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sabato, Novembre 30, 2024

Per ridurre lo spreco alimentare dobbiamo (anche) superare i preconcetti estetici

Ogni anno un terzo del cibo viene sprecato, perché i prodotti che non rispettano gli standard estetici cui siamo abituati vengono scartati. Una campagna di Legambiente e NaturaSì porta sulle tavole anche prodotti non belli ma buoni e sani. Per ridurre gli sprechi e formare un consumatore più consapevole

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Redazione EconomiaCircolare.com

Lo spreco alimentare è un’esperienza comune: quante volte facciamo ammuffire la frutta o gettiamo un prodotto perché scaduto mentre lo tenevamo in frigo (ma attenti ad interpretare correttamente la scadenza indicata in etichetta). Difficile però rendersi conto di quanto pesi quest’esperienza comune a livello globale. Secondo la FAO circa un terzo di tutti gli alimenti prodotti nel mondo va perso o sprecato nel passaggio fra il produttore e il consumatore. In Europa parliamo di quasi 90 milioni di tonnellate di cibo. E lo spreco non sta solo nella pesca ammuffita o nelle uova scadute, ma risale a monte lungo il ciclo di vita di questi prodotti. Per un chilogrammo di carne bovina, ad esempio, vengono impiegati tra i 1.500 e i 3.00 litri d’acqua (ma le diverse stime sul tema divergono), per non dire del foraggio e delle emissioni climalteranti.

Secondo Legambiente, in Italia perdiamo 36 chili di cibo a testa ogni anno lungo tutta la catena di produzione, distribuzione e consumo: un valore complessivo tra i 12 e il 16 miliardi di euro.

Le iniziative in Europa

L’Unione Europea e i suoi Stati membri si sono impegnati, attraverso gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, a dimezzare gli sprechi alimentari pro capite a livello di commercio al dettaglio e di consumatori entro il 2030 e a ridurre le perdite alimentari lungo le catene che dal campo portano alla tavola.

I principi guida in materia di efficiente impiego del cibo, contenuti nella direttiva sui rifiuti dell’UE, invitano gli Stati membri e i loro cittadini a ridurre la produzione di rifiuti alimentari fra la produzione primaria e la distribuzione; a ridurre gli sprechi alimentari nelle famiglie; a incoraggiare le donazioni alimentari e monitorare e valutare l’attuazione delle rispettive misure di prevenzione degli sprechi.

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Perdita o spreco alimentare?

Gli addetti ai lavori distinguono tra perdita e spreco alimentare. Si parla di perdita quando si verifica prima che l’alimento raggiunga il consumatore. Si tratta di alimenti che finiscono in discarica a causa di inefficienze nella produzione, trasformazione, distribuzione alimentare. Si parla di spreco alimentare, invece, quando si verifica dopo che l’alimento ha raggiunto il consumatore, e quindi a causa di cattive abitudini ed inefficienze nel consumo.

Riduzione delle perdite a monte

Diverse e importantissime le iniziative di riduzione degli sprechi a valle – da Last Minute Market al Banco Alimentare – quando il cibo arriva alla distribuzione e alla ristorazione. Ma in questo articolo ci interessa in particolare risalire la filiera a mettere sotto la lente le prime fasi della produzione.

In Italia e nel resto d’Europa, ricorda ancora Legambiente che cita dati FAO, il 21% dello spreco di frutta e verdura avviene direttamente nei campi. Ogni giorno il nostro sistema produttivo “rifiuta” infatti una quantità enorme di cibo solo perché non è omogeneo nella forma e nella dimensione. Cibo meno ‘bello’, insomma, ma buono lo stesso, che non incontra quel canone estetico che, nella società dell’apparenza e del consumismo, abbiamo introiettato.

Proprio per ridurre queste immense e immotivate perdite, NaturaSì ha lanciato con Legambiente un’iniziativa destinata a ridurre lo spreco di cibo nei campi. L’azienda del biologico ha deciso, dall’anno scorso, di mettere a disposizione dei clienti i prodotti cosìpernatura: “Prodotti imperfetti, solo un po’ più grandi o un po’ più piccoli o semplicemente dalla forma insolita. Ma buoni lo stesso perché contenenti le stesse proprietà nutritive di qualsiasi altro prodotto biodinamico e biologico”, spiegano Legambiente e NaturaSì. In negozio li troviamo offerti a un prezzo ridotto anche del 50% rispetto a quelli canonici.

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“Recuperando e mettendo in commercio quello che è appena più piccolo, o appena più grande, o appena diverso, passiamo da un 20% circa di prodotto scartato sui nostri campi a un massimo, quasi fisiologico, del 4%”, spiega Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. “Spesso si dice che per sfamare una popolazione mondiale sempre crescente occorre più uso della chimica, dell’industrializzazione dei campi. Noi vogliamo cominciare ad affrontare questo tema con un salto di paradigma. Non sprechiamo quello che c’è, che abbiamo coltivato e per cui sono stati impiegati acqua, energia, lavoro, risorse. Uno schiaffo all’ambiente ma anche all’etica e alla sostenibilità sociale”, aggiunge.

“In un periodo di emergenza socio-economica come quello che il Paese sta attraversando – sottolinea Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – l’iniziativa in collaborazione con NaturaSì va nella giusta direzione, perché valorizza ulteriormente l’offerta di prodotti bio, con un impatto positivo sull’ambiente e sulla salute di ciascuno di noi. In questa nuova fase, siamo chiamati a ripensare i nostri modelli di consumo e a orientare le nostre scelte, anche e soprattutto tra gli scaffali, abbandonando le logiche di consumismo basate sulla standardizzazione dei prodotti agricoli e privilegiando alimenti che garantiscano un uso ecologico ed etico delle energie e delle risorse impiegate per la loro produzione”.

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