fbpx
venerdì, Luglio 5, 2024

Da Rio alla Cop28, storia del ruolo delle donne nei trattati sul clima

Dietro agli accordi e ai trattati sul clima ci sono esigenze ambientali e, purtroppo, interessi economici. Negli anni la società civile, reti di donne, femministe e ONG, ha faticosamente cercato di incidere nei processi decisionali. Vi raccontiamo come

Serena Fiorletta
Serena Fiorletta
Antropologa culturale, è attualmente dottoranda in Scienze sociali ed economiche all'Università Sapienza di Roma. Suoi interessi e aree di ricerca sono i femminismi transnazionali, postcoloniali e decoloniali, le politiche per i diritti delle donne e la globalizzazione. Coordina il modulo Intercultura del Master "Studi e politiche di genere" presso l'Università degli Studi Roma Tre. Per Aidos lavora come Responsabile della Comunicazione

Se il clima è ormai un argomento quotidiano di dibattito, così come la consapevolezza di essere di fronte a un fenomeno che coinvolge l’intero pianeta e chi lo abita, i riferimenti internazionali, i meccanismi decisionali e le istituzioni che se ne occupano sono invece meno note. Comprendere come viene tracciato il processo decisionale, che lo si voglia supportare oppure contestare, resta fondamentale per conoscere in quali contesti vengono dibattute e stabilite soluzioni e accordi che hanno ripercussioni concrete sulle nostre vite.

Indubbiamente uno dei riferimenti più importanti è la UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), un trattato internazionale, giuridicamente non vincolante, firmato nel 1992 e in vigore dal 1994, volto ad affrontare il cambiamento climatico. La UNFCCC ha sostanzialmente fornito una cornice di riferimento grazie alla quale gli Stati possono concordare il limite delle emissioni di gas serra, riconoscendo in tal modo, come dimostrato in ambito scientifico, che il loro aumento nell’atmosfera è responsabilità delle attività antropiche. Questa Convenzione quadro è un impegno in fieri che si sviluppa e prende forma attraverso discussioni e accordi tra i Paesi di tutto il mondo. Ogni anno rappresentanti di ciascun governo si incontrano alla COP (Conference of the Parties), per definire gli obiettivi dedicati a limitare le emissioni e i conseguenti danni, nonché analizzare quali passi sono necessari per affrontare una questione complessa, interconnessa con altri fenomeni strutturali. La società civile e le organizzazioni non governative sono presenti a queste conferenze come osservatrici e possono dare, pur faticosamente, il loro contributo.

Il ruolo della società civile 

Ma facciamo un passo indietro, il 1992 è infatti una data importante perché il Summit della Terra ospitato a Rio de Janeiro, non ha dato vita solo al trattato in oggetto, è una di quelle conferenze a cui, a partire dagli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, la società civile partecipa numerosissima, soprattutto quella femminista, diventando protagonista riconosciuta di vari incontri internazionali organizzati dall’ONU. Le reti di donne, femministe e ONG presenti incidono sul processo attraverso azioni di comunicazione e advocacy volte verso i governi degli Stati membri e verso le Nazioni Unite, con cui intessono un dialogo costante, di confronto e scambio.

Questo enorme lavoro ha consentito di mettere al centro il nesso cambiamento climatico e uguaglianza di genere ma anche l’importanza del ruolo delle donne nelle politiche nazionali e internazionali, come quello della rappresentanza all’interno delle stesse COP. Il rapporto tra cambiamento climatico e condizione di genere non è infatti stato preso in considerazione per lungo tempo e se le Nazioni Unite e gli Stati Membri hanno iniziato a lavorarci è certamente grazie alle pressione di donne e femministe che continuano tutt’oggi a monitorare e partecipare a questi processi.

Leggi anche: Sviluppo sostenibile e uguaglianza di genere: donne lontane dai traguardi in vista del 2030

Le attiviste e il gender mainstreaming

Le attiviste provano a incidere su trattati, documenti e decisioni finali, così come si impegnano a diffondere conoscenze e informazioni di quanto accade globalmente nei Paesi in cui vivono. Nonostante i cambiamenti siano lenti e bisogna arrivare ai nostri giorni per vedere esplicitato l’impegno sull’uguaglianza di genere nell’ambito del cambiamento climatico, è nel 1992 che l’argomento viene affrontato per la prima volta. Nel capitolo 24 dell’Agenda 21, un documento di intenti ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e società sottoscritto da oltre 170 paesi, durante la citata Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, tenutasi nella città brasiliana, viene illustrato il legame tra sviluppo sostenibile e coinvolgimento delle donne.

Queste ultime vengono inquadrate come “gruppo vulnerabile” ma anche come portartici di potenziale trasformativo (agenti di cambiamento), essenziale nel contribuire alla soluzione della crisi climatica. Non è un caso che il tema e le analisi prodotte vengano riproposte come fondamentali anche durante la quarta Conferenza mondiale delle donne, tenutasi a Pechino nel 1995, nonché nella Piattaforma di Azione che ne scaturisce, ancora oggi punto di riferimento per i diritti delle donne. La conferenza di Pechino definisce anche, come fondamentale per la promozione dell’uguaglianza di genere, il gender mainstreaming, una difficile definizione per quella che potremmo descrivere come una strategia utile da applicare a livello internazionale e nazionale al fine di prendere in considerazione e valutare le implicazioni legate al genere di ogni azione pianificata. È una strategia per far sì che il genere sia una dimensione integrante dell’ideazione, implementazione, monitoraggio e valutazione di politiche e programmi nelle sfera politica, economica e sociale, per prevenire le discriminazioni e raggiungere l’uguaglianza di genere. Quest’ultima è d’altronde anche un obiettivo specifico e trasversale della Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Rete e piani internazionali per assicurare voce delle donne

È questo il contesto in cui prende vita nel 2009, tra i cosiddetti gruppi di interesse che portano le proprie istanze e all’interno della UNFCCC, la Women and gender constituency (WGC). Composta da 33 organizzazioni, la rete lavora “per garantire che la voce delle donne e i loro diritti siano integrati in tutti i processi e risultati del quadro UNFCCC, per un futuro sostenibile e giusto”, in modo che l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne siano al centro delle discussioni e in tutte le azioni sul clima previste dall’UNFCCC, con il fine di “sfidare il modello economico estrattivo, di sfruttamento e patriarcale che ha portato alla crisi climatica”.

Anche grazie al lavoro della WGC, nel 2017, è stato adottato il Gender Action Plan (GAP), che affronta il tema della rappresentanza nelle delegazioni e la necessità di adottare una prospettiva di genere nelle politiche. Il Piano è stato poi rinnovato nel 2019 e “riconosce che la piena, significativa e paritaria partecipazione e leadership delle donne in tutti gli aspetti del processo UNFCCC e nelle politiche e azioni climatiche a livello nazionale e locale è fondamentale per raggiungere gli obiettivi climatici a lungo termine”. A tal fine il GAP fornisce una tabella di marcia delle attività con un orizzonte temporale di cinque anni invece che due come il precedente, definendo cinque aree prioritarie (Capacity-building, knowledge management and communication; Gender balance, participation and women’s leadership; Coherence; Gender-responsive implementation and means of implementation; Monitoring and reporting).

Leggi anche: Parità di genere, nuovi dati dell’EIGE per un Green Deal che non lascia indietro nessuna

Da ieri a oggi: occhi puntati sulla Cop28

Oggi sul sito della UNFCC, nella sezione dedicata a genere e cambiamento climatico, viene spiegato che “le donne affrontano solitamente rischi più elevati e maggiori oneri derivanti dagli impatti che i cambiamenti climatici hanno su chi vive in condizioni di povertà, tra cui le donne rappresentano la maggioranza”. Inoltre è esplicitato come la scarsa e ineguale partecipazione delle donne “ai processi decisionali e al mercato del lavoro aggrava le disuguaglianze, impedendo spesso alle donne di contribuire pienamente alla pianificazione, alla formulazione e all’attuazione delle politiche per il clima”.

Reti come la WGC forniscono in sostanza a coloro che lavorano per i diritti delle donne e la giustizia di genere, la protezione dell’ambiente, o entrambi, conoscenza e tattiche per influenzare le conferenze annuali e contribuire a sviluppare una UNFCCC che prenda in considerazione la posizione e le opinioni delle persone e delle comunità. La WGC è anche una piattaforma per lo scambio di informazioni tra chi ne fa parte ma anche con il segretariato dell’UNFCCC. Garantisce che riunioni, workshop e conferenze includano la partecipazione e la rappresentanza della società civile delle donne e femminista e delle varie organizzazioni non governative.

Ieri è iniziata la Cop28 a Dubai ed è necessario sottolineare quanto ancora resti da fare. Gli intenti devono trasformarsi in azioni e politiche concrete, implementabili e misurabili. Non solo per affrontare ciò che vediamo quotidianamente nei disastri naturali che travolgono la vita di milioni di persone. È necessario e prioritario un lavoro più approfondito per comprendere e affrontare le intersezioni multiple che le persone affrontano in un contesto di cambiamento climatico con tutto ciò che ne consegue, così come una prospettiva di genere più ampia e non binaria, per capire quali sostegni sono necessari a seconda delle condizioni di vita e rafforzare le possibilità di resistenza.

Inoltre, la connessione del cambiamento climatico con questioni strutturali e di portata globale non può più essere ignorata, poiché il clima come le questioni di genere non sono e non possono più essere affrontate come fenomeni emergenziali.

Leggi anche: Dal Brasile alla Colombia, le donne della resistenza indigena che stanno salvando l’Amazzonia

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie