Da diversi anni, la plastica si trova al centro delle policy ambientali delle Istituzioni europee, che ne hanno riconosciuto la strategicità nel percorso di transizione ecologica, evidenziando al contempo i margini di miglioramento per accrescere la sostenibilità della filiera. Vi sono stati importanti interventi mirati: dalle indicazioni delle direttive del cosiddetto “Pacchetto Economia Circolare” (2018), alla Direttiva Single-Use-Plastics (2019), alla più recente proposta di “Regolamento Imballaggi” (2022), passando soprattutto dalla Strategia Europea per la plastica nell’economia circolare (2018).
Il riciclo della plastica è centrale per l’economia circolare
Quest’ultima si configura come uno dei tasselli decisivi per sostanziare l’economia circolare, che punta a trasformare le modalità in cui i prodotti in plastica vengono progettati, prodotti, impiegati e riciclati nell’Unione Europea (UE) e a fornire una visione per una nuova economia della plastica in Europa, per un’industria innovativa e sostenibile, ove la progettazione e la produzione dei beni rispettino appieno le esigenze di riutilizzo, riparazione e riciclo. Il tutto, generando crescita ed occupazione in UE e contribuendo alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e della dipendenza dall’import di combustibili fossili.
Il ruolo degli imballaggi in plastica
Il tema degli imballaggi (riciclaggio e riduzione dell’uso) è uno tra i più sentiti. Da un report del 2020 della Corte dei Conti Europea, diffuso lo scorso ottobre, emerge il rischio consistente che gli Stati europei non riescano a traguardare i target di riciclaggio degli imballaggi in plastica al 2025 (50%) e al 2030 (55%). Gli imballaggi coprono circa il 40% dell’impiego di plastica e rilevano per oltre il 60% dei rifiuti in plastica generati nell’Unione, laddove costituiscono la tipologia di imballaggio che denotailpiùbassotassodiriciclaggio.
Non solo. Dall’analisi della Corte, si evince come i Paesi UE si appoggino sugli Stati extra-UE, per il trattamento dei propri rifiuti di imballaggio in plastica e per l’ottenimento dei livelli obiettivo. Basti pensare al fatto che, nel 2020, quasi un terzo degli imballaggi in plastica dichiarati come riciclati veniva mandato al di fuori dell’Unione per il riciclo. Le condizioni più severe imposte dalla Convenzione di Basilea hanno quasi vietato tali spedizioni, a partire dal gennaio 2021. Tuttavia, tale situazione, unita all’incapacità di trattare questi rifiuti all’interno dei confini europei, pone una seria minaccia al conseguimento degli obiettivi.
La direttiva SUP sulla plastica monouso
Dando uno sguardo alle altre norme, la Direttiva (UE) Single-Use-Plastic (SUP) 2019/904 stabilisce obiettivi di raccolta differenziata delle bottiglie in plastica per bevande e contenuti minimi di materiale riciclato nelle bottiglie di nuova produzione. Entro il 2025, le bottiglie in plastica monouso per bevande dovranno contenere almeno il 25% di materiale riciclato (che sale al 30% entro il 2030). Un percorso, quello degli obblighi crescenti di contenuto riciclato, che potrebbe essere rafforzato, fissando obiettivi intermedi più graduali e cadenzati nel tempo, in modo da assicurare lo sviluppo delle raccolte e degli impianti per trasformare questi flussi in materie prime impiegabili nella fabbricazione di nuovi prodotti.
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Lo stop all’export di rifiuti
L’ultimo intervento, in ordine cronologico, è quello dello scorso febbraio, quando il Parlamento Europeo ha approvato in via definitiva le nuove misure di controllo per le spedizioni di rifiuti. Per quanto di interesse, entro due anni e mezzo dall’entrata in vigore del regolamento, saranno vietate le esportazioni di rifiuti in plastica verso Paesi non OCSE, laddove quelle dirette verso l’area OCSE dovranno soggiacere a condizioni più rigorose. Tra le altre cose, la spedizione di rifiuti per lo smaltimento in un altro Paese Membro dell’UE potrà essere autorizzata solo in via eccezionale. Tutto considerato, emerge in maniera chiara l’impellenza di agire per promuovere ulteriormente il riciclo dei rifiuti in plastica, come sottolineato a più riprese dalle Istituzioni europee. Anche perché, come si avrà modo di osservare, i benefici ambientali assicurati dai processi di riciclo sono consistenti.
Il contributo del riciclo della plastica alla decarbonizzazione
L’utilizzo di materie prime da riciclo nei processi produttivi, in luogo delle corrispondenti vergini, garantisce benefici ambientali chiari. Tali effetti positivi si manifestano, in particolare, nella filiera della plastica, ove l’impiego di Materie Prime Seconde (MPS) appare decisamente preferibile – sul piano degli impatti ambientali – rispetto a quello delle materie prime di origine fossile.
In primo luogo, i processi produttivi della plastica vergine poggiano sull’estrazione e sul consumo di risorse naturali non rinnovabili, a partire dal petrolio e dai suoi derivati. Impiegare le MPS ne limita il consumo e, con esso, anche la dipendenza dell’Italia dai Paesi produttori di petrolio.
Al consumo evitato di risorse naturali si affianca, poi, il risparmio energetico garantito dall’utilizzo del prodotto riciclato. Quest’ultimo richiede quantitativi di energia di molto inferiori a quelli necessari alla produzione di plastica vergine, in quanto si evita l’estrazione e la raffinazione delle materie prime fossili. Il risparmio energetico porta con sé anche minori emissioni di gas serra e altre sostanze inquinanti, grazie al fatto che il riciclo della plastica è meno energivoro, se confrontato con la produzione di plastica vergine, determinando così un minore impatto ambientale complessivo.
Un report del Joint Research Centre (JRC) di recente pubblicazione analizza gli effetti ambientali del riciclo della plastica, approfondendo in particolare i risparmi emissivi e i benefici ambientali che discendono dall’impiego delle MPS. Ciò secondo due differenti prospettive: una che guarda ai vantaggi ambientali ottenibili su scala di sistema con il ricorso al riciclo come alternativa all’incenerimento e/o allo smaltimento in discarica (“Prospettiva della gestione dei rifiuti o del sistema”); l’altra che considera i benefici ambientali dell’utilizzo di polimeri riciclati, vale a dire le MPS, in luogo di una quantità equivalente di materie prime vergini (“Prospettiva del prodotto”).
I benefici ambientali del riciclo rispetto alle altre forme di gestione dei rifiuti
Nell’elaborazione di questo Position Paper, abbiamo preso in considerazione i valori scaturiti dalla prima prospettiva, che tiene conto sia del trattamento alternativo evitato (incenerimento, smaltimento), sia della sostituzione della produzione di materiale vergine. Si tratta di un approccio focalizzato sul ciclo dei rifiuti, che intende esaminare i benefici conseguibili nella gestione, grazie alle soluzioni organizzative e alle tecnologie implementate.
Ciò che emerge è che per tutti i polimeri, il riciclo di una tonnellata aggiuntiva di plastica, in luogo di un mix di incenerimento e smaltimento, incorpora chiari benefici di mitigazione del cambiamento climatico. I risparmi emissivi oscillano tra le 1,1 e le 3,6 tonnellate di CO2 equivalente per tonnellata di rifiuto plastico, rispettivamente da quelli più contenuti per l’LDPE a quelli più elevati del poliuretano. Sulla base delle quote di mercato dei polimeri, il beneficio medio si attesta sulle 1,9 tonnellate di CO2 equivalente per tonnellata di rifiuto plastico.
Il beneficio ambientale più consistente discende proprio dalla mancata produzione della materia prima vergine, grazie all’utilizzo della materia prima seconda da riciclo, mentre minore è il beneficio che deriva dal trattamento alternativo evitato.
I benefici risultano più elevati per il riciclo delle due tipologie di PET e del poliuretano, poiché le corrispondenti produzioni vergini presentano un impatto ambientale superiore a quello degli altri polimeri. All’estremo inferiore, si trovano polimeri come l’LDPE, un polimero largamente prevalente nelle flusso delle cosiddette “plastiche miste” urbane attualmente più difficile da riciclare in ragione dei maggiori costi di selezione, energetici e dei trattamenti che ne precedono l’estrusione. Un dato, quest’ultimo, che pesa sul contenuto del beneficio netto ambientale rispetto agli altri polimeri e che tuttavia, proprio in considerazione dei più bassi costi di produzione del prodotto vergine, giustifica un’attenzione specifica.
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I benefici emissivi totali del riciclo della plastica
Applicando i valori unitari per polimero riportati nella prima prospettiva ai flussi di rifiuti totali che possono essere riciclati in aggiunta, si ottengono i benefici annui complessivi sulle emissioni dei processi di riciclaggio dei rifiuti plastici.
A fronte di un insieme di rifiuti in plastica post-consumo raccolti di 29,1 milioni di tonnellate (fonte Plastics Europe), il JRC quantifica in 17,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno la riduzione di gas serra conseguibile in Europa grazie alla sostituzione delle MPS ai prodotti vergini. Tale valore costituisce un beneficio aggiuntivo rispetto a quanto già conseguito con gli attuali processi di riciclaggio, che assicurano un decremento di 18,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalente annue. Il beneficio addizionale ammonta a circa lo 0,5% delle emissioni totali annue di gas climalteranti dell’intera UE.
Complessivamente, emerge un beneficio complessivo, cumulando il riciclo attuale e quello potenzialmente attivabile, di 36 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti di emissioni evitate ogni anno.
Nello studio, il JRC assume prudenzialmente che fino al 70% dei flussi di rifiuti polimerici ricompresi nell’analisi, che attualmente non vengono raccolti separatamente, possa essere raccolto in maniera differenziata, preparato e avviato a riciclo, anziché essere smaltito o incenerito. Pertanto, il 30% dei rifiuti attualmente non raccolti in modo differenziato continuerebbe a rimanere tale. In uno scenario ipotetico, in cui tutti i rifiuti polimerici fossero intercettati dalle raccolte differenziate e avviati a riciclo, i benefici ambientali salirebbero a 25 milioni di tonnellate di CO2 equivalente evitate ogni anno. Anche in questo caso, si tratterebbe di un beneficio aggiuntivo, rispetto a quanto attualmente già garantito dai processi di riciclo in essere.
Il beneficio emissivo per l’Italia
Benché il JRC non fornisca una ripartizione dei risparmi conseguibili per singolo Stato Membro, per avere un’indicazione di massima, è possibile prendere a riferimento la quota di rifiuti plastici prodotti dall’Italia sul totale di quelli europei: un primo dato “macro” che assume la medesima quota di mercato dei polimeri nei Paesi europei. I dati Eurostat indicano un totale di 20,5 milioni di tonnellate di rifiuti plastici per l’UE-28 nel 2018 (compresa la Norvegia), di cui 4,4 milioni di tonnellate sono imputabili all’Italia (circa il 20%). Su queste basi, a partire da un beneficio emissivo europeo pari a 36 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, nello scenario in cui tutta la plastica post-consumo venisse riciclata, l’Italia potrebbe contabilizzare 7,2 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti di emissioni evitate.
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Sostegno economico al riciclo
A fronte di questi numeri che illustrano chiaramente i benefici ambientali accertati in termini di riduzione delle emissioni climalteranti, il tema, ora, è come incentivare il riciclaggio della plastica. Il novero dei meccanismi vigenti è estremamente ampio. Nella versione completa del presente Position Paper, sono stati analizzati quelli che appaiono gli strumenti economici maggiormente rilevanti ai fini del sostegno alle politiche ambientali: il sistema EU ETS (Emission trading system), le Garanzie d’Origine (GO), i Certificati Bianchi e i Contratti per Differenze. In questo senso, la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare rappresenta il contenitore adeguato, ove collocare un nuovo meccanismo o estendere al riciclo uno degli strumenti già esistenti in campo energetico.
Un’opzione è, quella, di estendere le GO ai prodotti riciclati, arrivando fino al loro inserimento nell’EU ETS. Ciò potrebbe andare a beneficio di tutto il sistema industriale italiano, sostenendo, da un lato, il tessuto di riciclo della plastica e, dall’altro, indirettamente beneficiare anche tutti i settori hard to abate, come cementifici, siderurgia, produzione di energia e petrolchimica, chiamati parimenti a sostenere obiettivi ambiziosi di decarbonizzazione. Un ulteriore vantaggio è poi indubbiamente il fatto che si tratta di politiche a costo zero, perché non comportano oneri per la finanza pubblica.
In ogni caso, al di là della scelta dello strumento, appare importante aprire un tavolo di discussione, ove raccogliere le istanze dei diversi portatori di interessi, istituzionali ed industriali, per sostenere i processi di riciclaggio, per riconoscerne i chiari benefici ambientali intriseci. A partire proprio dalla filiera della plastica, ove le difficoltà sono appurate.
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