Sul divieto delle auto termiche – quelle coi motori a combustione interna, vale a dire benzina, diesel e metano – si profila all’orizzonte uno scontro tra l’Italia e l’Unione europea. Non sarebbe il primo, per la verità, dato che a livello istituzionale il nostro Paese ha più volte manifestato criticità sull’orizzonte temporale definito dall’Ue per la riconversione ecologica del settore automotive, uno dei più inquinanti per quanto riguarda le emissioni di gas serra. Fino a poco tempo fa, tuttavia, lo stile del governo Draghi era orientato al dialogo, alla ricerca di una (difficile) trattativa affinché si potessero sostenere le esigenze di un’industria, quella delle auto private, che a ottobre ha registrato 115.827 immatricolazioni, con un incremento del +14,6% rispetto a ottobre 2021.
Secondo Motorbox, “le motorizzazioni benzina e diesel segnano un ottimo andamento di crescita (rispettivamente +21,7% e +18,4%), con le prime che salgono al 27,4% di quota e il gasolio che si attesta al 18,7%. Anche il Gpl torna in aumento (+30,5%), all’8,8% di quota nel mese, mentre il metano (-66,5%) scende vertiginosamente allo 0,4% del totale”.
Si tratta di numeri che tuttavia non fanno uscire il settore dalla crisi nera in cui è precipitato negli anni della pandemia. Con i grandi marchi italiani che, come è noto, non hanno mai mostrato di credere realmente alle potenzialità delle auto elettriche. La riconversione del settore auto, in Italia, è ancora molto distante, tanto che l’arco temporale lungo più di 10 anni definito dall’Unione europea appare una chimera, invece di essere visto come un’opportunità. In questo quadro si inserisce pure il neonato governo Meloni, che già nei suoi primi giorni di attività ha mostrato da che parte sta. Chi la spunterà?
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Il voto del Trilogo Eu
Nel corso della seconda e risolutiva riunione del Trilogo UE sulla revisione degli standard di CO2 per auto e furgoni nuovi, avvenuta lo scorso giovedì, il divieto europeo per le auto coi motori a combustione interna ha fatto un altro passo in avanti. Il Trilogo – un incontro che vede coinvolti rappresentanti del Parlamento e del Consiglio con la mediazione della Commissione – ha proprio lo scopo di accelerare la procedura legislativa ordinaria.
Secondo l’accordo, maturato negli scorsi giorni, i produttori di auto dovranno ridurre le emissioni dei nuovi veicoli del 55% al 2030 (rispetto alle emissioni del 2021), fino a raggiungere il 100% dell’abbattimento di gas serra cinque anni più tardi. I legislatori hanno anche deciso di chiedere alla Commissione di trovare un ruolo per gli e-fuels – i biocarburanti su cui punta moltissimo l’Italia – destinandoli a quei veicoli che non rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento, anche se tale proposta non è vincolante.
L’accordo sancito al Trilogo passa ora al vaglio dei ministri dell’Ambiente dei 27 Stati membri e al Parlamento europeo per la ratifica finale prima di diventare legge. Ed è proprio nel primo dei due passaggi l’ostacolo maggiore: dato che fino a questo momento per una decisione europea serve l’unanimità, basta l’opposizione di un solo Stato per far saltare il banco. E quello Stato potrebbe essere proprio l’Italia.
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L’opposizione del governo Meloni
“Per l’automotive gli indirizzi europei devono essere compatibili con la concreta possibilità
delle case automobilistiche di rispettare gli obiettivi”. Le parole di Gilberto Pichetto Fratin, il nuovo ministro dell’Ambiente nel governo Meloni, sono state rilasciate il 28 ottobre a Il Sole 24 Ore e non lasciano spazio a interpretazioni: per l’esecutivo le esigenze industriali vengono prima degli obiettivi ambientali o, meglio, sono questi ultimi che devono adattarsi alla produzione. D’altra parte Fratin, già nelle vesti di viceministro dello Sviluppo Economico nel governo Draghi, si era contraddistinto proprio per il sostegno all’industria italiana durante la fase di approvazione del pacchetto Fit for 55 – le misure proposte dalla Commissione europea che intende (più che) dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030.
Allo stesso tempo in quella fase il ministro alla Transizione Ecologica era Roberto Cingolani, anche lui contrario alle ambizioni europee, che ora svolge il ruolo di consulente per l’energia proprio per Fratin. In un giro di valzer che conferma l’ostracismo dell’Italia verso il divieto alle auto termiche dal 2035. Anche il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini ha già promesso battaglia, annunciandola prima sui social e poi in vari incontri pubblici.
Su Twitter il ministro ha poi rincarato la dose, sempre il 28 ottobre, all’indomani della decisione assunta dal Trilogo Eu. “Auto a benzina, diesel e metano fuorilegge in Europa dal 2035? Un errore, un regalo alla Cina: fabbriche e negozi chiusi in Italia e in Europa, operai e artigiani senza lavoro e stipendio, e dipendenza a vita dalla Cina. La Lega in Europa farà di tutto per fermare questa follia“.
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Il commento di Transport & Environment Italia
“Era il 1897 quando Rudolf Diesel rivoluzionò l’efficienza della propulsione. Oggi, 125 anni dopo, i decisori politici europei hanno finalmente stabilito che è arrivato il momento di chiudere il capitolo del motore a combustione. Una tecnologia nata nel secolo scorso, inefficiente e inquinante che oggi cede il passo ad una soluzione nettamente migliore: l’auto elettrica”. Con il passo epico della chiusura di un’era Veronica Aneris, direttrice di Transport & Environment Italia, ha commentato in questo modo la decisione assunta da Bruxelles.
La nota ong che si occupa dell’impatto ambientale del settore dei traporti in passato si era manifestata scettica sulle reali intenzioni dell’Unione europea. Ma ora che il divieto alle auto termiche sembra arrivare alle battute finali prevale l’ottimismo. “A beneficiare di questa decisione saranno il clima, l’ambiente, la salute di cittadine e cittadini e l’industria automotive europea” aggiunge Aneris. “La direzione è finalmente chiara. I tempi anche. È ora per l’Europa di dotarsi di una strategia industriale comune ed efficace, che sia in grado di mantenere alta la competitività del Continente e proteggere la sua forza lavoro”.
Di fronte all’ipotesi di una strategia industriale comune – che sembra essere l’unica possibile per affrontare le sfide poste dai colossi cinesi e statunitensi – servirà però far convergere gli interessi delle singole industrie e quelle dei singoli Stati membri. La riconversione ecologica non può più attendere.
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