fbpx
venerdì, Novembre 15, 2024

Il report di Rethink Plastic smaschera gli errori dell’Italia nell’applicazione della direttiva Sup

Della direttiva Sup, la norma comunitaria che punta a ridurre la dispersione della plastica monouso nell’ambiente, si discute sin dalla sua approvazione nel 2019. Ma come si sono finora mossi gli Stati membri? Il report di Rethink Plastic ne analizza le applicazioni

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Se n’è parlato così tanto che alla fine abbiamo quasi dimenticato la direttiva Sup, la norma con la quale l’Unione europea punta a ridurre la dispersione della plastica monouso nell’ambiente. Eppure la direttiva risale al 2019 e da allora i 27 Paesi membri si sono mossi in ordine sparso in merito alla sua applicazione. Una delle posizioni più particolari e più discusse è stata quella dell’Italia che, dopo parecchi rinvii, ne ha decretato l’avvio agli inizi di quest’anno. Tra polemiche da parte degli esperti e il rischio di una procedura di infrazione.

Ora un report dettagliato di Rethink Plastic, la coalizione di ong europee che si batte contro l’utilizzo indiscriminato e la dispersione della plastica, esamina le applicazioni della direttiva Sup che i vari Stati membri hanno attuato in questi tre anni. Si tratta di un lavoro ampio e dettagliato, lungo 43 pagine, condotto da Larissa Copello (Zero Waste Europe), Gaëlle Haut (Surfrider Europe) e Frédérique Mongodin (Seas At Risk).

Come ricorda nell’introduzione lo stesso report di Rethink Plastic, “raramente una direttiva europea è stata oggetto di così tanta copertura e attenzione da parte dei media a livello europeo. È stata la prima direttiva dell’UE che richiedeva agli Stati membri di vietare una serie di materie plastiche: alcuni articoli in plastica monouso e plastiche oxo degradabili, per le quali le alternative erano considerate facilmente disponibili e convenienti. Per i prodotti non vietati, l’attenzione si concentra sulle misure di prevenzione dei rifiuti, come la riduzione dei consumi, i requisiti di marcatura e i requisiti di progettazione del prodotto e su una migliore gestione dei rifiuti”. Tutto chiaro, insomma. Ma allora cosa è andato storto?

Leggi anche: lo Speciale sulla plastica monouso

Le buone intenzioni della direttiva Sup si scontrano con la realtà (e gli interessi)

C’è un grafico che, più di tante analisi, spiega perché le buone intenzioni della direttiva Sup si sono scontrate, nella fase dell’applicazione della norma comunitaria all’interno dei 27 Stati membri, con la realtà. O, per meglio dire, con gli interessi che ostacolano un reale sviluppo dell’economia circolare e dei suoi principi: dalla responsabilità estesa del produttore alla riduzione della produzione al packaging.

applicazioni direttiva Sup

Dall’adozione della direttiva contro la plastica monouso, dicevamo, sono passati tre anni. Quella di Rethink Plastic è la seconda valutazione che viene fatta e, rispetto alla prima, si registrano comunque “progressi su tutta la linea”. Ciò però non deve far dimenticare che questi progressi sono comunque molto lenti e poco omogenei.

“Secondo il nostro precedente rapporto di valutazione del 2021, solo pochi paesi avevano esplorato a fondo  il potenziale offerto dalla direttiva Sup – si legge nel report – per eliminare gradualmente la plastica monouso e prevenire efficacemente l’inquinamento da plastica entro la scadenza ufficiale per l’attuazione della direttiva sulla plastica monouso. Nel luglio 2021, la maggior parte dei paesi aveva adottato i requisiti minimi essenziali
per conformarsi alla direttiva o mancava di alcune delle misure (ad esempio relative alla responsabilità  estesa del produttore) da adottare. Il processo di recepimento era ancora in corso o non era iniziato in molti paesi. Tuttavia, alcuni paesi  avevano chiaramente tracciato un percorso per abbandonare la plastica monouso e promuovere prodotti e soluzioni riutilizzabili e avevano adottato – o stavano adottando – una riduzione quantitativa
per la plastica monouso, ulteriori restrizioni sulla plastica monouso e/o riutilizzare gli obiettivi”.

Da allora però alcuni Stati membri si sono mossi con sforzi adeguati – Francia, Grecia, Lussemburgo, Svezia, Irlanda, Cipro o Portogallo – mentre altri hanno continuato a rinviare le decisioni e a erigere muri. “A gennaio 2022 – si legge ancora nel report – la Commissione aveva segnalato pubblicamente nella sua banca dati sulle infrazioni di aver inviato 16 lettere di costituzione in  mora per mancato recepimento della direttiva Sup a 16 Stati membri – Belgio, Cipro, Croazia, Cechia, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna. Nel frattempo, Stati membri come Slovacchia e  Spagna hanno rispettato i loro obblighi di recepimento dalla nostra ultima valutazione e hanno  finalmente concluso il processo di adozione delle loro leggi di recepimento a livello nazionale. Alcuni altri sono privi di ambizioni nell’attuazione della direttiva, non hanno ancora adottato tutte le misure necessarie mentre alcuni hanno adottato misure dannose o esenzioni, in violazione  della direttiva”.Le difficoltà maggiori si sono riscontrate soprattutto nei divieti degli oggetti realizzati con plastica monouso, quelli elencati dagli allegati alla direttiva: bastoncini cotonati, posate (forchette, coltelli, cucchiai e bacchette), agitatori per bevande, cannucce, piatti, bastoncini per palloncini nonché contenitori per alimenti, contenitori per bevande e bicchieri in polistirene espanso (EPS). Rethink Plastic ha accertato, grazie alle segnalazione dei consumatori (le cui foto si trovano nel report), che nei supermercati si sono riscontrati numerosi casi di articoli in plastica monouso che venivano indicati erroneamente come riutilizzabili e/o compostabili. Quando invece era facile constatare come fossero realizzati in plastica tradizionale. Esempi, a metà tra la frode e il greenwashing, che mostrano come le resistenze in atto da parte di alcune grande aziende – con la complicità degli Stati membri – siano parecchio diffuse.

“La riduzione del consumo di plastica monouso non dovrebbe portare alla sostituzione con articoli monouso in altri materiali – spiega Rethink Plastic- ma, piuttosto, a un maggiore utilizzo di versioni riutilizzabili di tali articoli. L’adozione di obiettivi di riutilizzo è quindi molto complementare ad altre misure di riduzione del consumo di Sup (single use plastics, nda) per raggiungere una piena attuazione dell’articolo 4 della direttiva. Eppure troppo pochi paesi hanno ancora fissato obiettivi di riutilizzo ambiziosi a livello nazionale. Rethink Plastic incoraggia fortemente i paesi a fissare obiettivi di riduzione quantitativa e di riutilizzo per altri prodotti in plastica monouso, indipendentemente dal fatto che siano coperti o meno dall’ambito di applicazione della direttiva Sup”.

Leggi anche: lo Speciale sul greenwashing

Le violazioni dell’Italia nell’applicazione della direttiva Sup

Tra i Paesi che più hanno provato a individuare una strada “indipendente” nell’applicazione della direttiva Sup c’è l’Italia. Che ha insistito soprattutto con la tutela del settore industriale che produce la plastica biodegradabile, in una “battaglia” (vinta dal nostro Paese) che ha ricordato a molti la vicenda dei sacchetti compostabili, ancora utilizzati per la raccolta dell’umido e distribuiti nei supermercati della gdo.

Nel report di Rethink Plastic si ricorda che “l”Italia si distingue per
aver introdotto deroghe all’articolo 5 delle misure SUPD per la plastica biodegradabile e
compostabile certificata secondo la norma europea UNI EN 13432 e per le plastiche
monouso con meno del 10% di plastica“. Nonostante le indicazioni fornite dalla Commissione europea a gennaio di quest’anno, nonché l’invito delle ong specializzate, il governo Draghi è andato avanti per la propria strada. In attesa di capire come vorrà muoversi il futuro governo Meloni in questo aspro confronto con le istituzioni europee, la coalizione di ong ricorda che, norme alla mano, l’Italia sta “violando il testo dell’Ue”.

Allo stesso tempo, riconosce il report, “Francia, Italia e Germania hanno visto lo sviluppo di molteplici iniziative locali per promuovere il  riutilizzo negli ultimi 10 anni”, così come “l’Italia ha in atto molte iniziative locali senza imballaggi che  potrebbero essere potenziate a livello nazionale (aeroporti senza plastica, iniziative scolastiche per ridurre gli imballaggi
da asporto e l’acqua in bottiglia, ad esempio case d’acqua e fontane)”. In discussione poi, ormai da molto tempo in realtà, c’è la possibile applicazione di una tassa sulla plastica – la cosiddetta plastic tax. Pur se la misura viene rinviata a livello politico da più di due anni, Rethink Plastic riconosce che “un simile dibattito è un segnale molto positivo e mostra come alcuni Stati membri siano più comprensivi nel loro approccio per ridurre l’uso di plastica monouso”.

Nulla si muove, invece, sul piano sempre più auspicato della riduzione dei consumi e della produzione. “A questa data – ricorda il report – Italia, Belgio, Croazia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia sono le uniche nazioni a essere rimaste senza un piano nazionale o obiettivi per ottenere la riduzione dei consumi”. Allo stesso modo il nostro Paese – insieme a Germania, Paesi Bassi, Belgio, Croazia, Finlandia, Polonia, Ungheria, Romania, Slovacchia e Slovenia – resta indietro anche sul fronte della sensibilizzazione e della consapevolezza, con il report che ricorda come “i governi a livello nazionale hanno ricevuto piena flessibilità dalla legislazione ambientale europea per andare oltre la direttiva e dovrebbero cogliere questa  opportunità per andare oltre le disposizioni di base della direttiva per quanto riguarda le misure di sensibilizzazione”.

Leggi anche: Bioplastica riciclata con l’umido? Secondo Greenpeace è “greenwashing di Stato”

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie