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venerdì, Dicembre 13, 2024

Non solo greenwashing ma anche stereotipi di genere e razzismo bianco: analisi dello spot Apple

Per il lancio dei prodotti carbon neutral entro il 2030 Apple fa le cose in grande e promuove un lungo spot che è quasi un corto cinematografico. Ma in cui l'azienda di Cupertino conferma di pensare all'ambiente come a un elemento di profitto. "Si parla di impatto zero senza accennare all'infrastruttura di internet"

Cristina Petrucci
Cristina Petrucci
Socia di Tuba quindi femminista e accanita lettrice. Da sempre appassionata di Medio Oriente, scrive e pensa solo dopo aver verificato sul campo

È ormai di qualche tempo fa lo spot della Apple con cui la società di Cupertino illustra a Madre Natura i buoni propostiti di sostenibilità ambientale a cui sta lavorando e che nel 2030 porterà i prodotti con la mela ad essere totalmente carbon free. Lo spot è ambientato proprio nell’Apple Park: asettico, bianco e pulito, con del verde fuori dalle finestre.

Nella sala riunioni ci sono, in ordine di inquadratura Lisa Jackson, vice presidente di Apple, delegata alle politiche ambientali e alle iniziative sociali, nonché dal 2009 al 2013, prima africana-americana ad essere amministratrice, sotto il governo di Obama, dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti; di fronte a lei Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple. Fuori, il vento scuote gli alberi. Una nuvola di foglie vola nell’aria. Il Rainbow Stage risalta brillante sotto un cielo nuvoloso. Nella sala conferenze, il tavolo vibra. I bicchieri d’acqua tremano. Una coccinella atterra su un bicchiere. Madre Natura, interpretata da Octavia Spencer, arriva e si siede finalmente al tavolo della riunione: “Spero di non avervi fatto aspettare”.

Perché Olivia Lenora Spencer? Dell’attrice africana-americana nata in Alabama, oltre ai suoi numerosissimi film, non mi sembra fuori contesto ricordarla per l’interpretazione di Tanya, nel film del 2014 “Snowpiercer” per la regia del sud coreano Joon-ho Bong. Il pianeta è interamente ghiacciato per cause antropiche (a seguito di un esperimento che avrebbe dovuto contenere il riscaldamento globale, ma è sfuggito al controllo degli esseri umani) e i sopravvissuti vivono in un lunghissimo treno, in perenne movimento.

Un film bruttissimo ma evidentemente importante per l’immaginario Apple, dove ovviamente a salvare i sottomessi, sarà un valoroso uomo bianco che, con crudeltà estrema, riesce ad arrivare fino alla testa del treno, sconfiggere il cattivo e, sacrificandosi, permettere al bambino nero, figlio di Tanya, e a una giovane ragazza coreana, di sopravvivere e riportare la vita sulla terra. In Snowpiercer, Olivia Spencer è una madre coraggiosa, che combatte fino alla fine per salvare il suo bambino, ma viene uccisa e quindi la missione verrà portata avanti dall’eroe bianco. Una bella similitudine con Madre Natura nello spot di Apple.

Continuiamo a guardarlo insieme. Nella stanza cala la penombra. Fuori, le nuvole bloccano il sole. Madre Natura: “Andiamo al sodo. Nel 2020 avete promesso di azzerare la carbon footprint di Apple entro il 2030. Henry David Thoreau ha detto: Abbiamo la grande opportunità di costruire un futuro più sostenibile per il nostro Pianeta”. Filosofo e scrittore statunitense vissuto tra il 1817 e il 1862, figlio di un fabbricante di matite, decise di vivere per due anni, da solo, all’interno di una casetta di legno, che si era costruito con le sue mani, in un bosco. Da questa esperienza è nato il suo libro Walden. Vita nel bosco. Citato da Apple proprio perché negli Stati Uniti viene considerato il capostipite della cultura dell’ecologia, della sostenibilità e del ritorno alla natura, in una linea di discendenza bianca e coloniale a cui fanno appartenere Madre Natura.

È Lisa Jackson ad incalzarla con le buoni azioni di Apple: “noi abbiamo piantato foreste. Il nostro obiettivo è rimuovere in modo permanente l’anidride carbonica dall’atmosfera”. Lisa annuisce con calma, tenendo le mani intrecciate sul tavolo. Madre Natura nasconde un sorriso. Si volta e cammina lentamente verso la finestra con le mani dietro la schiena. Il team osserva con apprensione. Fuori, il sole fa capolino da dietro le nuvole. Tim e Lisa si alzano. Ed è qui che il manager bianco e con tanti anni di esperienza sulle spalle dà il colpo finale a Madre Natura: “Come vede, abbiamo innovato e riorganizzato quasi ogni aspetto dei nostri processi per ridurre l’impatto sul pianeta. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Entro il 2030 tutti i dispositivi Apple saranno a impatto neutro”. Quindi Madre Natura può andarsene soddisfatta e riportata nel suo ruolo stereotipato naturale: “non deludete vostra madre!” Concluderà.

Uno spot che dimostra pienamente come il capitalismo applichi delle politiche di potere veramente intersezionali. Chiedo un commento su questo alla professoressa Elena Dell’Agnese, ordinaria presso l’Università di Milano-Bicocca e presidente dell’Associazione delle geografe e dei geografi italiani (AGeI). Ha scritto molto di Critical e Ecocritical Geopolitics ed è proprio su questi due concetti che le chiedo di spiegarci cosa significa oggi occuparsi dei messaggi veicolati dalla cosiddetta cultura popolare.

“La critical geopolitics è un approccio di ricerca che si è sviluppata nell’ambito del post strutturalismo nel mondo anglofono, negli anni 90 e cerca di capire come costruiamo la cosiddetta mappa geopolitica del mondo e come la costruiamo in base al discorso geo politico e come questo cambia nel tempo: prima pensavamo che le razze fossero gerarchicamente articolate e organizzate, un tempo si pensava che le donne fossero il sesso debole e questo è il modo attraverso cui noi interpretiamo il mondo. Secondo la geopolitica questo discorso, dato per scontato, viene veicolato attraverso tre forme: i discorsi dei politici, attraverso quello che noi impariamo a scuola e all’università e attraverso la popular geopolitics, cioè l’insieme dei testi che compongono la cosiddetta cultura popolare: fumetti, canzoni, media, monumenti e nomi delle vie etc”.

“Siamo immerse in questa continua produzione di informazioni che accettiamo costruiscano il nostro nazionalismo in termini banali e quindi anche la nostra visione di noi e degli altri. La eco geopolitics è una sua filiazione. Nel senso che prende dalla popular geopolitics l’idea che la cultura popolare sia uno strumento importantissimo di potere nella formulazione di discorsi, ma si focalizza, non solo sulle relazioni internazionali, ma sul discorso che in qualche modo noi formuliamo nei confronti dell’ambiente, degli altri animali, delle piante, delle pietre, della terra. Secondo la eco geopolitics noi siamo profondamente condizionati da una cultura filosofica e religiosa antropocentrica, quindi la eco critica geopolitica si propone di decostruire in qualche modo il discorso sull’ambiente che viene veicolato dalla cultura popolare. Oggi ci consideriamo tutti ambientalisti, ma che relazione pensiamo di avere con l’ambiente? Che cos’è l’ambiente per noi? È una grande cuccagna di risorse che dobbiamo utilizzare con attenzione perché sennò poi finiranno e la nostra qualità della vita peggiorerà e questo è il discorso conservazionista; oppure è qualcosa che deve essere rispettato perché è bello perché ci fa stare bene e questo è un discorso preservazionista. Questo sempre nell’ambito dell’ambientalismo mainstream; oppure è qualcosa che noi dobbiamo rispettare in quanto tale, perché dobbiamo rispettare qualsiasi forma di vita? E questo fa riferimento alla deep ecology. Oggi il sistema gerarchico di potere ancora attuale che vede il maschio bianco al centro, poi la donna bianca, poi il maschio non bianco e infine la donna non bianca, mettendo insieme diverse forme di discriminazione che gerarchizzano i generi, le razze, l’età, abilismo e non abilismo, ma anche il rapporto tra esseri umani e animali non umani, per questo ulteriore sistema gerarchico le ecofemministe hanno coniato il termine di antroparchy (antroparcato), perché nell’ultima categoria di gerarchizzazione ci sono gli animali non umani e l’ambiente in generale che sono a nostra disposizione per essere sfruttati”.

“Ecco, in questo discorso si inserisce questo spot che vorrebbe farci riflettere, farci cambiare rotta su un possibile futuro di esaurimento delle risorse e quindi della possibilità di riciclare, di avere prodotto carbon free e a km0 ma non tiene minimamente conto di quanto costa internet e lo stare costantemente in connessione globalmente”.

Ormai nessuno può più negare che ci sia un effetto antropogenico sul contesto ambientale quindi la narrazione si sta spostando sull’auto assoluzione e auto convincimento che Apple qualcosa la stia facendo per salvare questo ambiente. Eppure il protagonista è ancora l’uomo bianco, anzi un amministratore delegato bianco, con diversi anni di esperienza. È a lui che viene lasciata la parola finale su Madre Natura con un atteggiamento che sembrerebbe reverenziale ma che invece trasmette visivamente arroganza e supremazia.

“Ultimamente si rappresentano le donne nei film di fantascienza o di climate fiction come ragazze giovani e bellissime – spiega Elena Dell’Agnese –  Madre natura è bellissima? No, però hanno scelto apposta un’attrice che rappresenta in un certo senso la desessualizzazione della donna nera, una sorta di mami  in perfetta continuità con la rappresentazione stereotipata della donna nera. Quindi siamo in perfetto capitalismocene e norddelmondocene. Probabilmente loro da un lato stanno veramente lavorando per ridurre l’impatto dei prodotti sull’ambiente, tuttavia nello spot non viene minimamente accennato all’infrastruttura di internet. Noi viviamo ormai immersi in internet e ne siamo totalmente dipendenti e questo anche grazie agli apparecchi della Apple e quindi loro produrranno dispositivi che nel 2030 saranno totalmente carbon neutral, questo può valere per la produzione, ma non per l’uso che se ne fa, visto che internet consuma come il quinto stato più popoloso al mondo. Per non parlare del cloud che comporta un consumo di energia e quindi di produzione di CO2, enorme. Non so quante foreste deve piantare Apple per poter compensare. E poi c’è la rappresentazione di madre natura in quel modo, per cui c’è sia lo stereotipo che la donna in quanto donna sia più vicina alla natura e non è vero. L’ecofemminismo critico dice che la donna è vicina alla natura perché entrambe sono state trattate con potere e sfruttate da parte dell’uomo bianco. Poi, come ho detto, c’è l’estetica che assomiglia molto alla mami, allo stereotipo interpretato da Hattie McDaniel nel film Via col vento, cioè alla donna nera abbondante di forme. Infatti la rappresentavano così perché doveva essere asessuata. L’uomo bianco e la donna nera non dovevano avere rapporti, non era così ovviamente, ma non potevano essere rappresentati in maniera diversa. Così nella storia della cinematografia americana si rappresenta la donna nera come sovrappeso e al servizio della donna bianca. Una delle prime cose che dico ai miei studenti quando inizio a spiegare che cos’è la popular geopolitics è: avete presente il cartone animato di Tom e Jerry? In Tom e Jerry non si vedono esseri umani, c’è un’unica figura di cui si vedono solo i polpacci. E come sono quei polpacci? Sono grossi e neri perché lei è la donna di servizio in casa. E la donna di servizio è per stereotipo sovrappeso e nera. E questo fa parte di uno stereotipo pazzesco portato avanti dalla cinematografia americana. Secondo me l’estetica di questa madre natura va a riprendere questo stereotipo, accogliente ma allo stesso modo non attraente. È uno spot molto interessante da analizzare però tremendo perché è un greenwashing clamoroso e porta con sé vecchi stereotipi coloniali e razzisti e di genere. C’è dentro tutto. L’unica cosa carina dello spot è la ragazza che nasconde la pianta morta”.

Alla fine dello spot, dopo il benestare di Madre Natura, la piantina morta rinasce e i cinque petali verdi si trasformano nel logo Apple nero con la foglia verde. Uno spot che ha fatto veramente poco discutere ma che invece incarna perfettamente l’intersezionalità delle oppressioni, in un’ottica fastidiosa di stereotipi di genere e di un capitalismo nordamericano ancora schiacciato totalmente su un racconto bianco, dove è stato un bene liberarsi dalla schiavitù ma non esageriamo e dove si continua a pensare che produrre computer senza possibilità di estrarre gli hard disc e quindi si possono salvare i dati solo sul cloud, sia una politica ecologica. Madre Natura può anche strizzare leggermente un occhio alla Apple, ma le nuvole bloccano ancora il sole e di un cammino sostenibile nelle foreste non ne vediamo neanche l’ombra.

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