Nonostante le polemiche (soprattutto da parte italiana) il regolamento europeo sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggi prosegue il suo iter. Oggi, 11 aprile, il relatore del Parlamento europeo presenterà una bozza della relazione con la quale l’istituzione europea si pronuncerà in merito alla proposta della Commissione europea, presentata il 30 novembre 2022 e discussa poi dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo.
Lo scopo del regolamento è aggiornare la normativa, con l’obiettivo di ridurre i rifiuti, promuovere il riciclaggio di alta qualità e sostenere gli investimenti. L’iniziativa si inquadra all’interno del Green Deal europeo e del piano d’azione per l’economia circolare. Già a febbraio 2021, nella risoluzione sul nuovo piano d’azione per l’economia circolare, il Parlamento europeo aveva chiesto, tra l’altro, la riduzione degli imballaggi eccessivi, un migliore riciclaggio, il potenziamento del riutilizzo nonché l’eliminazione graduale delle sostanze nocive.
Secondo le proiezioni della coalizione Break Free From Plastic, il movimento globale che dal 2016 mette insieme oltre 1900 organizzazioni non governative e singoli individui per chiedere una massiccia riduzione della plastica monouso, il regolamento europeo sugli imballaggi dovrebbe arrivare a compimento l’anno prossimo. Ma intanto le attenzioni si concentrano sulla valutazione d’impatto del Parlamento europeo che, appena pubblicata, anticipa la relazione dell’11 aprile.
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I problemi che il regolamento sugli imballaggi dovrà superare
In otto fitte pagine la valutazione d’impatto, preparata per la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo, aiuta a comprendere meglio il contesto in cui si sviluppa il necessario aggiornamento di una normativa che deve fare i conti con i nuovi obiettivi ambientali europei e con uno scenario profondamente modificato. Al 2018 il fatturato della produzione di imballaggi generato nell’Unione europea è stato stimato in circa 355 miliardi di euro, con il packaging che è uno dei principali utilizzatori di materiali vergini (40% plastica e il 50% della carta utilizzata nell’Ue è destinata agli imballaggi) e rappresenta il 36% dei rifiuti solidi urbani.
Sono tre le aree problematiche individuate dalla valutazione d’impatto:
- i livelli elevati e crescenti di rifiuti di imballaggio, con “un aumento significativo dell’uso di imballaggi a perdere (imballaggi non riutilizzabili, un esempio tipico è la plastica monouso) e con le tendenze nel commercio al dettaglio (reti di distribuzione più grandi, linee di imballaggio ad alta velocità) che non incentivano il riutilizzo”
- gli ostacoli alla circolarità da imballaggio: questi, si legge ancora nella valutazione d’impatto, “derivano da un maggiore utilizzo di caratteristiche di progettazione degli imballaggi che ostacolano il riciclaggio, una maggiore contaminazione incrociata dei flussi di riciclaggio compostabili (ad esempio plastica compostabile e convenzionale), sostanze pericolose negli imballaggi, etichettatura confusa degli imballaggi, gestione dei rifiuti e sistemi di riutilizzo che non sono economicamente efficienti.
- i bassi livelli di assorbimento del contenuto riciclato negli imballaggi in plastica: ciò significa che “il materiale riciclato è di qualità e funzionalità inferiori rispetto al materiale originale”, per cui, nel più classico dei circoli viziosi, si preferisce fare ricorso alle materie prime vergini piuttosto che a quelle riciclate.
Ci sono poi due specifici fattori problematici individuati dalla valutazione d’impatto, che a monte rischiano di bloccare i processi circolari: il fallimento del mercato – esternalità, mercati frammentati, carenze informative, struttura dei mercati deficitaria lungo la catena del valore dei rifiuti – e il fallimento normativo – ad esempio i requisiti essenziali applicati in modo non uniforme, le difficoltà degli Stati membri a garantire il rispetto degli obiettivi nazionali di riciclaggio, la direttiva sulla plastica monouso che riguarda solo gli imballaggi in plastica.
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Opzioni e soluzioni per migliorare il regolamento sugli imballaggi
A causa di questioni così complesse le soluzioni, si legge nella valutazione d’impatto, “non possono essere affrontate solo con misure nazionali”. Insomma, “la valutazione d’impatto ritiene che la definizione di requisiti comuni a livello dell’Ue contribuirebbe a creare economie di scala e a migliorare sia l’economia circolare sia condizioni di parità per i produttori di imballaggi”. Inoltre “la valutazione d’impatto presenta tre opzioni politiche che affrontano tutti i problemi definiti. Le opzioni sono alternative politiche parzialmente incrementali e non del tutto autonome. Le principali scelte politiche tra le opzioni riguardano obiettivi di riduzione dei rifiuti, obiettivi di riutilizzo per gli operatori di determinati settori, misure per aumentare la riciclabilità, obiettivi per il contenuto riciclato negli imballaggi di plastica, sistemi di deposito cauzionale obbligatori e regole di etichettatura per facilitare la raccolta differenziata da parte dei consumatori”.
Ma quali sono queste tre opzioni politiche? Eccole:
- migliore standardizzazione e requisiti essenziali più chiari
- obiettivi obbligatori e requisiti più severi
- obiettivi e requisiti di vasta portata
Per ognuna di queste opzioni la valutazione d’impatto calcola gli effetti sulla prevenzione e il riutilizzo, sulla riciclabilità e la compostabilità, sul contenuto riciclato e sulle misure di abilitazione. Inoltre vengono calcolati “qualitativamente e quantitativamente i principali impatti sociali, economici e ambientali delle opzioni politiche per le imprese, le autorità pubbliche e i cittadini/consumatori dell’Unione europea”. E alla fine qual è l’opzione politica preferita? La numero 2, quella che prevede obiettivi obbligatori e requisiti più severi. Proprio quella che non piace al governo Meloni. Anche se “la valutazione d’impatto integra l’opzione 2, definendola 2+, “aggiungendo misure per chiarire la compostabilità e il riciclaggio e per fornire flessibilità agli Stati membri (il requisito DRS può essere raggiunto con altri mezzi)”. La scelta dell’obbligatorietà flessibile, ci sia consentito l’ossimoro, permetterebbe inoltre di avere un trattamento analogo per le imprese dei 27 Stati membri, che anzi in questo caso sarebbero incentivate a migliorare le performance. Nella valutazione d’impatto, infine, mancano però le misure di monitoraggio: viene da pensare che l’intenzione delle istituzioni europee sia quella di indicare al massimo le modalità ma di lasciare poi carta bianca agli Stati membri. Non proprio un buon segnale per un regolamento così complesso e delicato come quello sugli imballaggi.
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