A volte riuscire a rendere concreto il concetto di inquinamento è difficile. A volte l’inquinamento non si vede, a tratti non si percepisce, tutt’al più ne siamo assefuatti ma non riusciamo a distinguerlo. Altre volte, invece, l’inquinamento sta lì, noto a tutti e tutte, impossibile da contestare. È il caso del marine litter, più noto come inquinamento da plastica in mare.
Con l’arrivo dell’estate torneremo a solcare fiumi, laghi, mari e oceani. E torneremo a renderci conto (si spera) delle montagne di plastica che inondano le zone d’acqua. Quello del marine litter è un inquinamento particolarmente odioso e nocivo – danneggia tutto l’ecosistema – ma, allo stesso tempo, estremamente ostico da combattere.
A parte la sottovalutazione del fenomeno, che certamente esiste, il marine litter è probabilmente uno dei simboli più evidenti dell’incapacità di cambiare il modello di sviluppo attuale.
Avvinghiati all’economia lineare e a un’incessante produzione usa e getta, abbiamo reso il mare la nostra pattumiera. Che fare dunque? Le soluzioni ci sono, e partono inevitabilmente da una maggiore sensibilizzazione – come ad esempio fa da anni l’associazione Mare Vivo. Ma anche in questo caso un appiglio centrale è l’economia circolare.
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