Lamantera è una parola che avvolge. In dialetto abruzzese indica la mantella dei pastori, la protezione nelle lunghe giornate di pascolo; la compagna di viaggio durante la Transumanza. Lamantera è anche il nome di un’avventura imprenditoriale che omaggia il territorio aquilano con una pratica di economia circolare pensata per ricomporre una filiera fatta di stalle e di pascoli, di pecore e di tosature, di lavaggi e di materiali ormai disarcionati dal mercato globale, destinati a essere scarti, rifiuti da bruciare. È l’avventura di Benedetta Morucci e della sua azienda. Designer veneta poco più che trentenne, Benedetta è la protagonista della puntata di Poderosa dedicata all’Appennino, al recupero della lana territoriale e a nuovi prodotti nati dalla creatività di una donna che ha deciso di archiviare le ipocrisie dei grandi marchi.
La puntata del podcast di A Sud e Tuba, prodotto da Fandango in collaborazione con EconomiaCircolare.com ci porta ad Anversa degli Abruzzi, nel bioagriturismo La porta dei Parchi, un presidio di sostenibilità e di resistenza agricola che dura da più di quarant’anni grazie al lavoro della cooperativa Asca, realtà fondata negli anni Settanta da Nunzio Marcelli e Manuela Cozzi, gestori dell’agriturismo, pionieri dell’agricoltura biologica e allevatori di pecore. L’iconica sigla di Fandango all’inizio del Podcast lascia presto spazio alle musiche composte da Andrea Cardoni per Poderosa. Il sound design si mescola con i rumori dell’agriturismo: entriamo con Benedetta nel ristorante, nella zona dell’accoglienza ospiti, e poi nei laboratori e nelle stalle.
Come nasce Lamantera
Qui è germogliata l’idea di Lamantera, in uno spazio capace di spezzare gli ultimi ancoraggi a un modello produttivo insostenibile per l’ambiente, e anche per Benedetta. È come se ci fossero state due epifanie in questa storia: una è arrivata dopo anni di lavoro per i grandi marchi dell’alta moda, l’altra ad Anversa degli Abruzzi durante le visite a Viola, amica dei tempi universitari, figlia di Nunzio e Manuela e coordinatrice dell’agriturismo.
“Disegnavo calzature per un grande marchio, passavo riunioni intere a parlare di scarpe vegane fatte con plastica e microfibra made in Bangladesh. Certo, nessun componente animale, ma chi ha cucito quella scarpa? Quanti ecosistemi abbiamo distrutto per produrla? Non c’era niente di etico, non c’era niente di sostenibile in quei prodotti“, racconta Morucci ai microfoni di Poderosa.
Ascolta la puntata 4 di Poderosa La Lana Made in Appenino
La consapevolezza di dover convivere con il greenwashing aziendale ha reso insopportabile tutto il resto: i ritmi di lavoro convulsi, il marketing tossico e l’aria permeata di maschilismo. “Presentavo calzature e nuovi modelli di scarpe per donne durante riunioni con tutti maschi, che decidevano particolari e stile. La femminilità nei prodotti è quasi sempre decisa da maschi, dal loro concetto di femminilità”.
Il greenwashing nella moda
E poi è arrivata la tendenza a tingere tutto di verde: quando il trend della sostenibilità ha invaso anche il suo ambiente lavorativo, Benedetta ha deciso di mettere in discussione tutto. “Il greenwashing nella moda è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Fino a qualche anno fa venivo vista come una pazza visionaria, poi tutto è diventato green, l’attenzione all’ecologia ha iniziato a spostare il mercato e aumentare le ipocrisie. I materiali naturali sono belli, sani. Quando li tocchi, se hai un minimo di competenza, capisci di giocare un’altra partita”.
Per Benedetta la sostenibilità è un elemento concreto, deve essere tangibile, e nel suo lavoro significa toccare materia viva, elementi naturali capaci di comporre prodotti circolari. Tra riunioni di soli uomini e scarpe pseudovegan, quell’aspetto della concretezza si disintegra, sfuma e lascia solo una posticcia operazione di marketing. Così, ad Anversa degli Abruzzi, Benedetta ha un’altra rivelazione, grazie a una domanda: “Voi con la lana cosa ci fate?”.
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Ricomporre una filiera
È una domanda inconsueta da fare un allevatore, ma Benedetta è ad un bivio. Restare a lavorare nell’alta moda o provare ad aprire un’attività proprio ad Anversa degli Abruzzi, dove sta bene, dove c’è la sua amica Viola, e dove la sostenibilità può avere una dimensione concreta? A indicarci la risposta sono le sue creazioni realizzate con quello che sarebbe diventato un rifiuto, ossia la lana sudicia degli allevamenti abruzzesi.
La lana sudicia – il manto lanoso della pecora eliminato con la tosatura – è un rifiuto speciale, deve essere avviato a smaltimento dall’allevatore, e il destino del vello tagliato è di solito un inceneritore. Perché sono in pochi a ritirare la lana? Non c’è un mercato esteso per questo prodotto: sono in pochi a raccogliere le lane locali, pochi i lavaggi industriali, e continua a essere difficile posizionare le varietà di lana italiana in un comparto che privilegia materiali sintetici o filati australiani. Ma Benedetta ha messo in discussione anche questo.
Per arrivare al risultato conclusivo, ai calzettoni, alle mantelle e ai berretti che oggi si trovano sul sito di Lamantera, Benedetta ha ricomposto una filiera. Non si tratta solo di stalle, ma anche di lavaggi industriali, di produttori da mettere insieme, di venditori e di occasioni dove dimostrare che esiste un futuro per le lane locali.
“Non mi rispondevano alla domanda, all’inizio nessuno credeva alla possibilità di recuperare la lana, perché si è sempre fatto così. Si è sempre fatto così e infatti ci sono anni di tosature nei fienili. Volevo dimostrare di poter ricomporre una filiera locale, non a livello artigianale, ma in una dimensione quantitativa. Quando sono tornata da Nunzio con i primi prodotti realizzati, con tutto impacchettato e completato, allora anche gli altri allevatori hanno iniziato a capire la concretezza della mia proposta”, ricorda Benedetta.
Interrompere certezze, disegnare uno scenario alternativo usando grammatiche diverse: ascoltare questa puntata di Poderosa è un esercizio utile per comprendere diversi modi di abitare e concepire le aree interne italiane. È il protagonismo femminile a spezzare quel si è sempre fatto così, sfidando le voci maschili, i vecchi e nuovi patriarchi. Del resto, Benedetta Morucci sa cosa vuol dire incrociare il potere dei maschi, lo ha visto in azione nei palazzi dall’alta moda. E infatti si congeda dai microfoni di Poderosa con questa frase: “C’è più misoginia e maschilismo in un consiglio di amministrazione che in una stalla”.
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