Che la plastica sia l’evidenza più netta dell’insostenibilità del modello di sviluppo attuale è ormai fatto acclarato. Ma che la diminuzione della produzione di plastica potesse essere la soluzione più immediata per superare la dipendenza dell’Europa dal gas russo, questo è meno scontato. Ed è la tesi principale attorno a cui ruota l’ultimo e fitto report di Break Free From Plastic, il movimento globale che dal 2016 mette insieme oltre 1900 organizzazioni non governative e singoli individui per chiedere una massiccia riduzione della plastica monouso.
“La produzione di plastica è stata responsabile rispettivamente di quasi il 9% e l’8% del consumo finale di gas fossile e petrolio dell’UE nel 2020 – si sostiene nel report – L’adozione di ambiziose misure di riduzione in tutti i settori potrebbe contribuire a ridurre la domanda di combustibili fossili all’interno dell’UE e dai paesi che la importano. Allo stesso tempo, tali misure contribuirebbero ad affrontare l’inquinamento da plastica, l’energia e le crisi climatiche. Poiché la quota maggiore di plastica prodotta e consumata nell’UE è l’imballaggio, accelerare il ritmo e l’ambizione di attuazione della direttiva Sup – oltre a promuovere misure di trasformazione attraverso la revisione della direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWD) – costituisce un primo passo”.
Della coalizione internazionale che ha redatto il report, lungo 44 pagine, fa parte anche Greenpeace, la nota ong internazionale che fa del contrasto alla plastica monouso una delle sue battaglie più note. “La plastica e i prodotti petrolchimici sono i maggiori utilizzatori industriali di petrolio, gas ed elettricità nell’UE, con quasi il 40% di tali risorse destinate alla sola produzione di imballaggi. Non includere questo settore nel piano europeo di riduzione dei consumi di gas in vista dell’inverno è un grave errore. Mentre le famiglie e le piccole imprese fanno i conti con bollette alle stelle, l’industria petrolchimica continua a sprecare preziose risorse per produrre plastica monouso, spesso inutile e superflua, alimentando la crisi energetica e climatica” dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace.
“Con una riduzione del 50% dell’immesso al consumo di packaging in plastica e una contemporanea crescita del riciclo fino al 90%, potremmo risparmiare l’equivalente del consumo annuale di petrolio e gas della Repubblica Ceca. Si tratta di un’enorme opportunità per affrontare immediatamente le crisi legate all’energia, al clima e all’inquinamento da plastica che non solo l’Europa ma anche l’Italia devono cogliere prontamente’’, conclude Ungherese.
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Sacrifici per i cittadini e non per i colossi della plastica
“L’inverno sta arrivando”: il titolo del report di Break Free From Plastic è una citazione dalla nota serie tv Games of Thrones. E serve a ribadire che di fronte una crisi energetica come quella che tutto il Vecchio Continente sta vivendo – e che si annuncia ancora più drammatica con l’arrivo appunto del freddo – gli sforzi finora compiuti dalle istituzioni europee appaiono largamente insufficienti. Soprattutto perché scaricano a monte le falle del sistema, facendo sì che a dover affrontare i sacrifici siano le singole persone.
“Se i produttori petrolchimici globali fossero un paese, sarebbero il terzo consumatore di petrolio al mondo e il quarto più grande consumatore di gas”: in un solo dato, citato all’inizio del report di Break Free From Plastic, si può già individuare dove bisogna puntare per ridurre le importazioni di gas dalla Russia. E lo si può fare immediatamente. “Oggi l’industria (della plastica, nda) è il principale motore dell’aumento della domanda di petrolio e gas a livello globale, alimentando la crisi climatica e i suoi impatti disastrosi sulle popolazioni e sugli ecosistemi più vulnerabili” si legge ancora.
Dalla pubblicazione della “Strategia europea per la plastica nell’economia circolare” sono passati quattro anni, così come ne sono passati tre dall’adozione della direttiva sulla plastica monouso (la direttiva Sup): con questi e altri procedimenti l’Europa ha voluto mettersi alla guida nella lotta globale contro l’inquinamento della plastica. Tanto da essere tra le principali promotrici dello storico accordo Onu, firmato lo scorso marzo a Nairobi, in cui 175 Paesi si sono impegnati a eliminare l’inquinamento da plastica.
“Eppure, di tutte le misure che l’Ue ha adottato per contrastare l’inquinamento da plastica alla fonte, nessuna riguarda direttamente la produzione di plastica – si legge nel report – La produzione di plastica è stata responsabile rispettivamente di quasi il 9% e l’8% del consumo finale di gas fossile e petrolio dell’UE nel 2020“. Considerando che, secondo i dati del 2020, il 38% del gas e il 22% del petrolio usato in Europa provenissero proprio dalla Russia, si comprende l’enorme responsabilità di un solo settore. In più la produzione di plastica, viene ricordato ancora, è anche quella a più alta intensità energetica e quella che necessita di un forte ricorso alle materie prime. Va poi fatto notare che, da soli, Belgio, Germania, Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi e Polonia sono responsabili del 77% di tutti i rifiuti di imballaggio in plastica nell’Ue. Si tratta, non a caso, di Stati che sono risultati all’inizio della guerra in Ucraina i più dipendenti dal gas russo. Un’altra “coincidenza” che deve far riflettere.
“Uno scenario business as usual, in cui l’industria della produzione di plastica prevede di raddoppiare la sua produzione di gas e petrolio è incompatibile con il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal, gli obiettivi climatici vincolanti per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C e la nostra urgente necessità di ridurre il nostro consumo di petrolio e gas e la nostra dipendenza – si afferma nel report – L’Ue non può ottenere una via d’uscita dalle molteplici crisi attuali semplicemente sostituendo i combustibili fossili russi con importazioni da altre regioni. Ogni barile di petrolio o metro cubo di gas fossile che va verso la plastica è un ostacolo importante verso il contrasto allal crisi climatica e per liberarsi dalla dipendenza dai fossili che fomenta l’instabilità e alimenta le guerre. Per riconquistare la leadership internazionale nella lotta alla crisi climatica e di inquinamento da plastica e per proteggere i suoi cittadini dall’aumento dei prezzi e dai conflitti che ne derivano, l’Ue deve confrontarsi con il petro-elefante nella stanza: la plastica”.
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Il “petro-elefante” nella stanza
La definizione di “petro-elefante” nella stanza resta suggestiva anche perché c’entra in maniera diretta un problema sostanziale: non solo perché i sacrifici energetici (ed economici) vengono chiesti alle persone e non alle multinazionali della plastica, ma anche perché nella narrazione comune dell’Unione europea – e in primis dell’Italia – il problema del gas alle stelle si risolve … ricorrendo ad altro gas, per aiutare in primis le aziende energivore.
“Secondo l’Africa Energy Outlook 2022 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia – ricorda il report – l‘Africa potrebbe potenzialmente fornire 30 miliardi di metri cubi in più di gas all’Europa entro il 2030. Eppure, nel 2020, il consumo di gas dell’Ue per la sola produzione di plastica è stato di circa 25 miliardi di metri cubi. Pertanto, anziché perseguire una corsa al gas insostenibile, neocoloniale e impopolare in Africa, l’Europa dovrebbe concentrarsi sulla riduzione della domanda di petrolio e gas adottando misure che includano l’eliminazione graduale degli imballaggi di plastica e dei prodotti non necessari a casa. E dovrebbe investire nell’accelerazione e nell’espansione dell’accesso alle energie rinnovabili in tutta l’Africa”.
In più, poi, il “9,3% del consumo finale di gas fossile dell’Unione Europea nel 2020 è andato alla produzione di plastica, rispetto al 9,79% nel 2014, quando la Russia ha annesso la penisola di Crimea”. Come a dire, insomma, che l’Europa non ha voluto imparare dai propri errori, preferendo continuare a importare fonti fossili a buon mercato da uno Stato che si era già dimostrato autoritario in passato. Non sorprende inoltre che gli Stati che maggiormente usano petrolio e gas per produrre plastica siano Olanda e Belgio – mentre l’Italia scende di poco sotto il 9%: perché produce sì meno plastica ma in compenso usa più petrolio e gas per le abitazioni private.
Di fronte questo quadro, si resta poco stupiti nel constatare che “la Russia è stato di gran lunga il maggiore fornitore di petrolio e gas dell’UE. Sebbene nel 2020 l’Ue avesse altri fornitori come Algeria, Azerbaigian, Iran, Libia, Qatar e Stati Uniti, dipendeva ancora dalla Russia per il 38% del gas fossile e il 22% del petrolio e dei prodotti petroliferi”. Una situazione che nel corso del 2021 e nella prima metà del 2022 è già cambiata drasticamente, d’accordo, ma soltanto perché al gas russo si è sostituito altro gas – i Paesi prima citati hanno aumentato le proprie quote. Ma il petro-elefante resta immobile nella stanza.
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Le soluzioni per liberarsi dalla dipendenza della plastica e del gas
“Considerando il contesto geopolitico e l’incombente crisi energetica che potrebbe peggiorare questo inverno, con i prezzi alle stelle che impediscono alle famiglie più povere di permettersi il riscaldamento o il carburante, e le potenziali carenze se la Russia decidesse di ridurre o tagliare l’offerta o se i governi dell’Ue applicassero sanzioni rigorose e riducessero o interrompessero il commercio , è fondamentale valutare la quota di petrolio e gas russi consumati dall’industria petrolchimica e della plastica dell’Ue e valutare in che modo la riduzione della sovrapproduzione di plastica e prodotti petrolchimici potrebbe aiutare a ridurre le lacune di approvvigionamento a breve termine senza bloccare ancora più infrastrutture per i combustibili fossili”.
Il suggerimento che arriva dal report di Break Free From Plastic è solo una prima parte delle possibili soluzioni per liberarsi dal perverso legame tra plastica e fonti fossili, riducendo la dipendenza da entrambi. “Mentre l’Ue ha spianato la strada a una moderata riduzione del consumo di plastica, e quindi della produzione, in particolare attraverso la sua direttiva Sup – si legge ancora – non è stato fissato alcun obiettivo globale di prevenzione vincolante. Come sottolinea l’ultimo rapporto commissionato dal gruppo commerciale del settore Plastics Europe, sebbene la prevenzione sia in cima alla gerarchia dei rifiuti, finora questa non è stata una priorità chiave esplicita della maggior parte delle politiche o delle azioni del settore”.
Quel che preoccupa di più è che, nonostante le buone intenzioni delle istituzioni comunitarie, non si vede all’orizzonte un reale cambio di passo. “Dal 2014 al 2019, la quantità di rifiuti di imballaggio in plastica è aumentata del 16% nell’UE e non mostra segni di rallentamento – recita il report – Le ultime previsioni dell’industria sugli imballaggi in plastica e sui rifiuti di plastica per uso domestico nell’UE suggeriscono che aumenterà costantemente dell’1% all’anno fino al 2050, un numero che può essere considerato prudente. Gli imballaggi riutilizzabili e ricaricabili rappresentano solo una porzione molto marginale della quota di mercato nei paesi dell’UE (di solito non più del 2-3%) e la maggior parte dei pochi sistemi ricaricabili esistenti in Europa sono stati sviluppati con bottiglie o contenitori di vetro”.
Vuoto a rendere, responsabilità estesa del produttore, prevenzione e riutilizzo: sono tutti concetti cardine dell’economia circolare. Il nesso è immediato, e deve esserlo anche per i decisori politici: per superare la crisi energetica e attenuare la dipendenza dal gas russo, l’Unione europea e i suoi 27 Stati membri devono ricorrere all’economia circolare. Una necessità quanto più urgente e conveniente, dal punto di vista economico e ambientale.
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