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domenica, Dicembre 15, 2024

Come incentivare l’autonomia UE sulle materie prime critiche? Con la tassonomia… e con un Club

Per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Commissione europea col Critical Raw Materials Act, sei Stati dell'Unione europea (non l'Italia) spingono affinché le attività connesse alle materie prime critiche, dunque sia l'estrazione che il riciclo, vengano inserite nelle attività economicamente sostenibili dalla finanza

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Redazione EconomiaCircolare.com

Per le materie prime critiche, ovvero minerali e metalli essenziali per la transizione ecologica e digitale, il 2023 è stato l’anno dell’ingresso nel dibattito pubblico. Uscite finalmente dalla nicchia degli addetti ai lavori, le critical raw materials (le più note sono litio, rame, cobalto, terre rare, manganese) sono diventate centrali rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione fissati dall’Unione europea.

Ancor di più da marzo 2023, cioè da quando la Commissione europea ha reso nota la propria proposta di regolamento sulle materie critiche. Con essa, sono stati fissati i traguardi da raggiungere entro il 2030 per una maggiore autonomia sia sull’estrazione che sulla lavorazione:

  • Almeno il 10% del consumo annuo dell’UE per l’estrazione,
  • Almeno il 40% del consumo annuo dell’UE per la trasformazione,
  • Non più del 65% del consumo annuo dell’Unione di ciascuna materia prima strategica in  qualsiasi fase pertinente della trasformazione proveniente da un unico paese terzo (chiaro riferimento alla Cina, che detiene praticamente un monopolio sulla trasformazione)
  • Almeno il 15% del consumo annuo dell’UE per il riciclaggio

Di tali temi si è parlato anche a Ecomondo, la fiera internazionale dell’economia circolare che si è da poco conclusa. Nel panel sui RAEE e le miniere urbane, organizzato da EconomiaCircolare.com, Giorgio Arienti, direttore generale di Erion WEEE, ha affermato che “la Commissione europea ha indicato la meta ma non il percorso”, nel senso che nel Critical Raw Materials Act non vengono spiegate le modalità e le politiche necessarie per raggiungere gli obiettivi indicati in precedenza.

Forse anche per compensare tali mancanze, negli ultimi giorni si sono succedute alcune proposte che potrebbero dare concretezza a un dibattito che altrimenti rischia di stagnare nell’astrattezza.

Leggi anche: La geografia delle materie prime critiche, tra nazionalismi e la nuova corsa all’Artico

Includere le materie prime critiche nella tassonomia?

È il 9 novembre quando l’Ansa, la più nota agenzia giornalistica italiana, scrive di aver visionato una lettera firmata dal ministro dell’Economia dell’Austria, Magnus Brunner. In essa sei Paesi – ovviamente l’Austria e poi Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania e Svezia – chiedono alla Commissione europea di includere le materie prime critiche nel regolamento sulla tassonomia, la classificazione delle attività economiche sostenibili per l’Unione europea. “Gli obiettivi del Green Deal possono essere raggiunti – riporta l’Ansa – solo se ci saranno le quantità necessarie di materie prime critiche per le tecnologie delle energie rinnovabili, la mobilità, la decarbonizzazione dell’industria e la digitalizzazione“.

In attesa di poter consultare il documento e di qualche commento istituzionale, qui possiamo provare a trarre qualche considerazione sulla proposta. Risalta immediatamente l’assenza dell’Italia (oltre a quelle della Spagna e del Portogallo, Paesi però che al momento si ritrovano senza governo), concentrata in questo momento nella partita della cooperazione internazionale e in quella di una ripresa nazionale, anche se fino a questo momento langue il tavolo nazionale sulle materie prime critiche, istituito più di un anno fa ma ancora ingarbugliato sull’istituzione di tavoli di lavoro e incapace di elaborare proposte precise.

Inoltre la proposta dei sei Stati appare interessante perché sostiene che un tema principalmente industriale – il ricorso alle materie prime critiche si ottiene, secondo le disposizioni della Commissione, incentivando il ritorno dell’estrattivismo minerario all’interno dell’Unione e favorendo un maggiore riciclo – debba essere finanziato dal principale strumento di finanza sostenibile di cui intende dotarsi l’Unione europea.

A settembre la Commissione europea aveva presentato un “pacchetto di norme” (Sustainable Finance Package 2023) per migliorare e rafforzare le misure a sostegno dello sviluppo della finanza sostenibile, prevedendo tra le altre cose un nuovo atto delegato relativo alla tassonomia e alcune precisazioni sui criteri della stessa. In entrambi gli atti, però, mancavano riferimenti precisi alle materie prime critiche.

La proposta dei sei Stati, dunque, vuole forse colmare una mancanza ma deve fare i conti con i tempi ristretti: gli atti delegati e le raccomandazioni relativi al Sustainable Finance Package sono stati inviati  a Parlamento europeo e Consiglio europeo per eventuali modifiche: dopo la definitiva approvazione da parte delle altre due istituzioni Ue, saranno applicabili da gennaio 2024. E se è vero che per l’entrata in vigore di tutta la tassonomia i tempi sono più dilatati, è innegabile che l’anno prossimo è in calendario un altro appuntamento che rischia di complicare tutti i piani, vale a dire le elezioni europee.

Leggi anche: Finanza sostenibile, le nuove proposte della Commissione Ue su tassonomia e investimenti Esg

Il Club delle materie prime critiche

“Alla COP28 lanceremo il Critical Raw Material Club per rafforzare la cooperazione internazionale ai massimi livelli”: con quest’annuncio il 9 novembre il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Maros Sefcovic, ha introdotto l’annuale conferenza degli ambasciatori dell’Ue. Si tratta di un annuncio atteso e sul quale si permea l’altro vero grande obiettivo delle istituzioni europee, vale a dire la cooperazione, sia tra gli Stati membri dell’Unione (in modo da evitare concorrenze e sgambetti) sia, soprattutto, verso gli Stati che detengono grandi quantità di materie prime critiche, come ad esempio l’Australia, il Canada (col quale esiste già una parternship bilaterale con l’Ue) e molti Paesi dell’America Latina.

Ma da dove arriva l’idea di un Club? Per comprenderlo è utile consultare il programma di lavoro della Commissione per il 2024. Dove viene scritto che il Critical Raw Material Club nascerà con lo scopo di giungere a “una leadership industriale che, insieme agli Stati membri, mira ad accelerare lo sviluppo di materiali avanzati sicuri, sostenibili e circolari, nonché l’adozione industriale a beneficio della transizione verde e digitale”. In pratica il Club sarà composto da “consumatori” di materie prime critiche (gli Stati dell’Ue) e dagli Stati ricchi di risorse naturali: in questo scambio i primi dovrebbero ottenere, appunto, gli agognati minerali e metalli; i secondi otterrebbero tecnologie e mercati per favorire lo sviluppo interno.

Come spesso accade, però, c’è un elefante nella stanza ed è, ovviamente, la Cina. Leader globale di materie prime critiche e di tecnologie a esse associate (i magneti permanenti in primis), pur non essendo espressamente citata né da Sefcovic né dalla Commissione, appare chiaro che Cina, e con essa la Russia, dovrebbero essere le grandi esclusi da questo Club. In attesa di saperne di più dalla COP28, viene da chiedersi se il selettivo Club promosso dall’Unione europea, monco sin dalla partenza, sarà uno strumento adeguato per affrontare la titanica sfida della transizione ecologica e digitale.

Leggi anche: Oltre il giornalismo fossile. L’emergenza informativa è connessa a quella climatica

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