“La Cop28 si è verificata in un momento decisivo nella lotta al cambiamento climatico. È importante che il risultato del Global Stocktake riaffermi chiaramente la necessità di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C e che ciò richieda drastiche riduzioni delle emissioni in questo decennio. Per la prima volta viene riconosciuta la necessità di abbandonare i combustibili fossili, dopo molti anni in cui la discussione su questo tema è stata bloccata”.
Sceglie di vedere il bicchiere mezzo pieno Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, nel tweet di questa mattina con cui commenta il testo finale del Global stocktake, cioè il documento che ogni cinque anni fa il punto su ciò che è stato fatto per rispettare l’Accordo di Parigi e indica cosa serve fare in futuro per allinearsi a esso. Era la prima volta che una Conferenza annuale sui Cambiamenti Climatici tracciava un bilancio dalla storica Cop21 che aveva sancito l’impegno a contenere l’aumento di temperatura a 1,5 °C rispetto all’era pre-industriale.
Nel testo finale di 21 pagine, diffuso all’alba (ora italiana), il punto più notevole riguarda le fonti fossili. È noto che i Paesi più colpiti dalla crisi climatica e l’Unione Europea (non tutta, in realtà) spingessero per l’introduzione di un’eliminazione graduale da carbone, petrolio e gas. Sin dall’avvio della Cop28 di Dubai le opzioni in campo hanno riguardato il phase out (uscita) o phase down (diminuzione) rispetto alle fonti fossili. Un po’ a sorpresa, nel testo finale compare una nuova espressione, transition away: un processo di transizione dalle fonti fossili, dunque, che appare il più classico dei compromessi e che vede insomma prevalere le spinte dei Paesi OPEC, cioè i produttori di petrolio e gas, tra i quali gli stessi Emirati Arabi Uniti a cui è stata affidata la presidenza di Cop28.
Gli osservatori fanno notare che, in ogni caso, è la prima volta che le fonti fossili vengono menzionate apertamente in un documento delle Cop, e che nelle versioni precedenti tale menzione non c’era: il segno più evidente che la pressione della diplomazia climatica, spinta da un’opinione pubblica a livello globale che in maniera sempre più ampia riconosce la necessità di azioni decise per contrastare il collasso climatico, è riuscita comunque a portare a casa un risultato. Un nuovo punto di partenza, certamente non d’arrivo, che dovrà ora essere declinato nei piani nazionali di decarbonizzazione dei quasi 200 Stati che hanno partecipato alla Cop28.
Secondo Luca Bergamaschi, co-direttore del think thank per il clima ECCO (che ha seguito la Cop da Dubai con notevoli sforzi), “il testo pone basi solide per la fine dell’era dei combustibili fossili, puntando su rinnovabili ed efficienza energetica. Ci vorrà molto più supporto finanziario, da parte di pubblico e privato, per supportare tutti i paesi nella transizione. Ma la via è tracciata”.
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Alla Cop28 la transizione dalle fonti fossili non dispiace alle aziende fossili
Nel momento in cui scriviamo si stanno tenendo i discorsi dei capi di stato e di governo dei 197 Paesi presenti a Dubai. Il presidente della Cop28, Sultan Al Jaber, ha parlato di “un risultato storico”. E in effetti che da un Paese con un’economia fossile, in cui le esplorazioni e le ricerche di idrocarburi sono in forte crescita, giungesse l’impegno a una transizione dalle fonti fossili non era per nulla scontato. Non a caso è uno dei punti di successo menzionati dalla sintesi del testo approvato all’unanimità poche ore fa.
Più scontato invece l’altro risultato energetico ottenuto, cioè quello di “triplicare la potenza installata di energie rinnovabili e raddoppiare il ritmo di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030”: era un punto su cui si era riscontrato consenso già dall’inizio della Cop28, e che soprattutto conferma l’idea propugnata dalla presidenza di Al Jaber per il quale le rinnovabili si aggiungono alle fossili e non le sostituiscono. In questo senso basta guardare il punto 28 dell’accordo approvato, in cui da una parte ci si impegna ad “accelerare gli sforzi verso l’eliminazione graduale dell’energia prodotta dal carbone”, senza però indicare una data precisa, e dall’altra si esprime la volontà di “accelerare le tecnologie a zero e basse emissioni, comprese, tra l’altro, le energie rinnovabili, il nucleare, le tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, in particolare nei settori difficili da abbattere, e la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio”.
Il vero elefante nella stanza qui è il gas, mai esplicitamente citato. Va compreso come combustibile di transizione, così come fanno da decenni governi e aziende? Il mancato riferimento esplicito in teoria farebbe presupporre di no ma è noto che il diavolo sta nei dettagli. E nello specifico nella formula in cui si scrive “tra l’altro”. Vuol dire che il gas va inteso tra le tecnologie a basse emissioni? Per dirla più nettamente: la transizione dalle fonti fossili, così come delineata dalla Cop28, non dispiace alle aziende fossili, dato che vengono citate tecnologie come la cattura e lo stoccaggio e combustibili come l’idrogeno che sono già nei programmi industriali delle aziende energetiche.
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Alla Cop28 l’Italia festeggia sul “ruolo transitorio” delle fossili
Non si è fatta attendere la reazione del governo Meloni. Il commento del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, è uno dei più entusiasti rispetto all’accordo raggiunto sul Global Stocktake alla Cop28. “L’intesa raggiunta a Dubai tiene conto di tutti gli aspetti più rilevanti dell’accordo di Parigi e delle istanze, profondamente diverse tra loro, dei vari Stati, che tuttavia riconoscono un terreno e un obiettivo comune, con la guida della scienza. Per questo, riteniamo il compromesso raggiunto come bilanciato e accettabile per questa fase storica, caratterizzata da forti tensioni internazionali che pesano sul processo di transizione. L’Italia, nella cornice dell’impegno europeo, è stata impegnata e determinata fino all’ultimo per il miglior risultato possibile”.
In attesa di capire i risultati concreti ottenuti dalla delegazione italiana a Dubai, il ministro dell’Ambiente dedica parte della sua prima analisi proprio al punto focale delle fonti fossili. Un aspetto non da poco, dato che il nostro Paese è uno dei più dipendenti dagli approviggionamenti esteri e dove la politica energetica è dettata dalle multinazionali a partecipazione statale (Eni, Enel, Snam, Terna, Italgas, GSE).
“Sulle fonti fossili – spiega ancora Pichetto – abbiamo cercato un punto di caduta più ambizioso, ma nell’intesa c’è un chiaro messaggio di accelerazione verso il loro progressivo abbandono, riconoscendone il ruolo transitorio: abbiamo per la prima volta un linguaggio comune sulla fuoruscita dai combustibili fossili, per le emissioni zero nette al 2050. L’accordo – prosegue Pichetto – sancisce la necessità di profonde e rapide riduzioni delle emissioni di gas serra, in un quadro di contestuale forte affermazione delle rinnovabili. Tra i tanti risultati apprezzabili vi è il riconoscimento di un ruolo chiave per il nucleare e l’idrogeno a basse emissioni. Di particolare importanza anche l’evidenza che si è data alla necessità di ridurre le emissioni nei trasporti, con veicoli a zero e basse emissioni – spiega il ministro – nei quali rientrano anche i biocarburanti, grazie alla riconosciuta mediazione italiana nel coordinamento europeo”.
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