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domenica, Dicembre 15, 2024

L’economia circolare “for dummies” nella celebre collana Usa. “Ci sono tanti esempi in natura”

In un volume di più di 400 pagine, pubblicato lo scorso aprile, lo scienziato ambientale Kyle J. Ritchie e l'architetto Eric Cory Freed si rivolgono soprattutto ai neofiti (i cosiddetti "dummies") ma anche agli esperti di economia circolare, attraverso un linguaggio semplice e una miriade di esempi

Maurita Cardone
Maurita Cardone
Giornalista freelance, pr e organizzatrice culturale, ha lavorato per diverse testate tra cui Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia. Abruzzese trapiantata a New York dove è stata vicedirettore di una testata italiana online, attualmente è corrispondente dagli USA per Artribune oltre a collaborare con diversi media italiani e non. Si occupa di temi sociali e culturali con particolare attenzione alle intersezioni tra arte e attivismo.

Sulla piattaforma di Economiacircolare.com ci sforziamo quotidianamente di raccontare e rendere accessibili a tutti le alternative a quella linearità che ha prodotto il mondo di sprechi in cui viviamo oggi. C’è chi la stessa cosa la fa con un libro, un manualozzo di oltre quattrocento pagine, uscito negli Stati Uniti lo scorso aprile, all’interno della famosa collana didattica “for dummies”. Lo scienziato ambientale Kyle J. Ritchie e l’architetto Eric Cory Freed sono gli autori di Circular Economy for dummies. Abbiamo intervistato Ritchie per farci raccontare cosa c’è tra quelle pagine e con quale obiettivo sono state scritte.

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 Come è nata l’idea di scrivere questo libro e perché?

Eric Cory Freed ed io siamo i coautori del libro: lui viene da un’esperienza trentennale come architetto, mentre io vengo dalle scienze ambientali, anche se capita che lavori nell’industria architettonica. Quindi per me l’economia circolare è il modo in cui l’uomo può replicare i sistemi naturali. Per Eric, era un modo per ottimizzare l’architettura e il design. Partiamo da diversi background e punti di vista, ma siamo arrivati  alla stessa consapevolazza di essere incappati in qualcosa di speciale. Dopo aver fatto ricerche, ci siamo accorti che l’economia circolare è un concetto molto giovane negli Stati Uniti, ma molto diffuso in altre parti del mondo, come il Regno Unito e persino l’Africa. Quindi abbiamo identificato la necessità di far conoscere l’argomento.

A chi è rivolto? Chi è il vostro pubblico?

È rivolto a chiunque non abbia la minima idea di cosa sia l’economia circolare. Ma allo stesso tempo approfondisce dei temi specifici che possono interessare professionisti di determinati settori. Abbiamo fatto del nostro meglio per renderlo digeribile per le persone che sono all’oscuro del tema, ma anche fornire alcuni contenuti da cui, anche chi è più esperto e coinvolto nell’economia circolare, può imparare qualcosa. Abbiamo cercato di mantenere un equilibrio tra pubblico generalista, il tipico dummy, e addetti ai lavori.

Quali sono i concetti più difficili da comunicare al tipico dummy? Cos’è dell’economia circolare che secondo te è più complicato afferrare per la gente comune?

Ogni volta che parlo con persone che non hanno familiarità con l’argomento, le maggiori perplessità si sollevano quando dico che i rifiuti non sono una componente necessaria del modo in cui noi umani facciamo le cose. I rifiuti sono sempre stati parte della struttura della nostra civiltà, una realtà costante e accettata da tutti. Per questo, quando dico che i rifiuti non devono esistere per forza, che sono semplicemente risorse inutilizzate, è lì che cominciano ad alzarsi muri: la gente pensa che sia solo teoria non applicabile nella pratica. Ma se poi inizi a fornire degli esempi, alcuni mattoni vengono rimossi da quel muro e la gente passa da confusione e incredulità a incoraggiamento e desiderio di saperne di più.

Quali sono gli esempi che funzionano di più in questo senso?

Gli scienziati ambientali partono sempre dalla natura: ci sono così tanti esempi nel mondo naturale. Io uso sempre l’esempio dell’albero, perché è un pezzo sostanziale del sistema ecologico, è la successione ecologica per eccellenza. Un albero non solo fornisce l’habitat per gli animali e gli insetti nel terreno, ma le foglie, la corteccia e i frutti che cadono dall’albero si trasformano in uno stato che consente all’albero stesso di riassorbire e riutilizzare quella materia. Dal punto di vista di Eric, che si muove in un ambito più propriamente accademico, in genere si portano molti esempi relativi alla ristorazione nei campus. Quindi per esempio si possono esplorare possibilità per evitare gli utensili in plastica monouso e preferire quelli compostabili, facendo poi del compost una risorsa per il campus e per le attività accademiche. Altri esempi utili vengono dalle aziende: Adidas produce scarpe realizzate esclusivamente con plastica recuperata dagli oceani, quindi prendono quello che una volta era uno scarto e lo trasformano in materiale prezioso; Patagonia ha un programma che consente ai consumatori di restituire i prodotti precedentemente acquistati e utilizzati. Gli esempi sono tanti, ma la linea comune è che si inizia a vedere l’economia circolare in pratica, e non solo nella sua funzione di eliminazione degli sprechi, ma nella sua possibilità di rappresentare un approccio aziendale migliore rispetto al tipico modello lineare che crea sprechi e che ha dominato l’economia finora.

C’è un intero capitolo del libro dedicato alla crescente domanda di circolarità. Da dove viene questa richiesta? Chi sono i soggetti interessati?

Credo che ogni stakeholder in una certa misura, che ne sia consapevole o meno, possa beneficiare da questa transizione verso un’economia circolare e in qualche modo la richieda. Anche il consumatore che non abbia mai sentito parlare di economia circolare cercherà modi più convenienti per ottenere ciò che desidera. E questo è uno dei vantaggi di questo modello: se mantieni i materiali in circolazione, essenzialmente rimuovi il costo associato alla produzione di nuovi materiali e il risparmio sui costi si rifletterà sul prezzo d’acquisto. Allo stesso modo, quando usufruiamo di un servizio invece che possedere un prodotto, eliminiamo costi di manutenzione, riparazione, distribuzione. Come avviene per esempio con Uber: stai utilizzando un’auto come servizio, non possiedi l’auto. Insomma credo che anche se la gente non sa cosa sia l’economia circolare, c’è sicuramente una richiesta.

E per quanto riguarda i governi? Esiste una spinta politica verso l’economia circolare?

Anche i governi che cercano di promuovere modelli più efficienti contribuiscono alla domanda di economia circolare, ma da quello che ho potuto osservare la spinta maggiore viene da paesi meno sviluppati o in via di sviluppo che semplicemente apprezzano molto di più ciò che hanno perché hanno meno. La spinta viene da governi che cercano modi più efficaci per massimizzare ciò a cui hanno già accesso.

Prima dicevi che negli Usa l’economia circolare è un concetto ancora giovane. Ti sei fatto un’idea del perché questo modello non si sia ancora diffuso?

Questa è una delle cose che mi lasciano ancora perplesso e non sono sicuro di avere una risposta. L’opportunità di far diventare l’economia circolare più mainstream esiste anche negli Stati Uniti: nello scrivere il libro abbiamo incontrato tante aziende con sede negli Usa che stanno incorporando l’economia circolare e quel numero sembra crescere. Ma non è ancora mainstream e non sono certo del perché: penso che con il concetto di sostenibilità siamo finiti in un limbo. In generale quella parola è ormai un po’ stiracchiata, è una definizione debole che non ha più molto significato. Siamo fermi lì. Quindi penso davvero che l’economia circolare potrebbe essere un modo per ripartire e puntare oltre la sostenibilità. Essere sostenibile non è poi gran che, se ci pensi. Se qualcuno ti chiedesse come va il tuo matrimonio e tu rispondessi che è sostenibile, non sarebbe una buona cosa, no?  L’economia circolare punta a qualcosa in più che la sostenibilità, mira a ottenere di più da ciò che utilizzi, il che è rigenerativo piuttosto che sostenibile. Con questo libro io ed Eric speriamo di fare la nostra parte nel promuovere questi concetti e vederli diffondersi sempre di più.

Hai trovato motivi di ottimismo nel lavorare a questo libro?

La quantità di esempi che siamo stati in grado di trovare in aziende che non assoceresti necessariamente alla sostenibilità è incoraggiante. Anche le istituzioni basate sui combustibili fossili stanno cercando di capire come iniziare a chiudere il ciclo delle loro operazioni, il che è fantastico. Sono ottimista, sì. Cautamente ottimista forse, ma ottimista. Sicuramente più ora che prima di scrivere questo libro. Nel libro citiamo circa 350 aziende che in un modo o nell’altro si stanno avvicinando a questi concetti e stanno lavorando per implementare l’economia circolare come parte delle proprie attività. Quindi sì, sono più ottimista.

Puoi parlarci di come un modello circolare rappresenti un’opportunità per le aziende e che tipo di considerazioni le aziende debbano fare per rendere le proprie attività più circolari?

L’opportunità per l’imprenditore è nella valutazione dei cicli di vita dei prodotti e dei materiali esistenti e nell’identificazione di come riportare il materiale alla fonte. O come eliminare essenzialmente la necessità di scartare un prodotto. Come ho detto prima, nell’economia circolare i rifiuti non esistono. Il building deconstruction Institute, per esempio, fa ricerche per trovare modi per conservare il valore degli edifici quando vengono decostruiti. Normalmente, anche nel mio lavoro quotidiano, viene considerato un successo riuscire a deviare un 50 per cento dei rifiuti edili dalla discarica, ma il restante 50 per cento va sprecato. Non abbiamo ancora capito che questi materiali si possono riparare e riutilizzare. Ci sono tante opportunità per mantenere il valore esistente dei prodotti e gli imprenditori stanno iniziando a capirlo. Credo che cominceremo a vedere sempre di più i prodotti come servizi. Piuttosto che venderti un prodotto lasciando poi a te la responsabilità della manutenzione e riparazione, le aziende cominceranno a capire come colmare il divario tra il prodotto stesso e il potere che deriva dal provvedere al mantenimento del prodotto. Diventerà sempre più facile partecipare a un’economia circolare, saremo incentivati a farlo. E gli imprenditori troveranno modi per incentivare le persone a scegliere la loro strada piuttosto che il tradizionale modello take-make-waste. Al contrario di quello che avviene oggi che le aziende progettano prodotti pensati per non essere riparabili, come per esempio la Apple che addirittura fa telefoni che possono essere aperti solo con un giravite proprietario.

Citavi il settore edile. Si parla anche di architettura reversibile nel libro?

Nel libro usiamo l’espressione “decostruibile” più che reversibile, ma il concetto è lo stesso. L’idea è progettare tenendo presente la possibilità di smantellare gli edifici e riusarne i componenti. Bisogna prendere in considerazione come i diversi elementi dell’edificio sono assemblati e collegati: se non puoi separare due elementi di un edificio senza danneggiarli, l’edificio non è decostruibile. Il progettista ha una grossa responsabilità nell’assicurare che esista anche l’opportunità di decostruzione. E questo è il messaggio per qualunque settore voglia incorporare l’economia circolare: inizia tutto dalla progettazione del prodotto. Bisogna progettare prodotti con la vita futura già incorporata. Si inizia con il design.

Nel libro ci sono dei capitoli specifici per tre settori, cibo, design e abbigliamento. Questi sono i settori di cui si sente sempre parlare quando si tratta di economia circolare, ma sono gli unici?

I concetti di economia circolare sono applicabili a ogni settore. Nel libro abbiamo cercato un equilibrio tra ciò che è più popolare e ciò che ha più peso come industria. L’abbigliamento ha entrambe le cose. Se avessimo fatto a modo nostro avremmo avuto 4000 capitoli e avremmo parlato anche di settori più piccoli. Ma abbiamo voluto trovare temi che fossero familiari per tutti e tutti indossano vestiti, tutti mangiano. Abbiamo voluto usare esempi facili e riconoscibili, facendo anche riferimento ad aziende che tutti conoscono. In questo modo speriamo di dare anche più credibilità a concetti che per molti sono del tutto nuovi. Ma è vero: ci sono molti altri mercati che non sono rappresentati. Forse sarà occasione per un altro libro. Spero tuttavia che non passi il messaggio c’è un limite all’applicazione dell’economia circolare.

Perché questo modello si diffonda a tutti i settori potrebbe essere necessaria una trasformazione culturale. Come possiamo iniziare a pensare circolare dopo secoli di linearità?

Non possiamo aspettarci che la gente faccia la cosa giusta. Non possiamo lasciare tutta la responsabilità agli individui. Per questo credo che gli incentivi siano una parte essenziale del cambiamento. Tuttavia non credo che la gente debba o voglia necessariamente sapere a cosa sta contribuendo. La gente può essere parte del cambiamento semplicemente perché quel tipo di scelta è più conveniente, quel prodotto dura di più o è di qualità più alta o è personalizzabile o perché quel servizio costa meno di quel prodotto eccetera. Il consumatore darà priorità ad altre variabili di un prodotto, oltre alla sua circolarità. Ci sarà ovviamente una parte della popolazione come noi che apprezzerà il fatto che quella circolarità è incorporata nel ciclo di vita di questo prodotto, ma la maggior parte delle persone potrebbe anche non sapere che sta prendendo parte a un’economia circolare se ha un incentivo di altro tipo.

Quindi stai dicendo che non serve un cambiamento culturale?

Al livello delle scelte personali credo non sia necessario. È più facile che la gente faccia scelte circolari guidata da quegli incentivi che non perché si è convinta che sia la cosa giusta da fare. Al livello della produzione industriale e del business, invece, un cambiamento culturale è necessario, perché è da lì che nascono gli incentivi. E anche a livello governativo.

Pensi che anche i governi debbano o possano creare dei sistemi di incentivi, magari sovvenzionando questo tipo di modello?

Sì, penso che i governi dovrebbero creare incentivi e disincentivi per le aziende, magari attraverso un sistema di imposta, come per esempio la carbon tax che sta iniziando a far tremare gli imprenditori in California perché pagheranno le tasse sulla base dell’energia che consumano: puoi scommetterci che quelle aziende si sposteranno sempre più verso le rinnovabili. Non sono un sostenitore dell’intervento del governo, ma allo stesso tempo credo che esempi come questo dimostrano che esistono modi e opportunità che i governi possono offrire alle imprese per aiutarle a cambiare.

Avete lavorato a questo libro durante la pandemia. Avete preso in considerazione come la pandemia può aver cambiato le nostre società ed economie?

Sì, nel capitolo dedicato alle confezioni, il capitolo 14. La quantità di beni consegnati a domicilio durante la pandemia ci porta a chiederci cosa sia più efficiente: la singola persona che va in negozio o un unico camion programmato per prendere la strada più breve?

Quindi Amazon è più circolare che andare al centro commerciale?

Si può trovare un’efficienza nel modello delle spedizioni rispetto all’approvvigionamento individuale.

Allo stesso tempo le tante confezioni utilizzate per le spedizioni producono rifiuti

Sì perché i pacchi per le spedizioni hanno poche opportunità di essere riutilizzati. Tuttavia ci sono diverse alternative che varie aziende stanno esplorando. Per esempio si può evitare del tutto la spedizione grazie alla stampa 3d. La localizzazione della produzione può eliminare il bisogno di spedire beni intorno al mondo.

Cosa speri che la gente prenda da questo libro?

Ci troviamo in una situazione molto seria e non credo che tutti ne siano consapevoli. L’economia circolare non è solo creare un modo di vivere sostenibile ma anche riparare gli errori del passato: in questo senso, l’economia circolare è rigenerativa.

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