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venerdì, Novembre 15, 2024

Come l’economia circolare può ridurre le emissioni del settore agroalimentare

Il settore agroalimentare è causa di emissioni climalteranti nell’aria su più livelli e momenti: dalla produzione di cibo e utilizzo dei terreni, fino alla distribuzione e alla gestione dei rifiuti. Le iniziative più concrete a livello comunitario e nazionale fino a questo momento hanno riguardato lo spreco alimentare

Elisa Elia
Elisa Elia
Giornalista e fotografa, anno 1992. Dopo gli studi in Editoria e scrittura all’Università di Roma La Sapienza, inizia a collaborare con le prime testate giornalistiche. Ha scritto per l’Italia che cambia, Il Manifesto, Left e Il Migrante. Appassionata del mondo del sociale, lavora anche con organizzazioni attive sul territorio a Roma, convinta che le parole rappresentino una parte fondamentale del cambiamento.

L’industria del cibo rappresenta un settore fondamentale su cui intervenire in ottica circolare per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Il settore AFOLU (Agricolture, Forestry and Other Land Use) è infatti responsabile del 24% delle emissioni globali di gas serra, secondo quanto riportato dalla Ellen MacArthur Foundation, e la produzione di cibo costituisce un segmento di questo ampio processo produttivo.

Ma a cosa ci si riferisce esattamente quando si parla di filiera agroalimentare e CO2? Quali sono i vari ambiti sui quali bisognerebbe intervenire? Ce ne sono diversi: la gestione e l’uso dei terreni, le attività agricole destinate al bestiame e quelle strettamente collegate alla produzione di cibo, per poi arrivare alla logistica e alla distribuzione e infine allo scarto. Si tratta dunque di un settore complesso, che intreccia diversi piani, responsabili ognuno in modo differente di emissioni di CO2 nell’aria.

Uno studio di Nature Food citato dalla FAO ad esempio ha evidenziato come  “circa due terzi delle emissioni riconducibili ai sistemi alimentari globali provengono dal settore delle attività di uso del suolo, che comprendono l’agricoltura, lo sfruttamento del suolo e le modifiche della destinazione dei terreni.”

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Il dossier della Ellen Mac Arthur Foundation

Per questo motivo il dossier “Completing the picture. How the circular economy tackles climate change” ha fornito alcune proiezioni sulle riduzioni di CO2 grazie all’economia circolare prendendo in considerazione le emissioni prodotte principalmente da tre attività: produzione di cibo, logistica (trasporto, conservazione e lavorazione) ed emissioni dovute allo spreco.

Le parole d’ordine sono dunque tre: eliminare gli sprechi, mantenere prodotti e materiali in uso e promuovere sistemi naturali rigenerativi, che rispettino l’ecosistema e non abbiano un forte impatto ambientale. Se queste tre linee guida venissero applicate, sempre secondo la MacArthur Foundation arriveremmo ad avere 5.6 miliardi di tonnellate di CO2 in meno nel 2050 e dunque una riduzione di quasi il 50% delle attuali emissioni dell’industria del cibo.

Tutto questo, nella pratica, significa promozione di iniziative contro lo spreco alimentare e implementazione di tecnologie volte a ridurre a monte lo scarto del cibo; ri-uso del rifiuto (quello inevitabile) del cibo in ottica circolare, per la produzione di altri beni (come ad esempio accade nel caso di Orange Fiber, un tessuto derivato dal residuo di agrumi) e di compost, che a sua volta rientrerebbe in circolo in campo agricolo; incentivazione di pratiche agricole che riducano l’impatto sul terreno e ne mantengano l’integrità e dunque la capacità di produrre senza additivi chimici e allo stesso tempo trattenere maggiori quantità di CO2.

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Le iniziative intraprese dall’Unione Europea

Il problema dello spreco di cibo è uno degli aspetti problematici legati alla filiera agroalimentare: secondo i dati FAO, il 14% dei prodotti alimentari a livello globale va sprecato prima ancora di arrivare sul mercato e perdite e sprechi sono responsabili dell’8% delle emissioni di CO2.

Per questo motivo, l’Unione Europea ha affrontato la questione diverse volte negli ultimi anni. Ad esempio, la Direttiva (UE) 2018/851, all’art. 9, prevede che gli Stati membri adottino misure volte a ridurre “la produzione di rifiuti alimentari nella produzione primaria, nella trasformazione e nella fabbricazione, nella vendita e in altre forme di distribuzione degli alimenti, nei ristoranti e nei servizi di ristorazione” e li invita a incentivare le donazioni di cibo. Nella stessa direttiva si chiede che gli Stati membri assicurino che entro il 31 dicembre 2023 i rifiuti alimentari vengano adeguatamente raccolti e riciclati.

Inoltre, a maggio dello scorso anno l’Unione Europea ha promosso la strategia “From Farm to Fork” (“Dai campi alla tavola”), all’interno del Green Deal europeo: una strategia studiata per rendere il sistema alimentare europeo più equo e più sostenibile e che all’interno di uno spettro di obiettivi molto ampio ha anche quello della riduzione dello spreco alimentare.

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Il quadro a livello italiano

Secondo il report ICESP “L’economia circolare nelle filiere industriali: i casi Costruzione&Demolizione(C&D) e Agrifood”, in Italia ogni anno c’è un’eccedenza di cibo pari a 5,6 milioni di tonnellate. Di queste, 5,1 vengono sprecate (sprigionando 24,5 milioni di tonnellate di carbonio nell’atmosfera) e il 57% è generato da attori economici (settore primario, industria di trasformazione, GDO e ristorazione).

Anche l’Italia, quindi, si è data da fare per affrontare il problema dello spreco alimentare. Dalla prima legge 133 del 13/05/1999 al 2016 con la “Legge Gadda”, che reca “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di  solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”: questa legge classifica e definisce le eccedenze alimentari lungo tutta la filiera (dalla produzione alla fruizione domestica) e incentiva le buone pratiche.

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Secondo ICESP, con questa normativa “l’Italia è stato il primo paese al mondo a dotarsi di una legge che presenta un approccio strategico al problema dello spreco alimentare.”

Infine, con l’approvazione del “Pacchetto Economia Circolare” dell’Unione Europea, l’Italia ha stabilito, fra i vari obiettivi, quello di un conferimento dei rifiuti urbani in discarica non superiore al 10% entro il 2035. Il che implica una riduzione dello spreco alimentare e una migliore gestione dello scarto.

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Non solo spreco alimentare

Affrontare la questione dello spreco alimentare significa tentare di risolvere soltanto una parte del problema e da un’ottica ben precisa. Il settore agroalimentare ha una filiera che coinvolge più piani e diversi attori economici; quindi anche le azioni da intraprendere devono tenere conto di questa complessità.

Se la battaglia contro lo spreco alimentare deve essere una di queste, anche la lotta per una filiera più equa e sostenibile in tutti i suoi passaggi deve essere portata avanti. Questo significa cambiarne la logica a monte: produrre in modo non intensivo, diversificato, rispettando i contesti ambientali dei territori e orientando la produzione al fabbisogno e non al profitto. Così, all’interno di un sistema di questo tipo, i processi di economia circolare rappresentano il tassello fondamentale per garantire che alcune pratiche virtuose diventino la base di un sistema produttivo più giusto nei confronti dell’ambiente.

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