Con una dichiarazione pubblicata su LinkedIn, il CEO di Verra David Antonioli ha annunciato le dimissioni il 22 maggio scorso, dopo quindici anni alla guida di uno dei più grandi enti di certificazione dei crediti di carbonio. Lo scandalo che ha riguardato Verra, infatti, ha aperto un periodo difficile per l’ente e messo sotto la lente di ingrandimento l’intero mercato dei carbon credits, nonché i criteri di validazione e di monitoraggio dei progetti in base ai quali questi crediti vengono emessi.
In particolare, i progetti interessati dallo scandalo sono stati i REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation), cioè i piani di riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dalla degradazione delle foreste: una parte significativa dei crediti emessi da Verra per questi progetti non ha avuto, secondo un’indagine giornalistica condotta su 87 casi, reali effetti positivi nella lotta contro il cambiamento climatico.
In attesa di comprendere quali saranno le nuove regole che Verra si darà per l’emissione dei crediti di carbonio, soprattutto per quelli derivanti dai REDD+, EconomiaCircolare.com approfondisce i criteri con cui si misura la qualità della compensazione e riporta alcuni esempi di progettualità a più basso rischio di errore rispetto ai REDD+, che invece sono stati classificati tra quelli più rischiosi nel report “Securing Climate Benefit: A Guide to Using Carbon Offsets”, curato da GHG Management Institute e Stockholm Environment Institute.
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I criteri per stabilire la qualità della compensazione
Quando si parla di qualità in questo ambito, per qualsiasi tipologia di progetto, ci si riferisce generalmente a cinque criteri: come previsto dal Protocollo di Kyoto, questi criteri specificano, da un lato, il grado di affidabilità con cui un credito emesso rappresenta la rimozione, la riduzione o l’evitamento di una tonnellata di CO2 (o di una quantità equivalente di altri gas serra) e, dall’altro, la provenienza di quel credito da attività che non contribuiscono in modo significativo a danneggiare l’ambiente e le società. Questi cinque criteri principali sono l’addizionalità, il contenimento della sovrastima, la permanenza, l’unicità e i co-benefici. Le riduzioni delle emissioni di gas serra devono quindi:
- essere addizionali, nel senso che in assenza di un mercato della compensazione tale riduzione non si sarebbe verificata in altro modo;
- avere una sovrastima contenuta, perché i modelli scientifici che le calcolano devono avere un alto grado di affidabilità;
- essere permanenti, ovvero devono contribuire alla riduzione complessiva delle emissioni nel lungo periodo;
- provenire da un’unica fonte, in modo che ogni credito di carbonio rappresenti la riduzione di una tonnellata di CO2 (o di un equivalente di gas serra) e non sia duplicato o contabilizzato più volte;
- derivare da un progetto di compensazione che non arrechi danni al territorio, alla società e all’ambiente in cui viene realizzato, ma che anzi produca co-benefici.
Una valutazione non sempre facile
Valutare la qualità di un progetto di compensazione significa considerare innanzitutto questi criteri, anche se la loro misurazione non è sempre semplice. Determinare se un progetto è addizionale, per esempio, richiede il confronto con uno scenario alternativo definito “controfattuale”, che è difficilmente conoscibile e soltanto stimabile attraverso previsioni accurate; similmente, un calcolo non corretto delle emissioni, anche di quelle indirette (leakage), porterebbe alla generazione di crediti fantasma o phantom credits, che rappresentano crediti non supportati da una reale riduzione delle emissioni.
È perciò importante affidarsi a metodologie rigorose, dati accurati e processi di verifica indipendenti per garantire l’integrità e l’efficacia delle riduzioni, degli evitamenti e delle rimozioni di carbonio dall’atmosfera.
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Oltre i progetti REDD+
I progetti REDD+ mitigano il cambiamento climatico attraverso la conservazione delle foreste: il loro obiettivo principale è creare incentivi finanziari per i Paesi in via di sviluppo al fine di proteggere e gestire in modo sostenibile le loro risorse forestali. Oltre la riduzione delle emissioni causate dalla deforestazione, i REDD+ includono anche attività per la conservazione e l’aumento delle riserve di carbonio, il sostegno alle comunità locali che dipendono dalle foreste per il loro sostentamento, nonché la promozione di benefici sociali ed economici connessi alla protezione di questi ecosistemi. Se l’importanza di questo tipo di progetti è stata sottolineata nell’UN-REDD Programme di FAO, UNDP e UNEP, è però altrettanto fondamentale comprendere le sfide e criticità associate.
Valutare la qualità dei REDD+ è più difficile rispetto ad altre progettualità perché la loro efficacia dipende strettamente dalla capacità di dimostrare in maniera chiara che le misure socio-politiche o tecnico-scientifiche impiegate abbiano avuto un effetto positivo sull’ambiente. Stimare questi fattori non è affatto semplice e, di conseguenza, si può incorrere in inesattezze o approssimazioni troppo grandi. Nel caso dello scandalo Verra, per esempio, non è stata misurata correttamente la minaccia di deforestazione nelle aree prese in considerazione, il che ha avuto la conseguenza di sovrastimare l’effetto positivo dei progetti. In alcuni casi, stando all’inchiesta giornalistica, la sovrastima è stata del +400% e in altri addirittura del +950% se si escludono dal calcolo tre progetti particolarmente riusciti nel Madagascar.
Il rischio maggiore dei REDD+ rimane comunque il colonialismo verde proprio perché i progetti in questione vengono principalmente calati nei Paesi in via di sviluppo, caratterizzati da ambiguità o assenza di normativa. Risulta pertanto fondamentale garantire una governance efficace e trasparente del progetto di compensazione e al contempo la tutela dei diritti delle comunità locali nonché stime, modelli e monitoraggi affidabili.
Sotto questo profilo, il report di GHG Management Institute e Stockholm Environment Institute individua delle progettualità a minor rischio di errore, vale a dire meno esposte a eventuali carenze tecniche e ad azioni di soggetti che agiscono in malafede (bad actors). Eccone elencate alcune tipologie qui di seguito.
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I progetti di distribuzione di energia pulita
L’obiettivo di un progetto di compensazione non è solo quello di ridurre le emissioni. I progetti di distribuzione di energia pulita si occupano di intervenire su alcuni territori non collegati alla rete elettrica per fornire a chi ci abita un sistema di approvvigionamento energetico non basato su fonti fossili. Per esempio, il progetto Ethiopia: Off-Grid Renewable Energy propone di sostituire le lampade a cherosene e i generatori a diesel delle comunità rurali etiopi (si contano circa 12 milioni di abitazioni senza elettricità) con lampade e generatori solari.
Oltre al co-beneficio maggiore, cioè la fornitura di una fonte di energia più affidabile e continua, si registrano vantaggi ecologici dati dalla dismissione dei combustibili inquinanti, nonché un miglioramento della qualità dell’aria all’interno delle abitazioni. Il ricavato della vendita dei crediti di carbonio generati da questi progetti serve per sostenerli economicamente nel tempo anche se, vista la loro portata, potrebbero servire investimenti esterni iniziali per implementare completamente la distribuzione di energia pulita.
Secondo il report di GHG Management Institute e Stockholm Environment Institute, rispetto ai REDD+ questi progetti sono più facilmente misurabili, permanenti (posto che i macchinari rimangano funzionanti e vengano sottoposti a regolare manutenzione) e apportano benefici sociali e sanitari più tangibili. Al contrario, i REDD+ hanno un rischio maggiore di non coinvolgere in modo sufficiente le comunità locali e, nei casi peggiori, di restringere le fonti di reddito o costringere persino tali comunità allo spostamento, come EconomiaCircolare.com ha raccontato riprendendo il report di Survival Italia “Carbonio Insanguinato”.
I progetti per la digestione aerobica dei rifiuti
La digestione aerobica dei rifiuti è una tipologia di progetto che genera crediti di carbonio attraverso l’evitamento delle emissioni di metano derivanti dalla decomposizione dei rifiuti organici solidi o liquidi. Questi rifiuti, infatti, se lasciati in condizioni anaerobiche producono un potente gas serra, che è il metano. Nella cornice del mercato della compensazione, i progetti di compostaggio possono trasformare i rifiuti solidi in concimi biologici ricchi di nutrienti, fornendo anche il co-beneficio aggiuntivo di ridurre l’uso di fertilizzanti sintetici a base di azoto, spesso prodotti da fonti fossili.
Per quanto riguarda i rifiuti liquidi (wastewaters), invece, esistono impianti previsti dai progetti di compensazione che trattano le acque reflue per rimuovere gli agenti eutrofizzanti come il fosforo e l’azoto. Anche il sottoprodotto di questo processo, chiamato sludge (fango), può essere utilizzato come fertilizzante naturale. Il monitoraggio di questi progetti viene effettuato utilizzando tecniche di analisi chimica ben note, anche se continuamente oggetto di ricerca e sviluppo al fine di ridurre ulteriormente incertezze nella misurazione dell’effettiva riduzione delle emissioni.
Rispetto ai REDD+, questi progetti per la digestione aerobica dei rifiuti hanno meno incertezza sulle misurazioni delle baseline emissions, che sono le emissioni che sarebbero avvenute se il progetto non fosse stato realizzato. Inoltre, per i REDD+, ma non per quelli appena considerati, esiste un rischio significativo di leakage: si tratta del fenomeno per cui un progetto non tiene conto degli effetti indiretti sulle emissioni di gas serra. Un esempio è il “Soy Moratorium”, un progetto di conservazione della foresta amazzonica che evita le emissioni causate dalla deforestazione di una determinata area, ma finisce per spostare la produzione di soia attraverso la deforestazione verso altre zone (quella del Cerredo).
I progetti per la distruzione di sostanze che impoveriscono l’ozono
La distruzione delle sostanze che impoveriscono l’ozono è un processo di eliminazione delle sostanze chimiche dannose per lo strato di ozono presente nell’atmosfera tramite una combustione in ambiente controllato. Queste sostanze, chiamate Ozone-depleting substances (sostanze “ozono lesive”, in sigla inglese ODS), includono clorofluorocarburi (CFC), idroclorofluorocarburi (HCFC), bromuri di metile e altri composti chimici sintetici che sono stati ampiamente utilizzati in passato in vari settori industriali come refrigeranti, propellenti per aerosol, agenti espandenti per schiume isolanti, solventi e agenti estinguenti per incendi. Da quando molti di questi composti sono stati messi al bando e il loro uso è stato limitato (grazie al Protocollo di Montreal), lo strato di ozono si sta lentamente rigenerando e, secondo lo United Nation Environment Programme, si ritornerà a dei valori pari a quelli del 1980 entro il 2045 in Artide ed entro il 2066 in Antartide.
Ci sono però casi in cui o non è possibile sostituire queste sostanze, oppure i vecchi macchinari (frigoriferi, air conditioning, schiume isolanti, eccetera) smaltiti in maniera errata continuano a rilasciare ODS nell’ambiente. I progetti di compensazione possono allora agire da incentivo economico per la raccolta di questi vecchi apparecchi e per la successiva distruzione in sicurezza delle sostanze ozono-lesive che contengono. La loro addizionalità e permanenza, nonché i loro co-benefici sono facilmente attestabili e, su specifici progetti, è possibile garantire una distruzione delle ODS pari al 99.99%. Al contrario, il rischio di inversione (cioè di riduzioni non permanenti) è una preoccupazione per tutti i progetti che, come i REDD+, stoccano il carbonio in leaky reservoirs, letteralmente “riserve soggette a perdite”. Per esempio, se in un progetto di forestry and land use un incendio distrugge gli alberi, allora una parte o tutto il carbonio sequestrato potrebbe essere (ri)emesso in atmosfera.
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