La questione della sostenibilità dei prodotti tessili e dell’abbigliamento è tornata sotto i riflettori in occasione dell’approvazione in via definitiva della legge Salvamare. Una precedente versione del testo prevedeva infatti, all’articolo 12, l’obbligo di etichettatura ambientale per il rilascio di microfibre dei prodotti tessili. Ma a seguito delle criticità sollevate per il settore tessile, l’articolo 12 è stato soppresso dalla Commissione Ambiente della Camera a febbraio. Più di recente, tuttavia, il tema è stato affrontato dalla Commissione europea. “Entro il 2030 i prodotti tessili immessi sul mercato dell’UE saranno durevoli e riciclabili, in larga misura realizzati con fibre riciclate, prive di sostanze pericolose e prodotte nel rispetto di diritti sociali e ambiente”. È questa la promessa della EU Strategy for Sustainable and Circular Textiles, una strategia che fa parte del pacchetto di proposte della Sustainable Product Initiative (SPI) pubblicato il 30 marzo dalla Commissione. Nonostante la proposta sia stata ben accolta da tutta l’opinione pubblica, il fatto che si tratti una strategia senza vincoli ha lasciato un pizzico di delusione. Tra i critici, l’europarlamentare Anna Cavazzini.
Servono più target per una filiera impattante come il tessile
“La strategia sul tessile circolare è importante e benvenuta – spiega Anna Cavazzini, presidente della commissione del Parlamento Ue per il mercato Interno e la protezione dei consumatori – la Commissione ha finalmente scelto di affrontare le criticità di un settore molto impattante. Noi del partito dei Verdi avremmo voluto un approccio più legislativo, fino ad ora si tratta solo di una strategia. Per esempio sotto il profilo della riduzione della produzione non c’è alcun target al momento”.
Attraverso la strategia la Commissione europea mira a rendere l’ecosistema tessile circolare più fiorente, resiliente e innovativo, guidato da principi di riutilizzo e riparazione economicamente vantaggiosi. “Il fast fashion è fuori moda e le aziende si devono assumere la responsabilità del fine vita (EPR) dei loro prodotti, spingendo per il riciclo da fibra a fibra, evitando l’incenerimento e il conferimento in discarica dei tessuti”, si legge tra gli obbiettivi. Ciò che il settore necessita però sono target e dettagli specifici che regolino una tra le filiere più impattanti.
In Europa, ogni anno vengono scartate 5,8 milioni di tonnellate di tessuti, circa 11 kg per persona. La produzione è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015 e il consumo di vestiti e calzature dovrebbero aumentare del 63% entro il 2030, da 62 milioni di tonnellate attuali a 102 milioni tonnellate nel 2030. Questi impatti negativi si sono radicati nel settore a causa di un modello lineare caratterizzato da scarsi tassi di riutilizzo, riparazione e riciclo da fibra a fibra. Il settore fashion tessile non mette la durabilità e riciclabilità del prodotto priorità nella fase di progettazione e la produzione di abbigliamento.
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Tutti i requisiti durante la fase del design
Tra gli aspetti del design che incidono sulle prestazioni ambientali dei tessuti c’è la composizione del materiale (comprese le fibre utilizzate e la loro miscelazione) e la presenza di sostanze chimiche. Problemi che ostacolo il riciclo dei tessuti dal momento che solo l’1% delle fibre riciclate viene usato per nuovi capi.
Nelle fabbriche, il 25-40% di tutto il tessuto utilizzato diventa scarto o rifiuto. Circa il 20% dei tessuti recuperati vengono riciclati per applicazione meno nobili (downcycled), mentre il valore del resto del tessuto viene perso.
Tra gli schemi volontari sviluppati dalla Commissione ci sono i criteri dell’ EU Ecolabel criteria for Textile Products (etichettatura sostenibile per i prodotti tessili ) e del GPP criteria for textiles products and services (una guida per il Green Public Procurement del settore tessile). Partendo da queste linee guida che includono già alcuni requisiti per prodotti durevoli e di buona qualità; restrizioni sulle sostanze chimiche pericolose e sull’approvvigionamento sostenibile di fibre tessili, l’organo esecutivo Ue svilupperà requisiti più vincolanti e specifici attraverso l’Ecodesign for Sustainable Products Regulation in cui si si insiste sulla durabilità e riciclabilità.
La strategia ricorda anche il complesso lavoro di ricerca e catalogazione sull’impronta ambientale dei prodotti tessili fatto in collaborazione con i rappresentanti dell’industria. È in corso d’opera e dovrebbe essere pronto per il 2024.
Inoltre la presenza di sostanze chimiche pericolose – di cui circa 60 considerate cancerogene o tossiche – utilizzate nei prodotti tessili immessi sul mercato europeo, è argomento che la Commissione sta affrontando dal 2006 con la direttiva REACH.
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I ban ai prodotti invenduti e le microplastiche
Distruggere beni invenduti o restituiti, compresi i vestiti, è uno spreco di valore e di risorse. Come disincentivo a questa pratica, la Commissione ha proposto un obbligo di trasparenza che impone alle grandi aziende di rendere pubblico il numero di prodotti che scartano e distruggono, compresi quelli tessili. “Il fatto che siano le aziende stesse a dover rendicontare la quantità di prodotti invenduti che distruggono non è molto trasparente – commenta Ioana Popescu del Think Tank Ecos – si poteva fare di più”. Tuttavia la Commissione sembra essere intenzionata nel prossimo futuro a vietare la distruzione di ogni tipo di prodotto invenduto. “Speriamo di ottenere appropriati divieti”, aggiunge Cavazzini ad una conferenza organizzata da Ecos.
Una delle principali fonti di rilascio involontario di microplastiche sono i tessuti realizzati con fibre sintetiche e si stima che circa il 60% di quelle utilizzate siano fatte di poliestere. Il piano della Commissione è quello di affrontare il problema con una serie di misure di prevenzione e riduzione (filtri per lavatrici), in particolare attraverso requisiti di ecodesign vincolanti. Misure che verranno presentate nella seconda metà del 2022 tramite un’iniziativa dedicata.
Servono più regole sui diritti dei lavoratori del tessile
Una delle principali novità della Sustainable Product Initiative ha riguardato l’introduzione di un passaporto digitale che permetterà al consumatore di avere informazioni basilari sulla circolarità e altri aspetti ambientali chiave. Nel caso del tessile, assume particolare rilevanza la Textile Labelling Regulation (regolamento sull’etichettatura dei vestiti) che prevede di informare sulla composizione delle fibre.
La strategia dice che si lavorerà anche “sull’obbligo di divulgazione di informazione sulla sostenibilità e parametri di circolarità, dimensioni dei prodotti e Paesi di produzione dove avvengono i processi (made in…)”. Anna Cavazzini dice che sotto questo punto di vista si aspettava delle “vere e proprie regole sulle pratiche commerciali sleali e sulla garanzia che i diritti dei lavoratori nei Paesi terzi siano rispettati”.
Più consapevolezza al consumatore
Novità anche per quanto riguarda i green claim. L’iniziativa sull’empowerment dei consumatori per la transizione garantirà ai consumatori informazioni presso il punto vendita sulla durabilità e riparazione degli indumenti. Affermazioni ambientali generali come “Green”, “eco-friendly” saranno ammessi solo se sostenuti da certificazioni riconosciute dall’Ue che abbiamo misurato le performance ambientali.
Una buona notizia riguarda l’uso della plastica Pet come contenuto riciclato nei vestiti. Per evitare di fuorviare il consumatore, solo la chiusura del cerchio, da fibra a fibra, verrà considerato come tessuto realmente riciclato. Se l’obiettivo è chiudere il cerchio di ogni materiale il Pet riciclato dovrebbe essere usato per altre bottiglie di plastica.
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Fast Fashion fuori moda, ma dove sono i target?
Rendere i produttori responsabili dei rifiuti che creano è essenziale per disaccoppiare produzione di rifiuti tessili dalla crescita del settore. Italia e Francia sono gli unici Paese europei ad aver introdotto lo schema EPR (Extended Producer Responsibility), ma dato l’obbligo di istituire la raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro l’inizio del 2025 – che l’Italia ha deciso di anticipare al 2022 – la speranza è che nel giro di pochi anni riescano ad adottarlo tutti gli Stati membri.
Il punto debole della strategia, come ricordato da Anna Cavazzini, è il paragrafo intitolato Reversing the overproduction and overconsumption of clothing che invita le aziende ad abbandonare il modello insostenibile della Fast Fashion, ma non menziona alcun target di riduzione. Certo si propone di ridurre il numero di collezioni durante l’anno e assumersi la responsabilità di ridurre al minimo la propria impronta carbonica. Ma senza regole e target concreti, difficilmente si otterranno risultati positivi nel prossimo futuro.
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