Abiti, vecchi utensili, elettrodomestici, bici da riparare, mobili e libri usati: nel centro per il riuso Televil di Vilvoorde, alle porte di Bruxelles, è possibile trovare di tutto. Qui gli oggetti dismessi trovano una seconda vita e possono essere riutilizzati senza finire in discarica.
Con altri 27 centri del territorio Televil ha creato una rete che oggi prende il nome di “Kringwinkel” e che riunisce sotto un unico marchio oltre 162 negozi diffusi in tutta la regione delle Fiandre. Ogni anno i centri selezionano e raccolgono oltre 83mila tonnellate di rifiuti da destinare al riuso e sono organizzati in una catena di shops riconoscibili a colpo d’occhio dai clienti.
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La storia di Televil
Per capire il successo di Televil, però, dobbiamo tornare agli inizi degli anni ’80: il Belgio stava attraversando una profonda crisi economica dovuta alla perdita di molte aziende legate a settori industriali nevralgici e la disoccupazione aveva raggiunto livelli record. Per far fronte a questa situazione alcune associazioni locali delle Fiandre decisero di mettere insieme le forze e di creare un luogo di accoglienze per le persone in difficoltà economica.
La comunità cattolica e il Comune donarono alla nuova realtà due edifici in cui organizzare un dormitorio, ma l’obiettivo di Televil era la creazione di un supporto totale alla persona, “Ci siamo resi conto che dare un tetto non era sufficiente – racconta il direttore di Televil Luc Daelemans – c’era bisogno di offrire a queste persone un lavoro e una serie di attività per il tempo libero che potessero accompagnarle in un percorso di rinascita. L’idea della raccolta degli oggetti in disuso è nata in maniera abbastanza amatoriale, inizialmente abbiamo chiesto agli abitanti della zona di fornirci mobili o altri oggetti che potessero essere utili per l’accoglienza, ma a un certo punto abbiamo cominciato a ricevere troppe cose e così ci siamo organizzati per rivenderli”.
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La nascita del centro per il riuso
A poco a poco l’attività di raccolta ha iniziato a diventare qualcosa di più strutturato e nel 1995 è arrivato anche il primo riconoscimento ufficiale del lavoro svolto. “Abbiamo stabilito una convenzione con il Comune – prosegue Daelemans – che ci ha reso il punto di riferimento per tutta la città di Bruxelles nella la raccolta dei rifiuti destinati al riuso. In questo modo per il Comune era possibile risparmiare sui costi dello smaltimento in discarica di cui era responsabile e noi potevamo espandere la nostra attività in tutta la zona, creando oltre undici luoghi di raccolta e rivendita”.
In quel periodo l’attività di accoglienza e supporto alla fu separata dal centro per il riuso, che iniziò invece ad accogliere lavoratori in difficoltà legati ai servizi sociali del Comune. Il governo centrale, infatti, aveva deciso di offrire incentivi ai Comuni che avessero deciso di affidare ai centri del riuso la raccolta dei rifiuti. Questo modello di collaborazione con le istituzioni è stata la chiave che ha permesso al riuso di diventare una pratica diffusa in tutta la regione. “All’inizio eravamo solo 13 persone con un contratto di lavoro, adesso siamo 650 e il 70% degli assunti sono lavoratori dei servizi”.
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Reagire alla pandemia
Nell’ultimo anno, tuttavia, l’esplosione della pandemia Covid-19 ha reso estremamente difficile le attività di vendita a causa dei continui alti e bassi nelle entrate legati alle rapide chiusure e riaperture. “Nonostante le difficoltà a cui ci ha costretto – conclude Daelemans – la pandemia ha avuto il merito di spingere molte persone a riflettere sull’importanza dell’impatto ambientale dei nostri gesti quotidiani e sull’enorme spreco di risorse a cui assistiamo da anni. Abbiamo reagito a questa situazione con determinazione, i nostri obiettivi restano gli stessi: il maggior impiego possibile di persone escluse dal mondo del lavoro, la diminuzione dei rifiuti e la vendita di beni primari a basso costo per chi non può permettersi di spendere”.
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