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lunedì, Dicembre 16, 2024

Dagli Usa arriva l’upcycled food, il cibo fatto con scarti e creatività

Snack con scarti di lavorazione della birra, tè e barrette con foglie e noccioli di avocado, patatine aromatizzate con un pesce infestante. Nasce Oltreoceano una nuova categoria alimentare, che dà valore agli scarti creando prodotti “riciclati” e innovativi.

Loredana Menghi
Loredana Menghi
Dal 2008 scrive per il mensile di Legambiente La Nuova Ecologia, realizzando servizi giornalistici dedicati all'ambiente, alle tecnologie sostenibili, al sociale e ai diritti umani. Sempre per La Nuova Ecologia, dal 2012 cura la rubrica Equotech- Tecnologie Eco Solidali, trasformata nella web serie Innovazioni dal Basso, pubblicata sul portale RepubblicaTv, per il quale ha lavorato anche alla realizzazione di diverse web serie a sfondo sociale. Ha collaborato, inoltre, con l’agenzia di stampa Redattore Sociale, con i settimanali Left e Il Punto, il mensile Terra e il quotidiano Il Giorno.

Snack arricchiti con chicchi di luppolo scartati durante la lavorazione della birra. Tè e barrette ai cereali a base di foglie e noccioli di avocado. Patatine dal gusto deciso realizzate con il pez diablito, una specie di pesce aliena che infesta specchi d’acqua in Messico generalmente gettata via dai pescatori. E poi chips di frutta dal sapore etico, disidratata con essiccatori solari da cooperative di donne giamaicane, eliminando eccedenze difficili da smaltire dalle comunità.

Sono alcune delle soluzioni promosse da aziende e startup d’Oltreoceano e non solo, che hanno aderito all’Upcycled Food Association (Ufa) con sede a Denver. Nata alla fine del 2019, l’organizzazione no profit già conta 70 imprese produttrici di circa 400 prodotti, fatti con cibo e sottoprodotti della filiera alimentare riciclati in modo creativo, generando valore e posti di lavoro.

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“Riciclare gli alimenti è una pratica antica, che consente di limitare gli sprechi, ottenendo prodotti di alta qualità, ricchi di sostanze nutritive che troppo spesso scivolano fra le falle del nostro sistema alimentare”, spiega Turner Wyatt, ceo della Upcycled Food Association. Sprechi che, secondo la Fao, costano all’economia globale 940 miliardi di dollari l’anno. E che, stando al Progetto Drawdown per il contrasto a cambiamento climatico e disuguaglianze, sono responsabili della produzione annua di 70 miliardi di tonnellate di gas serra, pari a circa l’8% delle emissioni globali.

Una nuova categoria alimentare

A inizio anno l’Upcycled Food Association ha convocato una task force che ha visto coinvolti rappresentanti della Harvard Law School, della Drexel University, del Natural Resources Defence Council, del WWF e del ReFED, per definire tecnicamente il cosiddetto “upcycled food” (alimenti riciclati in modo creativo). E per classificare quella che l’organizzazione e i suoi membri considerano a tutti gli effetti una nuova categoria alimentare.

Un concetto già noto in ambito culinario – usato, ad esempio, da chef che elaborano preparazioni gourmet con gli avanzi della cucina –, diventa oggi espressione di un settore emergente dell’industria alimentare. Solo lo scorso anno, secondo Future Market Insight, il settore del cibo riciclato ha fatturato circa 46,7 miliardi di euro nel mondo, con un tasso di crescita annuale stimato entro i prossimi 10 anni del 5%.

“Gli alimenti riciclati sono ricavati da ingredienti altrimenti esclusi dal consumo umano. Sono acquistati e prodotti attraverso catene di approvvigionamento verificabili e hanno un impatto positivo sull’ambiente”: è questa la definizione, con tanto di documento di sintesi, rilasciata lo scorso maggio dalla task force di esperti chiamati in causa per mettere a punto uno standard di certificazione che sarà attivato a fine anno. Lo standard di certificazione consentirà ai consumatori di poter riconoscere le produzioni di aziende virtuose grazie a un marchio di qualità da apporre sugli imballaggi, comunicando al contempo l’impatto positivo determinato dai loro acquisti.

L’Upcycled Food Association non vuole vedere grandi aziende implicate in operazione di “greenwashing”, che cambiano semplicemente il nome a prodotti già esistenti senza ridurre gli sprechi, ha precisato a Forbes il ceo Turner Wyattm che ha chiarito: “Vogliamo invece convincerli ad adottare ingredienti riciclati, assicurandoci che siano effettivamente destinati al consumo umano e a nutrire una popolazione in crescita. L’obiettivo è elevare il cibo al suo massimo e migliore utilizzo, senza esercitare ulteriori pressioni sull’ambiente, aiutando gli agricoltori a ottenere più valore dalla loro terra”.

Tante le realtà che animano questo variegato movimento, esempio di come l’estro imprenditoriale stia trasformando avanzi e sottoprodotti in opportunità. Se la Acari Fish confeziona croccanti patatine a base di pesci alieni, sottratti da ecosistemi a rischio, la Pulp Pantry utilizza polpa residua di succo di verdure, evitando dallo scorso novembre – assicura l’azienda –  lo spreco di oltre 13 mila kg di alimenti. La Repurposed Pod ottiene succo di cacao dai residui della lavorazione del cioccolato, sostenendo gli agricoltori delle comunità equadoregne. E mentre la startup Bad Apple Produce vende a metà prezzo frutta e verdura escluse dalla Grande Distribuzione, recapitandola a domicilio in comode cassette, l’azienda Sir Kensington prepara maionese vegana con i reflui della cottura dei ceci, altrimenti smaltiti dai produttori di hummus.

Esperienze italiane

La definizione di Upcycled food potrebbe abbracciare diverse esperienze italiane, da tempo impegnate nello sviluppo di nuovi prodotti con scarti commestibili. Fra queste c’è la Fosan, Fondazione per lo studio degli alimenti e della nutrizione, che collabora con diverse micro-aziende del Lazio nella valorizzazione delle eccedenze. “C’è ad esempio l’aglio nero ricavato con un processo di trasformazione termica che ne allunga la shelf-life (il periodo di vita del prodotto dalla produzione alla vendita, in cui va preservata la qualità complessiva del prodotto, ndr), potenziandone le proprietà e convertendolo in un prodotto da assaporare come una caramella, priva dell’aroma e del sapore penetrante” – spiega a EconomiaCircolare.com Cristiana Cireddu, ricercatrice di Fosan –. Poi ci sono le farine prodotte con la buccia di frutta edibile, scartata dall’industria per motivi di processo Farine ricche di vitamine e sali minerali, che possono costituire un ingrediente principale per prodotti da forno, come biscotti e barrette”. La Rete produttori Agricoli della Sabina, invece, disidrata la frutta scartata con essiccatori solari (sviluppati dal Crea –IT, Centro di ingegneria e trasformazioni agroalimentari), per farne snack da vendere ai mercati o preparati destinati alle gelaterie del territorio. E poi c’è la Startup D’Adone, che ha creato un dado vegetale, recuperando parti di verdure escluse dai processi industriali.

Soluzioni innovative, che stanno ripensando il modo di produrre cibo del futuro e che fanno della circolarità un elemento cardine delle loro strategie, ponendo un ulteriore tassello per la transizione a un sistema più sostenibile e resiliente.

 

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