È stato salutato come un nuovo passo in avanti dell’Unione europea verso la finanza sostenibile. Eppure l’approvazione, avvenuta da parte della Commissione UE, di un “quadro di riferimento per l’emissione di obbligazioni verdi” è, forse, qualcosa in più. Perché con la pubblicazione, avvenuta il 7 settembre, del “NextGenerationEU Green Bond Framework”, l’Europa non solo torna a ribadire i principi che animano il Recovery Fund – l’ambizioso pacchetto di misure economiche, oltre 800 miliardi di euro, che mirano a supportare la ripresa dalla pandemia – ma inserisce un altro tassello nel quadro green che le istituzioni comunitarie da tempo stanno allestendo.
Un tassello che potrebbe essere decisivo innanzitutto perché riguarda i soldi, che sono molti: con il lancio dei primi green bonds, attesi per ottobre, il Vecchio Continente mira a diventare il più grande emittente di obbligazioni verde. Almeno 250 miliardi di euro entro il 2026, vale a dire il 30% del NextGenerationEU. Trattandosi di prestiti, l’Unione europea potrà dunque scegliere quali progetti supportare dei Piani nazionali di Ripresa e Resilienza. Un aspetto di cui gli Stati dovranno necessariamente tenere conto. Ecco perché diventa fondamentale approfondire il contenuto del “green bond framework”.
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In attesa della tassonomia green, il compromesso è d’obbligo
Il quadro per le obbligazioni verdi è un documento lungo 20 pagine che è evidentemente frutto di un compromesso tra le varie pressioni degli Stati nazionali, a loro volta sensibili alle sirene lobbystiche interne. È noto, ad esempio, che la Francia spinge per far dichiarare “green” l’energia nucleare, così come la Polonia fa lo stesso col carbone e l’Italia col gas. Non sorprende dunque che nelle prescrizioni che dovranno fornire gli Stati membri sugli investimenti nella sostenibilità climatica e ambientale manchino parole nette da parte delle istituzioni comunitarie. Le categorie individuate, ad esempio, sono nove: ricerca e innovazione, tecnologie digitali, efficienza energetica, energia pulita, adattamento ai cambiamenti climatici, gestione dell’acqua e dei rifiuti, trasporti e infrastrutture, protezione della natura, riabilitazione e biodiversità. Ma cosa si intende per energia pulita? Qui il documento si fa più vago.
Questo perché al momento manca una tassonomia europea per la finanza sostenibile – ancora in fase di approvazione – ed è lì che lo scontro è più netto. In generale il framework è in linea con i principi delle obbligazioni verdi dell’International Capital Market Association (ICMA), lo standard di mercato più noto per questo tipo di obbligazioni e che oltre ai green bonds ha lanciato anche i social bonds. Un riferimento però un pò generico, tanto che la Commissione ha aggiunto che il quadro è allineato, tra gli altri, anche al principio Dnsh (“do no significant harm“, ovvero “non arrecare un danno significativo”). Si tratta di un principio, introdotto recentemente proprio dalla Commissione come guida agli Stati membri per la presentazione dei Piani nazionali di ripresa, che tra le altre cose esclude la presenza (e dunque il finanziamento) di nuovi inceneritori e di nuovi gasdotti.
A margine della presentazione del framework, Johannes Hahn, commissario responsabile per il bilancio e l’amministrazione, ha diradato qualche nebbia. Ma non tutti i dubbi sono chiariti.
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Nì al gas e no al nucleare?
“Non è possibile usare i fondi raccolti sul mercato nel quadro del Recovery Fund per finanziare investimenti per il settore nucleare, ci sono certe possibilità di usarli per il gas allo scopo di produrre e fornire energia per esempio per il teleriscaldamento che chiaramente contribuisce ai nostri obiettivi climatici”. Le parole di Hahn, riportate da Il Sole 24 ore, sono solo all’apparenza chiare. Se l’Europa considererà “green” il gas e il nucleare, e dunque sceglierà di dare priorità a queste forme di energia o di abbandonarle pian piano, bisognerà attendere, come già accennato in precedenza, la tassonomia, ovvero la classificazione delle attività economiche che possono essere definite “sostenibili”. Quel che è certo è che da Bruxelles arriva la conferma che, qualora l’accordo finale sulla tassonomia dovesse “salvare” gas e nucleare (o una sola delle due fonti di energia), il quadro sui green bond non verrà modificato.
Entrambe le partite, però, restano almeno in parte aperte. Specie quella sul gas, dove le pressioni delle aziende fossili sono più forti, tanto che nel quadro di riferimento si parla di gas naturale che viene accettato come “fonte energetica di transizione”, a patto che abbassi le emissioni di gas serra. E dunque viene facile immaginare, come abbiamo raccontato, che le compagnie fossili proveranno a farsi finanziare determinati progetti come quelli relativi all’idrogeno blu (ottenuto dal metano) o le ristrutturazioni delle centrali a carbone in centrali a metano. Difficile, però, che ciò potrà essere ottenuto dai green bond, mentre è più facile immaginare che a questi progetti vengano destinate le altre risorse del Pnrr.
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Come funzionerà
È noto che ogni Stato membro deve destinare almeno il 37% del proprio piano nazionale di ripresa e resilienza – la tabella di marcia per spendere i fondi del NextGenerationEU – a investimenti e riforme destinate alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, “e molti Stati membri prevedono di fare di più di quanto richiesto”, scrive la Commissione – l’Italia ufficialmente è al 40%, anche se ci sono parecchi dubbi a riguardo. I soldi verranno dunque affidati dalla Commissione ai singoli Stati membri, che dovranno poi riferire come hanno speso quelle somme, mentre un revisore esterno indipendente verificherà i dati relativi all’assegnazione. Ma non finisce qui.
Le informazioni sull’impatto saranno invece elaborate dai servizi della Commissione, che si avvarrà delle ampie competenze interne all’istituzione. Queste informazioni consentiranno agli investitori dei green bonds di valutare gli effetti positivi dei loro investimenti. Per garantire la significatività, l’imparzialità e l’accuratezza dei dati sull’impatto, anche in questo caso la Commissione europea farà ricorso alla consulenza di esperti indipendenti.
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Le prossime tappe
A ottobre si procederà alla prima emissione dei green bond. In ogni caso, assicura il quadro di riferimento, “dati i volumi, la frequenza e la complessità delle future operazioni di assunzione di prestiti, la Commissione seguirà le migliori pratiche utilizzate dai grandi e frequenti emittenti e ha attuato una strategia di finanziamento diversificata”. Invece il primo rapporto sull’impatto di questi fondi è atteso per l’autunno del 2023.
L’auspicio è di superare l’impegno preso a settembre 2020 dalla Commissione europea, secondo la quale il 30% dei fondi del NextGenerationEU sarà finanziato dai green bond. Si mira infatti, visto il crescente successo delle obbligazioni verdi, a sostenere integralmente in questo modo la quota di investimenti che i governi nazionali hanno incluso nella categoria ambientale.
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