A meno che la pandemia cambi radicalmente il nostro modo di vivere, le città sono destinate a diventare sempre più centrali nelle nostre vita. Finora i centri urbani si sono rivelati più consumatori di risorse e produttori di rifiuti che sistemi in grado di riutilizzare e valorizzare materiali e scarti secondo i principi dell’economia circolare. Per rovesciare questa tendenza ecco la sesta edizione di Genova Smart Week, evento promosso dall’associazione Genova Smart City e dal Comune di Genova, che dal 22 al 28 novembre promuove un’ampia serie di dibattiti per parlare di temi fondamentali come “smart city, città vivibili, innovazione, resilienza e sostenibilità”. La giornata del 25 novembre è stata dedicata nello specifico all’economia circolare, con due panel su “energia, recupero e riciclo dei materiali, ciclo dell’acqua” e “food policy”.
Ad aprire gli interventi le osservazioni dell’assessore al Comune di Genova, Matteo Campora, che tra le sue deleghe ha proprio quella specifica sull’Economia Circolare. “Quando si parla di economia circolare bisogna pensare non solo al cittadino ma a una gestione che sia regionale e nazionale – ha detto Campora – Il Nord ad esempio deve capire quali sono gli strumenti adatti, quale tipologia di impianti serve, se abbiamo necessità di termovalorizzatori o di impianti di biodigestione. A Genova noi stiamo lavorando affinché il rifiuto non viaggi più fuori dalla Liguria, come avviene ora. Senza impianti non si può fare economia circolare, ed è per questo che guardiamo anche al basso Piemonte per avviare economia di scala. Bisogna comunque partire dall’alto, con una visione precisa, per coniugare poi gli interventi specifici dei territori come ad esempio quelli sul recupero alimentare o sul ciclo dell’acqua”.
“Industria e ambiente non sono in contrapposizione”
Quella della mancanza di impianti è una questione che già da tempo il ministero dell’Ambiente, di concerto col ministero dello Sviluppo Economico, sta affrontando. Ed è stato anche il tema sollevato da Emmanuela Pettineo, project manager del report “L’italia del riciclo” che è curato dalla Fondazione dello Sviluppo Sostenibile. Ma l’economia circolare non è solo tutela ambientale. Lo ha ribadito l’avvocato Alessandro Della Valle, dal 2020 componente del Gruppo Tecnico sull’Ambiente di Confindustria. “Non siamo più nell’epoca in cui ambiente ed economia sono contrapposte – ha affermato Lo sviluppo non è solo impiego di capitale pubblico ma produzione di ricchezza. Sul riciclo facciamo da battistrada, ma vale la pena ricordare che oltre il 40% del riciclo arriva da materiale importato e solo l’11% arriva da materiale riciclato. Il riciclo non è un settore omogeneo, quasi tutti gli impianti stanno al Centro Sud”.
Un altro aspetto importante è stato sollevato da Nicolò Valle, economista presso Ref ricerche. “La responsabilità estesa del produttore è stata introdotta, come tema, negli anni ‘90 – ha spiegato – e significa che il produttore diventa responsabile del prodotto anche quando questo diventa rifiuto. Va però ribadito che in questo senso non si può agire soltanto con ulteriori tassazioni. Anche perché della tassazione ambientale ben poco viene speso a protezione dell’ambiente. E’ il caso ad esempio della Tari, che da sola vale oltre dieci miliardi e mezzo di euro e che spesso è un boccone d’ossigeno per le casse in difficoltà dei Comuni ma che raramente viene utilizzata per gli scopi prefissati”.
Dopo la recente pubblicazione dello statuto del consorzio Biorepack, era molto atteso l’intervento del presidente Marco Versari, già presidente del colosso Novamont e dell’associazione di categoria Assobioplastiche. Un intervento, il suo, che non ha deluso le aspettative. “Le bioplastiche – ha detto – non risolvono il problema delle cattive abitudini. Il nostro compito è quello di realizzare materiali che rendono più efficiente ed efficace il problema del raccoglimento dell’umido. Tra l’altro di bioplastiche si parla da almeno 25 anni. Generiamo 100 milioni di tonnellate di scarti organici a livello europeo, di cui due terzi li mandiamo ancora in discarica e li inceneriamo. Non abbiamo ancora la direttiva suolo, mentre abbiamo quella sull’aria e sull’acqua. Lo ribadisco: il sacchetto biodegradabile serve per non essere separato nella raccolta dell’umido e generare un compost di qualità. Il problema della plastica nel suolo è maggiore a quella del mare. Per dirla meglio: non siamo la panacea di tutti i mali, non siamo la soluzione alla plastica ma il modo per fare un buon compost. Faccio un esempio: la soluzione ai mozziconi di sigaretta non è la creazione di sigarette biodegradabili ma non farle gettare a terra”.
Le politiche alimentari delle grandi città
La seconda parte dell’incontro si è incentrata sulle politiche alimentari, che in tutta Europa si è diffusa con l’espressione “food policy“. Come si legge nella descrizione dell’evento, “dopo l’evento catalizzatore dell’Expo2015, il tema del diritto all’accesso al cibo e all’acqua in modo sicuro, pervasivo ed economicamente accessibile per tutti gli abitanti delle città ha portato alla definizione di food policy da parte delle amministrazioni in molte città italiane. In esse, il tema dell’accesso è affiancato con pari dignità della riduzione dello spreco e del recupero delle eccedenze, e dell’integrazione con le aree produttive site nel territorio urbano o immediatamente vicino. L’emergenza sanitaria ha portato negli scorsi mesi molte città a mettere in campo un impegno immediato per l’accesso al cibo a favore delle fasce e dei gruppi più fragili, trasferendo nell’immediato gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite”.
Poteva essere un’occasione per parlare di applicazioni e innovazioni dell’economia circolare nel settore ma, a parte l’esperienza interessante di Agricola Moderna (fattoria verticale di Milano), c’è stato più un racconto dell’enorme e imprescindibile supporto del volontariato, soprattutto nella raccolta e nella distribuzione alimentare. Una rete solidale è fondamentale, e in questo senso va il protocollo sulla resilienza che vede collaborare le tre grandi città del Nord (Milano, Torino e Venezia), però era lecito aspettarsi qualcosa di più sulle politiche alimentari correlate all’economia circolare.
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