Dopo la pubblicazione della Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare le scorie radioattive italiane, i territori indicati hanno dato vita a una mobilitazione contro il deposito nucleare unico.
Dal 5 gennaio, giorno della pubblicazione della lista dei siti candidabili ad ospitare il deposito unico nazionale dei rifiuti radioattivi, i territori indicati dalla Sogin sono in subbuglio. Al di là delle rimostranze arrivate senza defezioni da Consigli regionali, Giunte, sindaci e associazioni, le istituzioni e la società civile sono già in moto, con modalità diverse ma tutte accomunate da quella solidarietà e capacità di reazione tipica delle emergenze, partendo dall’assunto che “c’è sempre un altro più idoneo di me”. Vediamo le principali iniziative messe in campo in questo primo mese del percorso verso il deposito, periodo dedicato alla raccolta di osservazioni e controdeduzioni.
All’oscuro di tutto
Primo argomento delle proteste, che ha accomunato tutti, è l’aver appreso dai giornali la notizia della candidatura, senza essere stati coinvolti preventivamente. Insomma, una questione di metodo alla quale i ministri Costa e Patuanelli rispondono opponendo il vincolo di segretezza cui erano obbligati prima della fase di consultazione che si è aperta a inizio anno. La Cnapi è poi come una griglia formata dall’incrocio di numerosi indicatori che permette di scremare, sull’intero territorio nazionale, i siti papabili dal punto di vista puramente tecnico. La scelta politica, quella legata all’opportunità, arriverà solo dopo quella tecnica. Tuttavia, c’è da segnalare anche che trovare tra le aree potenzialmente idonee il nome di alcuni siti patrimonio dell’umanità Unesco non può lasciare impassibili.
Tutti contrari causa siti Unesco ed eccellenze agricole
Proprio la cultura, in un Paese che è primo al mondo per il numero di siti Unesco (55, a pari merito con la Cina), è una delle regioni addotte per smontare alcune “candidature”. La Sicilia “ha una vocazione ambientalista dimostrata dal fatto che ospita sette siti Unesco e due di geopark, tra cui quello del Parco delle Madonie”, ha sottolineato l’assessore regionale al territorio e ambiente Toto Cordaro. Che ha mosso anche questioni logistiche, ricordando che le scorie dovrebbero arrivare attraversare lo Stretto “dopo un lungo viaggio dal Nord Italia che presenta criticità di sicurezza”. Di turismo e cultura non poteva non farsi scudo Matera, nel 2019 Capitale europea della Cultura, coi sui antichi rioni di tufo Patrimonio dell’Umanità Unesco. Discorso analogo per Pienza e la Val d’Orcia.
Cultura ma anche agricoltura, come era probabile in un Paese che vanta il record di prodotti agroalimentari certificati, tra Dop, Igp, Stg: “Nell’area individuata attualmente si coltivano i pomodori e siamo a 500 metri dalle colline del Monferrato, patrimonio Unesco”, protesta Gianluca Colletti, sindaco di Castelletto Monferrato, uno dei Comuni dell’Alessandrino indicato da Sogin tra i papabili.
“Il nostro è un ex territorio industriale, che negli anni più recenti ha dovuto rimboccarsi le maniche per far rifiorire la vocazione agricola, vitivinicola, enogastronomica e turistica”, ha protestato ad esempio Maria Rosa Cena, sindaco di Caluso, altro Comune piemontese incluso nella Cnapi.
L’ambiente come vocazione
Tra gli argomenti in opposizione, anche quelli ambientali, come la vicinanza a siti di interesse comunitario, oasi del Wwf, Parchi nazionali: “Lo Stato e la Regione – ha sottolineato il governatore pugliese Michele Emiliano – hanno, in uno dei luoghi indicati da Sogin, istituito il Parco nazionale della Murgia e il parco regionale più grande, quello delle Gravine, quali presidi delle biodiversità e simboli dello stile di vita verso cui i pugliesi hanno deciso di andare”.
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“Abbiamo già dato”
Altro tema centrale delle opposizioni è ii refrain ”abbiamo già dato”. È ancora il caso del Piemonte, che oggi ospita la gran parte dei rifiuti radioattivi, ma anche del Lazio. Che oltre ad avere nella Tuscia un sito Unesco (Tarquinia) “presenta già un quadro fortemente impattante legato all’inquinamento nucleare di origine industriale e medica”, fa notare Massimiliano Valeriani, assessore al Ciclo dei rifiuti della Regione Lazio: “Questa regione ospita le due ex centrali nucleari di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, e di Borgo Sabotino, in provincia di Latina, oltre al Centro Ricerche dell’Enea Casaccia, nel Comune di Roma, dove si svolgono anche attività di studio e ricerca sulla medicina nucleare”.
In un documento comune, da sei sindaci e 40 amministratori di Comuni della provincia di Viterbo, con numerose aree indicate nella Cnapi, ricordano di essere un territorio “che evidenzia una incidenza di patologie tumorali, malformative, e degenerative superiore alla media nazionale. Malattiche che chiamano in causa in modo diretto o indiretto fattori di rischio – è appena il caso di ricordare il radon, l’arsenico nelle acque, fitofarmaci e pesticidi – presenti in maniera significativa nella nostra provincia”. Gli stessi sindaci, quindi, invitano ad applicare il principio di precauzione e ad evitare la presenza di “ulteriori fattori potenzialmente a rischio di comorbilità”.
I danni sono già fatti
Alcuni sindaci lamentano che il fatto stesso di aver inserito il territorio di un Comune nella Cnapi sta già causando problemi: “Ci preoccupa – ha osservato il sindaco di Mazzè, nel Torinese, Marco Formia – che in un’area agricola, solcata da canali e facilmente esondabile, si pensi di mettere dei rifiuti nucleari. Essere classificati ai primi posti fra i siti potenzialmente idonei ci inquieta: per fare le osservazioni abbiamo un tempo ridicolo, solo 60 giorni, e non disponiamo delle professionalità, per cui dovremo affrontare forti costi. Ancora, stiamo già subendo danni per il solo fatto di rientrare fra gli idonei potenziali: nel mio Comune sono già saltati degli acquisti di fabbricati”.
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La mappa delle iniziative. Il Nord
Visti i tempi stretti per presentare osservazioni e controdeduzioni (60 giorni dal 5 gennaio, ma in Parlamento si lavora per una dilazione) tutti sono già al lavoro. Il tema centrale è la diffusa scarsità di risorse e professionalità a disposizione dei Comuni. Per rimediare a questo deficit si assiste ad una stretta collaborazione tra diversi livelli istituzionali, con Province e Regioni che accompagnano e sostengono i territori nel lavoro per la redazione delle osservazioni.
A parte il corteo di trattori organizzato, pochi giorni dopo la presentazione della Cnapi a Carmagnola (Torino) tra i campi che potrebbero ospitare il deposito nazionale, per ora le iniziative in risposta alla Carta sono di natura organizzativa e politica: incontri tra istituzioni, sedute aperte dei Consigli comunali e regionali, coinvolgimento dei parlamentari eletti sui territori e delle competenze della società civile.
Partiamo dalle due Regioni che, per vari motivi, hanno maggiori probabilità di ospitare il deposito: Piemonte e Lazio, dove è maggiore la presenza di territori inseriti in classe A , dove ci sono i siti migliori dal punto di vista dell’efficienza, quelli appunto delle “aree continentali”, ed è divisa in A1, “molto buone” e A2, “buone”.
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Il Piemonte ha già avviato al riguardo i lavori del Tavolo di trasparenza e partecipazione nucleare, che mette insieme la Regione e gli enti locali interessati. La Regione, inoltre, dopo un prima seduta aperta del Consiglio, “farà proprie le osservazioni dei Comuni, in modo da poterle difendere con l’avvocatura regionale qualora il Governo le respinga”, ha affermato l’assessore ai Rapporti con il Consiglio regionale Maurizio Marrone. Si corre, insomma in soccorso dei Comuni: “Per inviare a Roma osservazioni puntuali e dimostrare l’inidoneità dei loro territori a ospitare rifiuti nucleari – sottolinea Marrone – le amministrazioni comunali avranno bisogno di esperti in materia ambientale, agronomi, geologi e ingegneri idraulici. Costituiremo un gruppo di lavoro con professionisti dipendenti della Regione o degli enti strumentali, da affiancare ai sindaci per far valere le ragioni del territorio”.
Anche il Comune di Torino ha annunciato che supporterà, dal punto di vista tecnico, i Comuni della provincia.
Il Centro
In Toscana, per elaborare le controdeduzioni si è riunito un gruppo di lavoro tra Comune di Trequanda e Pienza, gli altri sindaci e i tecnici comunali sia della Valdichiana che della Val d’Orcia. Il Comune di Pienza, in particolare, chiama in causa l’Unesco: “Sono partite – racconta il sindaco Manolo Garosi – le pec a firma congiunta mia e del sindaco di Castiglione d’Orcia, Claudio Galletti, come siti Unesco per chiedere l’intervento dell’Unesco in sede di osservazioni contro la costruzione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi tra Pienza e Trequanda”.
E la Provincia di Grosseto non esclude di ricorrere a una class action contro l’individuazione di un’area nel territorio maremmano.
La Giunta regionale del Lazio, come fanno sapere dall’assessorato al Ciclo dei rifiuti, dopo una riunione in videoconferenza col presidente della provincia di Viterbo (dove si trovano le aree candidate) e i sindaci dei comuni interessati, ha già messo al lavoro gli uffici tecnici che affiancheranno quelli dei Comuni per presentare, nelle prossime settimane, tutte le osservazioni.
E il Sud
La mobilitazione contro il deposito nucleare non risparmia la Puglia, dove la giunta regionale ha istituito un Tavolo di coordinamento con presidente e assessore all’Ambiente insieme ai sindaci, e un Tavolo tecnico per opporsi all’ipotesi di un deposito nella Regione. Il Tavolo di coordinamento dovrà definire “la strategia comune, fornire il supporto tecnico anche agli ulteriori Comuni interessati e coordinare le proprie attività con quelle della Regione Basilicata”. Quanto al Tavolo tecnico coinvolgerà, oltre agli enti locali, anche università, enti di ricerca e mondo associativo.
In Sicilia si è insediato un Tavolo di lavoro tecnico politico (formato da docenti universitari, sindaci, rappresentanti della Regione) che – anche dopo aver ascoltato comitati, movimenti, ordini professionali – elaborerà le osservazioni da inviare a Roma.
Il ruolo dell’Anci
L’Associazione nazionale dei Comuni e le sette Anci regionali interessate dalla Cnapi hanno istituito un coordinamento dei 67 Comuni individuati come potenziali sede del deposito. Anci, che al Governo chiede la proroga del termine dei 60 giorni per consultazione (proroga che potrebbe essere tra i primi provvedimenti dopo la nomina del nuovo Esecutivo) e l’attivazione di un tavolo di confronto in sede di Conferenza unificata – grazie al coordinamento intende raccordare tra loro i Comuni per raccogliere le osservazioni alla Carta. Il lavoro è partito da subito con l’approfondimento sulla metodologia e sui 28 criteri utilizzati per l’individuazione dei territori potenzialmente idonei.
Anche le sezioni regionali dell’associazione si stanno muovendo. Come l’Anci Lazio, che, fanno sapere, sta organizzando, probabilmente per questa settimana, un incontro con tutti Comuni coinvolti.
Candidature
Come abbiamo già scritto, obiettivo dell’iter condiviso che porterà alla localizzazione del deposito è stimolare quello che ad oggi pare – quasi – impossibile: la candidatura spontanea di uno dei 67 Comuni indicati per avere i deposito e il Parco tecnologico nel proprio territorio. Contestualmente al lavoro a fianco dei Comuni inclusi nella Cnapi, spiega l’assessore piemontese Morrone, “raccoglieremo eventuali disponibilità di altri Comuni, che Sogin potrebbe aver ignorato, a candidarsi volontariamente come sito idoneo senza controindicazioni ambientali, agricole e geomorfologiche”.
Un invito probabilmente fatto anche alla luce delle dichiarazioni del sindaco di Trino Vercellese, prima sede nucleare d’Italia, che da decenni ospita un deposito provvisorio con rifiuti radioattivi, ma che Sogin non ha incluso tra i siti candidati: “Siamo pronti all’eventualità di raccogliere i rifiuti, ma ci hanno escluso dall’elenco. Se ce lo chiederanno ne discuteremo”.
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