giovedì, Novembre 6, 2025

Candiani Denim: jeans a basso impatto e senza rischio microplastiche

L’azienda italiana ha sostituito l’elastan dei jeans, che ha un impatto ambientale elevato e rilascia microplastiche, con un materiale in caucciù biodegradabile, facile da riciclare e con gli scarti fertilizza il terreno. L’ispirazione? È arrivata in osteria, osservando le reti che reggono i salumi

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Un tessuto bio-based che elimina microplastiche e riduce gli impatti nel settore dell’abbigliamento, rispetta i principi dell’economia circolare e cura l’intero ciclo di vita del prodotto e oltre, visto che è un esempio di agricoltura rigenerativa e i tessuti a fine vita possono diventare fertilizzante per i terreni in cui si coltiva il cotone che formerà nuovi capi. Scoprire un prodotto simile non è stato semplice, e per Candiani Denimazienda nata nel 1938 in un paese alle porte di Milano e che si è affermata a livello internazionale come produttore di denim jeans – ci sono voluti anni di ricerca. Ma ce l’hanno fatta e l’ispirazione è arrivata da qualcosa di tipicamente legato al territorio e alla cucina italiana: le reticelle dei salumi che vediamo appesi nelle osterie e nei negozi di gastronomia.

Un percorso che racconta Simon Giuliani, direttore marketing di Candiani Denim, nell’intervista con EconomiaCircolare.com a margine del Made in Italy Innovation Forum, organizzato a Cernobbio dal 23 al 25 giugno e promosso dalla Fondazione MICSMade in Italy circolare e sostenibile. Candiani Denim era tra le aziende partecipanti e il prodotto Coreva è un chiaro esempio di come l’azienda sia riuscita a conciliare l’innovazione tecnologica e la qualità del prodotto con le esigenze delle sostenibilità e dell’economia circolare. Coreva, infatti, è il primo denim elasticizzato a base vegetale compostabile e biodegradabile, ottenuto usando cotone e gomma naturale e privo di sostanze chimiche e microplastiche.

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Coreva, la grande innovazione di Candiani Denim

Jeans

“L’azienda si era posta come obiettivo di trovare un’alternativa bio-based all’elastan, il materiale sintetico con cui viene normalmente prodotto il denim stretch dei jeans e che li rende particolarmente elastici”, è stata la premessa di Giuliani. Questa fibra sintetica a cui l’industria tessile negli ultimi anni ha fatto larghissimo ricorso ha il problema fondamentale di essere un derivato dal petrolio e pertanto di avere un alto impatto ambientale durante il suo ciclo di produzione, di utilizzo e di smaltimento perché rilascia nell’ambiente sostanze chimiche tossiche, plastiche o microplastiche, pericolose per la salute dell’ambiente e per quella umana: “Quando il jeans finisce in discarica o è disperso nell’ambiente la fibra in cotone si biodegrada, mentre l’elastan permane per almeno 300 anni per poi scomporsi in micoplastiche”, precisa il responsabile marketing di Candiani Denim.

Nessuno, finora, aveva sviluppato un prodotto industriale non a base sintetica di petrolio che potesse sostituirlo. La nuova tecnologia bio-based è stata brevettata da Candiani Denim e utilizza dei filati elastici ricavati dalla gomma naturale. Il cotone organico o rigenerativo si avvolge attorno all’anima di gomma naturale, creando un prodotto privo di plastica senza compromettere la qualità, l’elasticità e la durata del tessuto. La cosa straordinaria è come l’azienda è arrivata a utilizzare questa gomma naturale: “Tutto è cominciato osservando una di quelle reti elastiche che avvolge i salumi: la prima cosa che abbiamo pensato è che se quel materiale elastico era adatto per il contatto con gli alimenti, avrebbe potuto essere compatibile anche con l’ambiente”.

Quelle reti erano in caucciù, cioè gomma naturale: “Da lì è cominciata un’avventura durata cinque anni e fatta di ricerche, ostacoli e ingenti investimenti. Quando abbiamo avuto la certezza che il risultato fosse all’altezza, lo abbiamo presentato sul mercato. Il brevetto si chiama Coreva ed è il primo tessuto stretch elasticizzato paragonabile come performance elastica e durevolezza a un jeans strech convenzionale, ma fatto di gomma naturale, quindi totalmente bio-based, 100% biodegradabile e compostabile”, racconta Giuliani. Come hanno dimostrato i test in laboratorio secondo gli standard europei fissati dalla EN 13432, infatti, i tessuti Coreva hanno la capacità di decomporsi in meno di sei mesi, trasformandosi in compost.

Non solo: una volta biodegradato, il materiale aiuta le piante nella crescita e diventa ammendante per il terreno: una sorta di fertilizzante, che può essere utilizzato per coltivare le materie prime che formeranno il tessuto di domani, collegando il denim all’agricoltura rigenerativa. Insomma, la chiusura vera e propria del cerchio: “Partiamo dal terreno — il cotone come materia prima — lo trasformiamo in un jeans, e poi, a fine vita, quando smettiamo di indossare il capo e lo ricicliamo, usiamo le fibre per produrre nuovi jeans e prendendo lo scarto del processo di riciclo e lo restituiamo al terreno”, riassume Giuliani.

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Riciclo pre e post consumo: come non sprecare nemmeno uno scarto

Jenas

La visione circolare di Candiani Denim non si limita al solo Coreva, come spiega il direttore marketing a EconomiaCircolare.com: “Per prima cosa ricicliamo il 100% degli scarti”, spiega Giuliani. Alcuni scarti, che non possono essere direttamente riutilizzati, vengono inviati a filiere esterne dove sono impiegati per altri usi: “Nel reparto di filatura o orditura, alcune fibre vengono aspirate durante il processo e risultano troppo corte per essere ri-filate. Si tratta di un materiale simile a pulviscolo – spiega Giuliani – che, però, viene combinato con altre fibre di scarto e utilizzato per realizzare, ad esempio, quei tappetini compressi che il pittore porta con sé quando entra in casa per tinteggiare”.

Le fasi di riciclo dei capi sono sostanzialmente due. Una tipologia è il riciclo pre-consumer, ovvero i capi invenduti dai marchi. Quando un marchio sbaglia le stime di vendita e non riesce a vendere una parte della collezione prodotta, si ritrova con prodotti nuovi da riciclare. In questi casi, la qualità della fibra è ancora molto alta, per cui è possibile ricavare materiale da rifilare, tessere e trasformare in nuovi tessuti e capi. Oppure c’è il riciclo post-consumo, che riguarda i capi usati: “Una volta che un paio di jeans è stato portato a lungo, riparato più volte e sfruttato a pieno, arriva comunque un momento in cui non può più essere indossato e deve essere riciclato. In questa fase, una parte della fibra può essere recuperata per la produzione di nuovi tessuti, ma una parte resterà inevitabilmente come scarto, che dovrà essere smaltito”, spiega Giuliani.

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Il riciclo post consumo: la filiera di Candiani Denim

Fare riciclo post consumo di qualità è la fase più delicata per un’industria tessile che non voglia cadere nel greenwashing: “Il primo aspetto su cui bisogna stare attenti è l’impronta di carbonio del riciclo”, spiega Giuliani: “Se raccolgo i capi ad Amsterdam, li spedisco in Spagna perché siano sfilacciati, poi il filato è inviato in Pakistan perché torni nuovo tessuto, poi in Bangladesh per trasformarlo in abito e, infine, l’abito è inviato nuovamente ad Amsterdam per la vendita, è evidente come il processo non possa essere definito sostenibile e sicuramente l’impronta di carbonio non può essere giustificata da un capo con il 5% di fibra riciclata”, spiega Giuliani.

Per migliorare la fase del riciclo Candiani Denim ha avviato una collaborazione con Humana People to People Italia, un’organizzazione da anni attiva nella raccolta e riciclo degli abiti e con un centro di raccolta e smistamento a pochi chilometri dalla sede di Candiani Denim, che acquista tutto il jeans stracciato e in condizioni impossibili da riutilizzare per avviarlo alla fase di riciclo “a chilometro zero”, riducendo dunque ulteriormente gli impatti. Si parla di circa 4 tonnellate ogni mese.

Cotone

Per quanto riguarda la fase di riciclo vera e propria delle fibre “innanzitutto noi facciamo solo riciclo meccanico e non chimico, ma la vera sfida è riuscire ad avere in ogni nuovo capo una quantità abbastanza rappresentativa di fibra riciclata, perché troppo spesso sentiamo dire ‘abito fatto con capi riciclati’ quando poi dentro c’è solo il 3-4% di fibra riciclata”, spiega Giuliani. Candiani Denim, invece, è riuscita a realizzare alcuni tessuti, come il denim ReGen, composti per il 50% cotone riciclato e per il 50% da fibre cellulosiche Tencel (una fibra ottenuta dalla cellulosa del legno) riciclate con tecnologia Refibra, “che rappresenta una qualità altissima in termini di recupero di fibra”.

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Non sempre arrivare a questo livello di riciclo è possibile, per ragioni tecniche. Per ottimizzare in ogni caso il rapporto tra fibra riciclata e materia prima vergine Candiani Denim utilizza un cotone coltivato in Spagna secondo i principi dell’agricoltura rigenerativa e quindi in grado di compensare ulteriormente le emissioni perché c’è un sequestro di carbonio. Non solo: questa varietà di cotone, brevettata da Candiani Denim con il nome Blue Seed, è il risultato di un incrocio naturale che consente di avere una fibra più lunga e resistente della media di circa il 30%.

Quando il cotone Blue Seed viene mischiato insieme alle fibre riciclate, queste caratteristiche consentono di utilizzare una percentuale superiore alla media di fibra riciclata nel nuovo filato. Insomma: un cotone coltivato in maniera sostenibile, con una durevolezza maggiore e una carbon footprint ridotta ed effetti positivi sull’intero riciclo di vita. Questo tessuto denim riciclato Candiani, non a caso, ha vinto il premio della Camera Nazionale della Moda durante la Settimana della Moda del 2023 ed è un esempio di come sia possibile affrontare il riciclo post-consumo per trasformare uno scarto in un prodotto premium.

 © Riproduzione riservata

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