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lunedì, Dicembre 16, 2024

“Le nostre pmi sono campionesse del riciclo, eppure i bandi del Pnrr finanziano i Comuni”

I dubbi di Anpar, Associazione dei riciclatori di rifiuti inerti, sui bandi del Pnrr per l’economia circolare. E poi l’end of waste e il decreto CAM strade che non arrivano. A colloquio con Paolo Barberi, confermato di recente presidente dell’associazione

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Approfittando della recente conferma alla presidenza di Anpar – l’Associazione di categoria dei riciclatori dei rifiuti inerti – abbiamo intervistato Paolo Barberi (Eco Logica 2000, uno dei principali operatori nel riciclo di inerti del centro Italia) per fare il punto sui rifiuti da costruzione e demolizione.

Dottor Barberi, partiamo dall’attualità: il Mite ha pubblicato i bandi per accedere ai fondi del Pnrr dedicati all’economia circolare. Cosa ne pensa Anpar?

In Italia si producono circa 153 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno: 30 milioni sono rifiuti urbani, gestiti dai Comuni, e 123 circa sono rifiuti speciali, gestiti dai privati. Eppure oggi si parla quasi esclusivamente dei rifiuti urbani.

I finanziamenti da 1,5 miliardi sono destinati al pubblico – Comuni e Autorità d’ambito territoriale ottimale, e sorvolo sulle capacità di questi soggetti – per l’ammodernamento e la realizzazione di nuovi impianti, per i quali peraltro viene ampliato il perimetro dei rifiuti trattabili, la gran parte dei quali oggi affidati a privati: si aggiungono infatti rifiuti da costruzione e demolizione (C&D), quelli tessili, le terre da spazzamento stradale.

Ci poniamo allora una domanda: considerando che il comparto privato della gestione dei rifiuti è fatto di piccole e medie imprese e che questo porta l’Italia ad essere uno dei Paesi più avanzati a livello europeo, perché lo Stato con il Pnrr preferisce finanziare al 100% il pubblico per fare lo stesso lavoro che il privato ha fatto bene fino ad oggi? Vediamo con preoccupazione, e con sospetto, il fatto di voler finanziare il pubblico e portare tanti rifiuti all’interno della privativa pubblica. Ci sembra che il sistema stia andando verso un modello che è più simile a quello francese o tedesco o belga, dove grandi soggetti partecipati dal pubblico gestiscono in maniera esclusiva grandi territori.

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Dunque, secondo voi, c’è un problema di concorrenza? (lo ha posto anche la nostra rivista)

Abbiamo fortissime perplessità sul fatto che questi finanziamenti possano ledere la libera concorrenza del mercato: grazie ai fondi in arrivo, i soggetti pubblici si andranno a posizionare sul mercato avendo evidentemente delle condizioni di vantaggio, visto che gli impianti saranno finanziati al 100.

Lei presiede un’associazione che tiene insieme oltre 100 produttori di aggregati riciclati. Il mercato italiano di questi prodotti gode di buona salute?

Le racconto. Ogni anno l’Italia produce circa 68 milioni di tonnellate di rifiuti inerti. Circa 55 milioni (l’80%) vengono recuperati e trasformati in prodotti conformi alle normative di mercato. Bene: il 30% di questi prodotti ogni anno resta invenduto dentro i magazzini degli impianti. Non perché il mercato non abbia bisogno di aggregati, ma per la diffidenza, purtroppo storica e strutturale, verso l’uso dell’aggregato ottenuto dal riciclo dei rifiuti.

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Come si spiega questa diffidenza?

La diffidenza dipende soprattutto dalla mancanza di un decreto end of waste (EoW) sugli inerti, come pure di un decreto CAM (criteri ambientali minimi) per strade e infrastrutture, che aprano finalmente il mercato in questa direzione.

Pensi che grandi stazioni appaltanti, sia pubbliche che private, utilizzano strumenti tecnici (capitolati, prezziari) che sono vecchi a volte anche di 30 anni. Mi capita ancora oggi di vedere progetti e capitolati che fanno riferimento a norme non più in vigore, chiedendo prodotti che, per questioni normative, non possiamo fornire. Dal ministero ci aspettiamo un decreto che risolva anche questo tipo di problemi.

Dell’end of waste inerti si parla da tempo. A che punto siamo?

Un paio di anni fa è stata inviata una bozza al Consiglio di Stato, che ha fatto rilevi e osservazioni. Dopo di che non sappiamo cosa sia successo, se sia stata data risposta alle richieste di chiarimento o meno. Detto questo, ad uno degli incontri di Ecomondo, il MiTe ha fatto sapere che il prossimo 22 giugno il decreto sarà pubblicato.

Gli aggregati artificiali e riciclati sul mercato costano più o meno di quelli di cava?

Il riciclato costa meno, anche se proprio perché è riciclato vale di più. Intanto questi aggregati hanno una distribuzione capillare che le attività estrattive non hanno, e quindi potremmo dire che sono quasi a chilometro zero rispetto alla cava. Per non dire poi del consumo del paesaggio legato alle estrazioni, problema che il riciclato ovviamente non ha. Purtroppo in tante Regioni d’Italia non vengono imposti tributi sulle attività estrattive.

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A questo proposito, all’inizio di novembre il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sulla concorrenza in cui si affronta, ad esempio, il tema dei canoni per le concessioni balneari e per le acque minerali. Si parla anche di cave?

No, non se ne parla. Siamo figli di un dio minore.

Dottor Barberi, il riciclo dei rifiuti da demolizione parte in cantiere e dipende da come si demolisce. In Italia c’è attenzione all’aspetto “progettuale” della demolizione?

C’è un protocollo europeo, del 2016, che invita gli Stati membri a rendere obbligatorio il piano di gestione dei rifiuti nel cantiere. Roma capitale ha previsto l’obbligo, per tutte le pratiche edilizie che necessitano di una dichiarazione (come Scia, Cila, Permesso a costruire, eccetera), di presentare un documento sulla gestione rifiuti: il professionista che ha avuto l’incarico, prima dell’avvio del cantiere, redige un breve documento, una autocertificazione sostitutiva dell’atto notorio, in cui afferma quali tipi di rifiuti e in quali quantità si prevede usciranno dal cantiere, e in quale impianto verranno conferiti. A conclusione dei lavori, per chiudere la prativa, servirà un’altra autocertificazione che indica i rifiuti effettivamente conferiti. Sembra una scelta banale, ma a Roma questo ha fatto aumentare notevolmente le quantità di rifiuti inerti conferiti nel flusso legale e sottratti a quello illegale. Quindi Roma, in maniera semplificata, ha reso obbligatorio il Piano di gestione indicato dalla Commissione. Ma è una pratica che non si fa ovunque.

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E poi c’è il tema dell’ecodesign delle costruzioni.

Un tema sicuramente cruciale. Lo stiamo vedendo in questo periodo con la corsa al superbonus 110%. Pensi all’insufflaggio di materiali isolanti, come poliuretano, nelle pareti: quando un domani queste pareti verranno demolite, quel poliuretano come si separerà dall’inerte? Diverso, ad esempio, è il cappotto termico, che puoi facilmente smontare quando devi demolire.

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