fbpx
lunedì, Dicembre 16, 2024

Tassonomia green, perché i finanziamenti al nucleare dividono Francia e Germania

Comprendere o meno il nucleare tra le fonti di energia “verde” della taxonomy regulation è uno dei temi caldi nelle discussioni a livello comunitario. Con Francia e Germania alla guida di due opposte fazioni. E il gas pronto a inserirsi nella trattativa

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Se il nucleare verrà o meno riconosciuto come fonte di energia “pulita” dalla Commissione europea nella tassonomia green, è ormai una partita tra Francia e Germania. Gli addetti ai lavori, i tecnici e i giornalisti che seguono il dossier concordano su questo punto. E dall’esito della trattativa, dipenderà molto su quanto la “Taxonomy regulation” sarà efficace come vocabolario comune per riscrivere una finanza sostenibile dell’Unione europea. Finora la Commissione ha rinviato la decisione, non senza una certa ambiguità: ma non potrà farlo a lungo.

Di sicuro c’è solo, per il momento, che all’interno del Consiglio europeo, e probabilmente anche della stessa Commissione, ci sono due gruppi. I Paesi, come la Francia, che ritengono il nucleare una fonte di energia importante in vista della transizione ecologica, perché a emissioni zero. E quelli, invece, come la Germania, convinti non sia il caso di andare avanti con una fonte di energia che comporta numerosi problemi di gestione nello smaltimento delle scorie radioattive e con rischi per la salute dei cittadini nel caso di incidenti.

Leggi anche: Finanza sostenibile, le regole europee sulla trasparenza per avere un’economia più green

Qual è la posta in gioco

Ecco quindi una panoramica delle “fazioni” e le ragioni delle differenti posizioni all’interno dell’Ue. Con una doverosa premessa. Tutte le nazioni europee, posto l’obiettivo di emanciparsi dall’utilizzo del carbone, hanno completa libertà nello scegliere il proprio mix energetico. La tassonomia non influirebbe su questo aspetto, ma soltanto sulla possibilità o meno, nel quadro della finanza sostenibile, per certi prodotti, aziende o fondi di investimento, di essere riconosciuti come “verdi”.

Tuttavia, il timore dei Paesi interessati è di perdere finanziamenti e risorse nel caso di una tassonomia “rigida” su nucleare e gas fossile, e perciò fanno pressioni sulla Commissione europea. Se venissero, invece, definiti fonti di energia “pulita”, nazioni come la Francia, per quanto riguarda il nucleare, ne ricaverebbero un notevole vantaggio competitivo nel percorso di transizione ecologica.

Leggi anche: Il greenwashing nella finanza sostenibile è sempre più evidente. Come evitarlo?

Il fronte ‘no nuke’ guidato dalla Germania

La Germania ha raccolto attorno a sé un fronte di nazioni intenzionate a escludere il nucleare dalle fonti di energia “verde” della Taxonomy regulation. Sono Spagna, Austria, Danimarca e Lussemburgo. Gli investitori, è la tesi, potrebbero perdere fiducia nei prodotti etichettati come “verdi” nel caso comprendessero anche quelli legati all’energia atomica, soprattutto a causa delle incertezze nello stoccaggio delle scorie radioattive.

E, infatti, un gruppo di asset manager di Germania e Austria, recentemente, ha scritto una lettera alla Commissione europea in cui chiedeva a Bruxelles di non includere il nucleare tra le fonti di energia “pulita” della tassonomia. Lo stesso hanno fatto i Capi di Stato dei Paesi elencati in precedenza, “L’energia nucleare è incompatibile con il principio della tassonomia del ‘non arrecare danno’ e perciò siamo convinti che la sua inclusione potrebbe danneggiare in maniera permanente l’integrità e perciò l’efficacia dell’intero progetto”, hanno messo in guardia in una lettera.

A questi Paesi si aggiungono anche Cipro, la Grecia e, come vedremo, più in disparte, l’Italia. La Germania, peraltro, già venti anni fa aveva fatto marcia indietro sul nucleare e dopo la catastrofe di Fukushima, nel marzo del 2011, Berlino ha persino accelerato il processo, con l’obiettivo di abbandonare definitivamente questa fonte di energia entro il 2022.

Leggi anche: Gas e nucleare? Non con i soldi del Recovery Fund. La Commissione approva il quadro di riferimento sui green bond

Il fronte ‘atomico’ della Francia e le sue ragioni

Dall’altro lato, ci sono le nazioni che dipendono dall’energia atomica, prima su tutte la Francia e i suoi alleati all’interno del Consiglio europeo, come l’Olanda, dove peraltro il 10% dell’elettricità proviene dall’unica centrale nucleare di Borssele. Numeri infinitesimali, se paragonati alla Francia, ma che a quanto pare sono ritenuti sufficienti dall’Aja per sostenere il nucleare.

In Francia l’atomo occupa addirittura il 70% del mix energetico. Non solo: c’è una fiorente economia legata al nucleare. Sia nella vendita di energia vera e propria, di cui Parigi è uno dei maggiori esportatori mondiali, per un valore di 3 miliardi di euro all’anno, sia nel know-how: ingegneri e tecnici francesi sono ricercati come consulenti da tutti i Paesi che vogliono costruire impianti nucleari. Per esempio, la Cina sta attualmente realizzando 17 nuove centrali, la maggior parte delle quali si basa su progetti o brevetti francesi.

C’è poi da tener conto delle motivazioni politiche. Macron è in campagna elettorale, le elezioni presidenziali sono tra un anno, e ha bene impresso nella memoria ciò che accadde con i gilet gialli, scesi violentemente in piazza per protestare contro la tassa sui carburanti, e non intende lasciare temi di sovranità e interesse nazionale come il nucleare nelle mani dell’estrema destra.

Leggi anche: Tassonomia green, dentro la lotta per definire i pilastri della finanza sostenibile

Le nazioni dell’Est Europa puntano sul nucleare

Infine, a fianco della Francia, il gruppo di nazioni dell’Est Europa con interessi nell’energia atomica, che vogliono utilizzare come fonte di transizione. In particolare, Polonia, Repubblica Ceca e Bulgaria intendono costruire nei prossimi anni nuovi impianti nucleari. Altri Stati, come Romania, Ungheria, Slovenia e Slovacchia, fanno fronte comune con i vicini dell’Est.

Varsavia lo scorso anno aveva annunciato di voler costruire la sua prima centrale nucleare entro il 2033, con l’obiettivo di raggiungere tra i 6 e i 9 gigawatt (GW) di capacità di produzione di energia. La Repubblica Ceca attualmente ricava il 33% del fabbisogno energetico dal nucleare, la Slovacchia il 50%. Anche in Ungheria e Bulgaria un terzo dell’elettricità viene dal nucleare.

Leggi anche: La strategia europea per la finanza sostenibile

La situazione politica in Germania

In Germania c’è un consenso diffuso tra tutto lo spettro politico sulla necessità di una transizione ecologica. La nazione più popolosa dell’Unione europea va, però, incontro a possibili cambiamenti politici che potrebbero alterare gli equilibri in seguito alle prime elezioni in sedici anni in cui non si presenterà la cancelliera Angela Merkel. Se dalle urne uscissero coalizioni eterogenee, il dialogo con Parigi sul nucleare potrebbe complicarsi.

“La posizione dei Verdi diventerebbe fondamentale”, fa notare Federico Niglia, docente di Storia delle Relazioni Internazionali alla Luiss. “I Verdi nei sondaggi si sono ridimensionati rispetto alle prospettive iniziali”, premette. “Tuttavia questa volta sembrano intenzionati a entrare a far parte di un governo, se le urne glielo consentiranno. E per loro la politica energetica può essere concepita solo in prospettiva comunitaria, nel rispetto di standard comuni europei”, fa notare il professore.

Insomma: con loro al governo sarebbe inaccettabile cedere alla Francia sul nucleare. “Mentre la Cdu ha un approccio che definirei più ‘industrialista’ – prosegue Niglia – e sta tentando di bollare il programma dei Verdi come irrealizzabile e capace di creare scompensi nel sistema economico della Germania, che ricordiamo è il primo produttore europeo di carbone. Probabilmente il partito, soprattutto nel post Merkel, sarà un soggetto politico più disponibile alla mediazione su temi ambientali”.

Anche perché la stessa Germania ha investito molto sul gas con la realizzazione del gasdotto Nord Stream, peraltro strategico anche per quanto riguarda le relazioni diplomatiche con la Russia. E infatti, nella partita della tassonomia, rientra anche la definizione come “pulita” o meno di questa fonte di energia. Con la Germania che in più occasioni ha insistito sulla validità del gas come fonte energetica di transizione.

Leggi anche: L’Italia lancia i titoli di Stato green, per una finanza etica e circolare

Il ruolo dell’Italia (senza dimenticare il gas)

L’Italia fa parte dell’area di influenza della Germania per quanto riguarda la contrarietà al nucleare, ma fonti interne del gruppo di lavoro della Commissione europea sentite da EconomiaCircolare.com parlano di una posizione “attendista”, di chi non si sbilancia e manda avanti gli altri Paesi. Il fatto è che l’Italia è un importante hub di gas e l’Eni avrebbe tutto l’interesse alla sua inclusione nella tassonomia come energia “pulita”.

La tentazione dell’Italia potrebbe essere di utilizzare il proprio peso in fase di decisione finale, quando la Commissione tenterà di conciliare le differenti posizioni, con la Francia orientata sul nucleare e la Germania “aperturista” sul gas. Il maggior timore delle ong ambientaliste coinvolte nel progetto è che, alla fine, si arriverà a un compromesso al ribasso: con entrambe le fonti di energia, magari con qualche limitazione o aggiustamento, incluse nella tassonomia, come una sorta di moneta di scambio.

Leggi anche: lo Speciale “Il ruolo della finanza nell’economia circolare”

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie

La Community di EconomiaCircolare.com