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venerdì, Novembre 15, 2024

L’economia circolare nelle aziende può guidare il cambiamento dei consumi?

Le imprese devono abbracciare principi di progettazione circolare e identificare modelli di business che non siano guidati solo dalla vendita dei loro prodotti. Ma spesso i consumatori sembrano essere più avanti di loro: lo rivela uno studio di Capgemini

Antonio Carnevale
Antonio Carnevale
Nato a Roma, giornalista pubblicista dal 2012, autore radiofonico ed esperto di comunicazione e new media. Appassionato di sport, in particolare tennis e calcio, ama la musica, il cinema e le nuove tecnologie. Da qui nasce il suo impegno su StartupItalia! e Wired Italia, dove negli anni - spaziando tra startup, web, social network, piattaforme di intrattenimento digitale, robotica, nuove forme di mobilità, fintech ed economia circolare - si è occupato di analizzare i cambiamenti che le nuove tecnologie stanno portando nella nostra società e nella vita di tutti i giorni.

I consumatori chiedono un maggiore impegno delle imprese in ottica circolare. Lo svela l’ultimo report del Capgemini Research Institute – intitolato Circular economy for a sustainable future – che ci racconta di una platea di consumatori sempre più esigente in materia di corporate responsibility. Che non è altro che l’impatto che le scelte di un’organizzazione hanno sulla società, sull’ambiente e sull’economia.

In sintesi, le persone preferiscono orientare la loro spesa verso chi si impegna in pratiche di economia circolare. Del resto, secondo i dati dell’Italy Climate Report 2021, presentati durante la seconda Conferenza Nazionale sul Clima, il primo settore per emissioni di gas serra in Italia è quello industriale, con il 37% del totale nazionale. Ma è anche il settore che le ha ridotte maggiormente tra il 1990 e il 2019, con un taglio di 85 milioni di tonnellate di Co2. Segno di uno sforzo evidente, ma non ancora sufficiente.

L’economia circolare ha dimostrato di portare benefici concreti tanto all’ambiente quanto alla redditività aziendale. Ecco allora che, per avere un futuro, le aziende sono chiamate ad adottare modelli di business che gli consentano di incontrare le esigenze dei clienti e dei mercati e, soprattutto, di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, ridurre i consumi energetici e trasformare le catene del valore per garantire la sostenibilità ambientale ed economica.

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Gli italiani e le sfide ambientali

Detto che sono sempre di più le imprese che operano in modo sostenibile, negli ultimi anni però l’Italia non ha fatto registrare performance apprezzabili dal punto di vista dello sviluppo sostenibile. Sempre secondo l’Italy Climate Report infatti, tra il 2014 e il 2019 le emissioni si sono ridotte di appena 10 milioni di tonnellate di CO2eq. Con la pandemia, l’utilizzo di fonti rinnovabili è diminuito di circa 400mila tonnellate equivalenti di petrolio (circa il 2%), mentre aumentano i consumi di energia – tra il 1990 e il 2019 crescono del 9% – e le emissioni dell’agricoltura. Ancora oggi, inoltre, circa l’80% del fabbisogno energetico è soddisfatto da gas, petrolio e carbone.

Ma cosa sanno davvero gli italiani di problemi ambientali? A dare una risposta a questa domanda aveva già provato ENEA, con la sua indagine SALLO!, i cui risultati sono stati presentati in occasione della COP26 di Glasgow. Rivelando che i cittadini sono tutt’altro che disinteressati ai problemi ambientali. Spesso però, sembrano essere poco informati su cause, possibili effetti e misure per ridurre le emissioni di gas serra.

Non a caso, la ricerca mostra che molti italiani hanno già adottato pratiche virtuose come la raccolta differenziata (94%), la riduzione degli imballaggi in plastica (53%) o della plastica usa e getta (74%), la riduzione dei consumi di acqua ed energia (71%) e l’acquisto di prodotti alimentari locali e di stagione (79%).

Tuttavia, sono molti gli errori e le false credenze diffuse nella popolazione. Sono pochi quelli che conoscono l’Accordo di Parigi o gli obiettivi di decarbonizzazione, Anche meno (solo il 43%) quelli che conoscono le ricadute del cambiamento climatico sull’economia del nostro Paese.

Pur se rimane di fondamentale importanza sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi ambientali, rafforzando il dialogo tra scienza e società civile, gli italiani mostrano di essere ben propensi ad agire concretamente per la salvaguardia del Pianeta. Spesso ben più delle aziende, che faticano ancora a investire nell’adozione di pratiche circolari nella progettazione dei loro prodotti.

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Consumatori e imprese: lo studio Capgemini

A tal proposito, Capgemini ha intervistato oltre 8mila consumatori tra Stati Uniti, Regno Unito, UE e area APAC e condotto interviste approfondite con 20 esperti di settore, del mondo accademico, delle startup e dei think-tank attivi nel campo dell’economia circolare.

Il 79% di chi ha risposto sa che un terzo di tutto il cibo prodotto ogni anno a livello globale viene sprecato, il 63% è consapevole che gli imballaggi sono responsabili della metà dei rifiuti globali prodotti annualmente. Il 51% sa che quasi la maggior parte dei rifiuti tessili finisce in discarica e il 44% è al corrente del fatto che solo una minima parte (17%) dei rifiuti elettronici viene smaltito correttamente. Numeri sicuramente incoraggianti, che mostrano un aumento della consapevolezza sul tema dei rifiuti e dell’esaurimento delle risorse.

Oltre a una maggiore propensione verso pratiche di consumo consapevole: gli intervistati hanno ammesso di voler adottare pratiche come ridurre i consumi complessivi e minimizzare i rifiuti (54%), acquistare prodotti più durevoli, riciclabili o fatti con materiali riciclati (72%) e conservare e riparare i prodotti per aumentarne la durata (70%). Ma hanno rivelato che, secondo loro, le aziende non stanno facendo abbastanza per promuovere lo sviluppo sostenibile.

Quasi il 50% è convinto che le imprese, in tutti i settori, non stiano facendo abbastanza per riciclare, riutilizzare e ridurre i rifiuti. Il 67% di loro si aspetta poi che siano maggiormente responsabili quando pubblicizzano i prodotti, senza incoraggiarne un consumo eccessivo. Inoltre, i consumatori sentono di essere attualmente limitati nelle loro scelte. Affermano infatti di incontrare ostacoli consistenti in termini di costi, accessibilità e informazioni.

Tre su cinque (60%) lamenta la mancanza di un’etichettatura adeguata. Per il 55% è troppo costoso riparare un prodotto, mentre il 53% dichiara di non voler scendere a compromessi sulla convenienza. Una conseguenza inevitabile del boom dell’e-commerce, i cui principali attori hanno alzato gli standard dei consumatori offrendo servizi convenienti a basso costo, come la consegna il giorno successivo. Infine, il 48% afferma che spesso non sono disponibili alternative ecocompatibili nei principali negozi fisici o store online.

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Cosa devono fare le aziende

Il report Consumer Products and Retail: How sustainability is fundamentally changing consumer preferences , pubblicato da Capgemini nel 2020, aveva già rivelato che solo il 18% dei dirigenti nel retail investe in iniziative di economia circolare. Il settore automotive è invece più maturo: il 52% delle aziende ha dichiarato di agire per favorire e promuovere un’economia circolare.

La percezione dei consumatori rispecchia questi dati e ci dimostra come sia ancora complicato intraprendere azioni concrete legate a pratiche di economia circolare. Malgrado spesso siano proprio i consumatori a chiederlo e a rivolgersi alle aziende che lo fanno. Questo accade in particolare in ambiti dove la consapevolezza ambientale è maggiore: ad esempio, il 44% dei consumatori ha aumentato la propria spesa nell’ultimo anno in favore di aziende alimentari che si impegnano nel riciclo, nel riutilizzo e nella riduzione dei rifiuti. Il 40% lo ha fatto per i prodotti legati alla cura della persona e della casa, mentre il 31% acquista solo prodotti elettronici riparabili.

Le aziende hanno dunque il dovere di abbracciare principi di progettazione circolare, sfruttando le tecnologie emergenti e promuovendo la creazione di competenze per identificare modelli di business che non siano guidati solo dalla vendita dei prodotti.

“L’economia circolare è fondamentale per una crescita sostenibile”, ha spiegato Alessandro Kowaschutz, CPRD & EUCS Director di Capgemini in Italia. “I consumatori stanno già facendo scelte più ecologiche, ma hanno a disposizione solo quello che viene loro offerto: le imprese devono invece rendere sostenibile l’intero ciclo di vita dei prodotti”.

Per abbattere le barriere alla circolarità, bisogna evitare di concentrarsi solo sulla fase post-utilizzo e rendere sostenibile l’intera catena del valore di un prodotto. Questo è fondamentale per incentivare comportamenti più responsabili: attualmente, infatti, anche gli approcci di consumo circolare si concentrano principalmente sulla fase post-utilizzo. Ad esempio, il 58% dei consumatori dichiara di separare e smaltire i rifiuti alimentari dopo l’uso, ma solo il 41% di comprare cibo con un imballaggio esiguo. E appena il 24% acquista prodotti modulari, che possano prestarsi a futuri utilizzi differenti, sottolineando la scarsità di opzioni effettivamente disponibili.

“Le aziende di maggior successo saranno quelle in grado di effettuare una profonda trasformazione in tre ambiti: ridurre al minimo l’impatto dei loro prodotti e servizi esistenti, svilupparne di nuovi contemplando i principi di circolarità fin dalle fasi di progettazione e reinventare le loro operation secondo i nuovi modelli di business sostenibili”, conclude Kowaschutz.

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Cittadini, imprese e istituzioni insieme: la carta del consumo circolare

Cittadini, imprese e istituzioni hanno recentemente deciso di unirsi per implementare iniziative di economia circolare, ripensare i modelli di business, favorire l’adozione di pratiche circolari da parte dei consumatori e, in generale, sostenere la transizione verso una maggiore circolarità.

È nata così – dall’impegno di una ventina di associazioni dei consumatori e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – la Carta del consumo circolare, che mira a – si legge – “promuovere il passaggio dalla cultura dello scarto e dello spreco alla cultura del riciclo e del riuso”.

È rivolta non solo ai cittadini ma anche alle imprese, al mondo della produzione di beni e servizi e alle istituzioni, “perché si affermino nuovi modelli produttivi, le politiche di uno sviluppo sostenibile e una radicale riconversione delle risorse energetiche necessarie alla produzione”.

È stata attivata anche una partnership con Eni, nell’ottica di un’interlocuzione continua con tutti gli attori del sistema economico, dalle istituzioni al mondo produttivo. Lo scopo è proprio quello di far diventare la Carta parte integrante delle scelte che bisognerà compiere per la realizzazione delle azioni delineate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e dal programma Next Generation UE.

Proposte per un consumo circolare

La Carta del Consumo Circolare vuole attivare, incentivare e supportare i consumatori nella scelta di uno stile di consumo più circolare. Per poterlo fare, vengono individuati una serie di principi guida e proposte d’azione. Seguendo le indicazioni del New Circular Economy Action Plan della Commissione Europea sul ruolo strategico del consumatore nella transizione ecologica, la Carta sottolinea innanzitutto l’importanza di un’informazione trasparente.

I consumatori devono poter ricevere “informazioni affidabili e comprensibili sugli impatti ambientali dei prodotti e dei processi industriali che li generano, e derivanti dalle proprie scelte di consumo, proteggendo il mercato e la collettività dai rischi del greenwashing”.

In secondo luogo, il consumatore deve essere a conoscenza dell’impronta ambientale di tutti i prodotti per poterli comparare, deve “superare definitivamente l’approccio usa e getta” e considerare l’intero ciclo di vita di un prodotto. Infine, viene posta l’attenzione sull’importanza delle tecnologie digitali, del coinvolgimento del consumatore nella co-creazione delle caratteristiche di circolarità dei prodotti e dei comportamenti adottati dai consumatori nella fase d’uso e di post-consumo, dal riuso alla riparazione, dalla condivisione alla raccolta differenziata.

Per supportare i consumatori in questo processo di trasformazione del modello economico poi, la Carta propone anche alcune azioni specifiche. In primo luogo, si parla di “percorsi di educazione circolare”, per sensibilizzare gli utenti e favorire una maggiore conoscenza sull’economia circolare e sui comportamenti virtuosi da adottare.

Prevista poi la creazione di un vademecum sulle principali etichette ambientali presenti sui prodotti, per supportare il consumatore nelle scelte. La Carta promuove anche degli incentivi economici come la circular card, che preveda bonus e sconti per l’acquisto di prodotti e servizi pensati in modo circolare. Per rendere più chiare le caratteristiche di circolarità dei prodotti, infine, viene proposta la realizzazione di una scheda informativa accessibile tramite QR-code o barcode, che dia informazioni sulle principali caratteristiche ed eventuali certificazioni.

Il coinvolgimento dei consumatori, insomma, è fondamentale. Chi compie le scelte di acquisto deve essere in grado di capire, trovare, e scegliere quei prodotti che meglio rispondono ai criteri dell’economia circolare. Cosa che, in realtà, sta facendo sempre più di frequente. Una tendenza della quale qualsiasi impresa dovrà tenere sempre più conto.

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