso il riuso con conseguente rischio per 7 milioni di posti di lavoro nel settore del riciclo non sembra trovare conferma se si guarda alle percentuali di riciclo appena citate.

“Quando parliamo di economia circolare, in Italia si pensa solo al riciclo, mentre la prevenzione e il riutilizzo sono figli di un dio minore. Questa bozza inizia a porre rimedio, arrivando a ridurre del 15% entro il 2045 la produzione pro capite di rifiuti da imballaggio”, prosegue Ungherese. Ciascuno di noi, in pratica, farà più spesso ricorso a un contenitore che viene sanificato e riutilizzato, senza che sia necessario gettarlo via. Quote crescenti di riuso sono previste dal regolamento solo per alcuni settori specifici, quelli più vocati e in cui già oggi si stanno diffondendo esperienze viruose: bevande fredde e calde, contenitori per il cibo da asporto, imballaggi per il trasporto e per l’e-commerce. 

Per dare i numeri precisi, dal 1 gennaio 2030 gli operatori economici dovranno assicurare che il 90% dei grandi elettrodomestici immessi sul mercato per la prima volta dovranno essere trasportati in imballaggi riutilizzabili. Entro il 2030 il 30% delle bevande fredde e calde per la vendita e il take-away dovranno essere servite in bottiglie riutilizzabili, la percentuale – che come accennavamo potrebbe essere rivista – sale al 95% entro il 2040. Stessa cosa per il cibo da asporto, le bevande alcoliche e analcoliche: 20% in imballaggi riutilizzabili entro il 2030 e 75% entro il 2040. 

Il 50% di pallet, casse, scatole pieghevoli, secchi e fusti per il trasporto e l’imballaggio di merci dovrà essere riutilizzabile entro il 2030. La percentuale si alza al 90% entro il 2040, mentre gli imballaggi per il trasporto di oggetti attraverso l’e-commerce dovranno garantire che il 20% materiale utilizzato sia riutilizzabile entro il 2030 e l’80% entro il 2040. Gli imballaggi per pallet, le cinghie e le protezioni di prodotti messi su pallet dovranno essere riutilizzabili al 20% entro il 2030 e al 75% entro il 2040. Così come il 10% degli imballaggi multipli come le scatole per gli stoccaggi usati nel trasporto dovranno essere riutilizzabili entro il 2030 e al 50% entro il 2040. 

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Un malinteso sui sistemi di deposito su cauzione?

A far storcere il naso ad alcuni è stata anche la previsione espressa, nella bozza di regolamento, di una “introduzione al 2028 del deposito cauzionale (in inglese DRS, Deposit return system). Il sistema di deposito e restituzione è in realtà previsto solo per le bottiglie di plastica monouso fino a 3 litri e per i contenitori di bevande monouso in metallo fino a 3 litri. Qualora si raggiunga il 90% di raccolta dei materiali per gli imballaggi, gli Stati membri possono decidere di non adottarlo.

Per Marco Pagani di Federdistribuzione “i sistemi DRS in diversi Paesi non hanno creato efficienza ma, in alcuni casi, hanno danneggiato il sistema di raccolta e riciclo già operante. È quindi indispensabile un’implementazione con i tempi e le cautele adeguate, secondo regole di buon senso che non appesantiscano troppo il costo per i consumatori, soprattutto in un momento come quello che stiamo attraversando. I punti di vendita potranno anche dare un contributo in questa direzione, ma non possono diventare un sostituto dei centri di raccolta autorizzati: non si possono trasformare i luoghi del commercio e dello shopping in centri di smistamento rifiuti“.

Per il coordinatore scientifico di Zero Waste Europe Enzo Favoino, però, la lettura secondo cui il regolamento prevedrebbe il DRS come strumento per il riuso è del tutto infondata. “Hanno scambiato il deposito cauzionale con il vuoto a rendere e quindi con uno strumento solamente di riuso” spiega a EconomiaCircolare.com Favoino. “Anzitutto, l’introduzione del deposito cauzionale è prevista per plastica e lattine, materiali vocati al riciclo, non al riuso. Più in generale, il vantaggio del deposito è relativo al consolidamento di tutta la filiera del riciclo. Il deposito cauzionale, infatti, massimizza le intercettazioni di risorse altrimenti disperse, ne garantisce una maggiore qualità, e ne può veicolare l’impiego verso forme di riciclo più qualificate, come il riciclo closed loop, da bottiglia a bottiglia e da lattina a lattina”, mentre oggi purtroppo il PET finisce in settori, come i filati per abbigliamento, prettamente lineari, e l’alluminio viene in gran parte deviato ad applicazioni in altri settori come l’automobilistica.

“Con il deposito cauzionale si tende invece a massimizzare la quota di riciclo effettivo, preservandolo per le applicazioni più nobili, e viene annullato il fenomeno del littering di tali materiali, con conseguente alleggerimento per i costi a carico delle amministrazioni locali” che dovranno raccogliere meno rifiuti dispersi nell’ambiente.

Leggi anche: Tornare alle buone pratiche di riuso: la campagna di Zero Waste Europe

Meno spazio per le bioplastiche, ma il settore non ci sta

Il documento che vedrà la luce, nella sua versione “ufficiale” il 30 novembre, definisce anche il campo di applicazione delle plastiche compostabili, che secondo l’impostazione della proposta UE vanno considerate solamente nell’ambito dell’agenda relativa alla gestione dello scarto organico e non in quella relativa alla sostituzione delle plastiche. Stando alla bozza, l’utilizzo di questi materiali è possibile soltanto se migliora la raccolta di scarti organici (il testo parla di “un chiaro beneficio per l’ambiente e la salute umana”).

Le bioplastiche compostabili si potranno quindi usare esclusivamente per alcune tipologie di oggetti: le bustine di tè, le cialde di caffè smaltite insieme ai prodotti di caffè, le etichette adesive attaccate a frutta e verdura e i sacchetti di plastica molto leggeri. Tutti questi prodotti dovranno essere obbligatoriamente compostabili. Mentre, recita la bozza di regolamento, “gli altri imballaggi non devono essere compostabili”.

Una proposta che dunque delimita con chiarezza il campo di applicazione delle plastiche compostabili: viene inoltre autorizzata la Commissione ad adottare atti delegati per modificare l’elenco degli imballaggi che devono essere compostabili, ma nel rispetto dei principi stabiliti. Dinanzi a questo scenario, Assobioplastiche, l’Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili, ha espresso “forte sconcerto”, ritenendo che il Regolamento, nella versione fin qui nota, “violi una serie di principi basilari come quelli di proporzionalità e neutralità tecnologica”.

Ancora pochi giorni e sapremo se la rivoluzione annunciata dalla bozza troverà conferma nella versione del Regolamento che la commissione porterà all’esame delle altre istituzioni comunitarie. Intanto i settori industriali che si sentono danneggiati dalle nuove previsioni continuano a far sentire la loro voce, in Italia e non solo. Ma c’è anche chi, come la coalizione di Ong, associazioni di categoria e imprese europee che il 22 novembre ha rivolto un appello alla Commissione Ue, chiede che non si facciano passi indietro né sui tempi di presentazione del Regolamento, la cui discussione rischierebbe altrimenti di andare oltre la legislatura, né sull’ambizione degli obiettivi che, anzi, a loro avviso dovrebbe essere ancora maggiore.

Leggi anche: Le bioplastiche? “In natura hanno tempi di degradazione comparabili alle plastiche non bio”

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