Si è conclusa il 3 maggio la fase di consultazione sulla proposta della Commissione europea in merito alla tassonomia, che intende in questo modo ampliare le tutele ambientali che i nuovi finanziamenti dovranno osservare. I nuovi obiettivi da raggiungere sono:
- uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine
- transizione verso un’economia circolare
- prevenzione e riduzione dell’inquinamento
- protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi
Lo scorso 5 aprile la Commissione europea ha presentato la proposta di regolamento che “integra il regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio europeo” stabilendo i criteri tecnici per raggiungere appunto i nuovi e ambiziosi obiettivi ambientali. L’adozione della nuova tassonomia è prevista nel secondo trimestre di quest’anno.
Nel momento in cui scriviamo sono arrivati più di 211 commenti che suggeriscono modifiche e integrazioni alla proposta della Commissione, composta da un “progetto di regolamento delegato” e da 6 allegati. Tra i commenti anche quelli di big del settore come le francesi Michelin e Renault, la tedesca Lufthansa o l’italiana ITA Airways.
Particolare interesse suscita l’allegato relativo all’economia circolare: non solo è il capitolo più corposo (77 pagine) ma introduce alcuni criteri specifici in determinati settori che, viste le resistenze italiane su altri provvedimenti simili (direttiva Sup e regolamento sugli imballaggi), potrebbe di nuovo far storcere qualche sopracciglio ad alcune filiere produttive. Specie perché la tassonomia, come è noto, regola i finanziamenti pubblici e privati, indicando appunto quali sono le attività che l’Unione europea reputa come “economicamente sostenibili”.
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I criteri tecnici sull’economia circolare
Dei nuovi ambiziosi obiettivi ambientali (tutela dell’acqua e della biodiversità, transizione verso l’economia circolare, contrasto all’inquinamento) abbiamo già detto. Ma chi deve raggiungere poi concretamente questi obiettivi? E in che modo?
Il nuovo atto delegato proposto dalla Commissione europea, quello in fase di osservazione fino a ieri, stabilisce “i criteri di vaglio tecnico in base ai quali determinate attività economiche nei settori dell’industria manifatturiera, dell’approvvigionamento idrico, delle reti fognarie, della gestione e bonifica dei rifiuti, dell’edilizia, dell’ingegneria civile, della gestione del rischio di catastrofi, dell’informazione e della comunicazione, protezione ambientale e attività di restauro e sistemazione”.
Nello specifico l’allegato 2 indica “le condizioni alle quali un’attività economica può contribuire in modo sostanziale alla transizione verso un’economia circolare e per determinare se tale attività economica non causi danni significativi a nessuno degli altri obiettivi ambientali”. Val la pena ricordare che il principio DNSH, do not significant harm, è stato introdotto nel 2021 e, seppur non prescrittivo ma valutativo (dovranno essere infatti i singoli Paesi a valutare se si verifica un danno ambientale), può orientare, e di molto, i finanziamenti verso una filiera o l’altra.
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Un esempio di “danno non significativo” per una reale economia circolare
Sarebbe troppo lungo elencare i criteri tecnici suggeriti dalla Commissione europea per ogni singola filiera produttiva. Ma un esempio può essere particolarmente utile, specie in ottica italiana. Prendiamo la “fabbricazione di articoli da imballaggio in plastica“. Per questa categoria bisogna soddisfare almeno uno dei seguenti criteri:
– design for reuse: il prodotto di imballaggio è stato progettato per essere riutilizzabile all’interno di un sistema di riutilizzo. Il sistema per il riutilizzo è stabilito in modo da garantire la possibilità di riutilizzo in un sistema a circuito chiuso o a circuito aperto
– utilizzo di materie prime circolari: almeno il 65% del peso del prodotto di imballaggio è costituito da materiale post-consumo riciclato meccanicamente per imballaggi sensibili al contatto e almeno il 50% per imballaggi sensibili al contatto
– utilizzo di materie prime da rifiuti organici: almeno il 65% del peso del prodotto di imballaggio è costituito da materie prime da rifiuti organici sostenibili
Per ognuna di queste definizioni, poi, l’allegato aggiunge ulteriori elementi specifici. Inoltre l’imballaggio deve essere riciclabile, meglio se composto da un unico materiale, e comunque “deve consentire la separazione dei suoi componenti non riciclabili, manualmente dai consumatori o nell’ambito dei processi di cernita e riciclaggio esistenti”. Non solo: “l’uso di materiali compostabili nelle applicazioni di imballaggio è considerato sostenibile solo per sacchetti di plastica molto leggeri, bustine di tè, cialde per caffè ed etichette adesive attaccate a frutta e verdura”.
Soprattutto, a creare qualche grattacapo alle industrie potrebbe essere la conformità al principio DNSH. Per ognuno dei sei aspetti – mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento dei cambiamenti climatici, uso sostenibile e protezione delle acque e del mare, prevenzione e controllo dell’inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi – la proposta della Commissione elenca una serie di parametri precisi da dover rispettare.
Ad esempio per quanto riguarda la mitigazione per plastica prodotta da materie prime riciclate “le emissioni di gas serra del ciclo di vita della plastica prodotta, esclusi eventuali crediti calcolati dalla produzione di combustibili, devono essere inferiori alle emissioni di gas serra del ciclo di vita della plastica equivalente in forma primaria prodotta da materie prime di combustibili fossili“. In più le emissioni di gas serra del ciclo di vita devono essere calcolate secondo precisi parametri europei e verificate da una terza parte indipendente.
Insomma: sarà la nuova tassonomia il prossimo motivo di scontro tra il governo italiano e le istituzioni europee? Di certo per avere una risposta a questa deduzione non manca molto: entro giugno i nuovi criteri definiti dalla Commissione europea potrebbero diventare realtà.
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