Il nome è mitologico, l’obiettivo è concreto: il progetto europeo Prometeo punta a ridurre i costi di produzione dell’idrogeno verde, ottenuto da fonti rinnovabili e considerato il futuro del settore energetico ma al momento poco conveniente dal punto di vista economico – basti pensare che al momento l’idrogeno grigio, quello cioè ricavato dal metano e con dispersione dell’anidride carbonica in aria, costa tre volte di meno rispetto al verde (per saperne di più leggi qui). L’obiettivo di Prometeo è di arrivare in prospettiva a una produzione di idrogeno verde che scenda sotto i 2 euro al chilo, grazie a una tecnologia altamente efficiente che combina l’elettricità da fotovoltaico (o eolico), con il calore da solare a concentrazione.
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A coordinare il progetto, che prevede un investimento di 2,7 milioni di euro di cui circa 2,5 milioni finanziati dall’Unione europea attraverso il programma pubblico-privato FCH JU (Fuel Cells and Hydrogen Joint Undertaking), sarà Enea. All’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile spetterà il compito di mettere in rete, in un’iniziativa che si articolerà in 42 mesi, un pool di imprese e istituzioni di ricerca italiane ed europee: la Fondazione Bruno Kessler (FBK), la spagnola IMDEA Energy e l’Istituto di ricerca svizzero EPFL si occuperanno insieme a ENEA dell’integrazione del prototipo con le fonti rinnovabili; l’italo-svizzera SOLIDpower fornirà elettrolizzatori e il sistema di termoregolazione, mentre il gruppo italiano Maire Tecnimont sarà a capo dell’ingegnerizzazione del prototipo e della messa in marcia dell’impianto attraverso due sue controllate, l’italiana NextChem e l’olandese Stamicarbon. Un ruolo fondamentale nello sviluppo di applicazioni finali lo avranno anche i potenziali utilizzatori della tecnologia: l’italiana Snam per l’iniezione di idrogeno verde nella rete gas, la spagnola Capital Energy per lo stoccaggio chimico di elettricità rinnovabile e l’olandese Stamicarbon per i possibili impieghi nell’industria chimica.
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Per saperne di più su Prometeo abbiamo rivolto qualche domanda ad Alberto Giaconia, il ricercatore di Enea che coordina il progetto.
Qual è nello specifico il ruolo di Enea e quali competenze mette in campo?
Enea assume un ruolo di coordinamento nel progetto Prometeo. Lo abbiamo fatto creando un cluster, o un partenariato, e siamo partiti dalla nostra natura di ente basato sulla ricerca e sull’innovazione multidisciplinare. Le nostre competenze scientifiche vanno dal solare alle celle a combustibile all’idrogeno. Di fatto siamo i più indicati per coordinare quello che è un progetto che riguarda più ambiti e che richiede diverse figure. Con Prometeo siamo riusciti a mettere insieme tutte le tessere di un mosaico: abbiamo chi ci fornisce gli elettrolizzatori, chi si occupa degli studi di laboratorio, chi dell’ingegneria, chi costruisce gli scambiatori di calore. Fino ad arrivare agli utilizzatori finali, con i quali abbiamo già rapporti in senso stretto. Penso per esempio a Snam o alla Fondazione Bruno Kessler. Di fatto abbiamo fatto da collante tra una serie di attori europei, dando però a un progetto comunitario una forte connotazione italiana.
Quando si dice dunque che la filiera dell’idrogeno va tutta costruita, dunque, forse in realtà serve mettere in rete, almeno in questa fase iniziale, coloro che in maniera separata già si occupano del tema. O no?
Esatto, il compito che con Enea ci siamo dati è proprio quello di creare un tessuto connettivo che in una prima fase potrebbe essere realizzata attraverso i centri di ricerca. È vero che in questo caso si tratta di un prototipo ma in Prometeo ci sono comunque tutti gli elementi necessari per creare una filiera completa, da poter poi replicare in ambito industriale e commerciale.
Se è vero che il primo prototipo sarà attuato in Spagna, quali potrebbero essere i luoghi di applicazione in Italia?
In premessa serve far notare che il prototipo verrà sì testato in Spagna ma verrà comunque interamente realizzato in Italia. Il sito iberico è comunque rappresentativo perché lì c’è una forte presenza di fonti rinnovabili. Poi, dopo la validazione in campo che servirà anche a dimostrare che la tecnologia del progetto Prometeo si può esportare, si potrà scegliere se portare questo prototipo (o replicarlo) in un sito che sarà uno stabilimento industriale dove c’è una domanda di idrogeno oppure un sito in prossimità di una rete gas o ancora una piattaforma sperimentale come le Hydrogen Valley che nasceranno in Italia nei prossimi anni e dove si vogliono testare tecnologie integrate su una scala più ampia e in diverse condizioni, per verificarne le performances in modo da poter adattare il prototipo.
È noto che il solare come fonte di energia sconta il problema dell’intermittenza e, speculare a ciò, quello dei surplus di produzione. Come si intende superare questo fattore che al momento comporta freni e sprechi?
Il progetto Prometeo nasce appositamente per risolvere questo limite, che in realtà è una sfida, nel campo della produzione di idrogeno. Le rinnovabili non sono programmabili, e ciò riguarda non solo il solare ma anche l’eolico ad esempio. Per cui questa difficoltà di un sistema energetico aleatorio va superata. In che modo? Ci possiamo aspettare che, mentre diffondiamo sempre più l’energia pulita, in determinate fasce della giornata (o in alcune stagioni in maniera più ampia) avremo un eccesso di produzione rispetto alla domanda della rete. Questi picchi verranno assorbiti dagli elettrolizzatori, pronti a partire dunque quando si verifica l’eccesso oppure, per dirla in altro modo, quando abbiamo disponibile energia elettrica a basso costo. Ciò abbasserà il costo della produzione di idrogeno che infatti è al momento alto proprio perché dipende in gran parte dall’elettricità. Per convertire dunque questa energia a basso costo nel miglior modo possibile verranno usate delle celle di elettrolisi ad alta temperatura, ad oggi il sistema più efficiente per produrre idrogeno. Cosa significa alta temperatura? Significa che dobbiamo tenerla calda. Per fare questo interverranno appunto i sistemi di accumulo di calore, sempre alimentati da energia solare, che permetteranno di mantenere calda la cella e pronta a partire, anche di notte, nel momento in cui dovesse essere disponibile energia a basso costo.
Tra gli utilizzatori finali del progetto c’è, come già accennato, Snam attraverso la rete ampia che al momento trasporta gas. È vero che Snam ha avviato una prima sperimentazione per condurre, all’interno dei propri gasdotti, metano miscelato fino al 10% con l’idrogeno. Ma in attesa dei risultati viene da pensare che, per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050, il metano andrà comunque dismesso. E allora che ne sarà dei gasdotti? Con progetti come Prometeo potrebbero essere riconvertiti a idrogeno?
Osservazione interessante. In una prima fase si può immaginare effettivamente che l’idrogeno venga trasportato insieme al gas. Noi siamo uno dei Paesi al mondo con la maggiore capillarità di metanodotti, e un patrimonio del genere non va sprecato. D’altra parte la tollerabilità della rete gas all’idrogeno è piuttosto alta, e dunque questa miscela non dovrebbe costituire un grosso problema. Vedendo le strategie che Snam sta mettendo in campo, si può pensare che assisteremo alla totale riconversione dei gasdotti in idrogenodotti. E in quel momento, oltre all’infrastruttura già esistente, anche i costi di produzione dell’idrogeno si saranno abbassati. Rendendo gli investimenti non particolarmente onerosi. In questo senso può esserci d’aiuto la storia.
In che senso?
Ricordo che quando ero piccolo, negli anni ‘80, assistemmo in molte nostre città al cambio delle nostre cucine, non più alimentate a gas ma a metano. Il gas che usciva dai nostri fornelli, infatti, non era metano ma il cosiddetto “gas di città”, o gas illuminante, che in realtà era già una miscela che conteneva idrogeno. Derivava infatti dalla gassificazione del carbone, con una composizione che prevedeva tra gli altri sia monossido di carbonio che idrogeno. Tra l’altro il monossido di carbonio è altamente tossico, molto più del metano, mentre la percentuale di idrogeno era piuttosto alta, se non ricordo male intorno al 40%. Quindi già 40 anni fa era prassi comune un uso quotidiano dell’idrogeno, e ciò potrebbe essere un buon esempio di transizione ante-litteram. Quindi così come abbiamo realizzato la conversione dal gas di città al metano, potremmo realizzare quella da metano a idrogeno.
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