04Senza ridurre la produzione tessile e i relativi rifiuti la filiera europea non centrerà gli obiettivi climatici degli ’accordi di Parigi. Lo sostiene uno studio di Zero Waste Europe (ZWE). Nonostante sia il più grande acquirente di vestiti al mondo, spiega ZWE, l’UE “non ha fissato obiettivi concreti di prevenzione dei rifiuti tessili, ostacolando i progressi verso un’industria della moda compatibile con i confini del pianeta”.
“Poiché i programmi di prevenzione dei rifiuti degli Stati membri non hanno prodotto alcuna riduzione tangibile dei rifiuti negli ultimi 10 anni – afferma Theresa Mörsen, responsabile delle politiche sui rifiuti e sulle risorse di Zero Waste Europe – suggeriamo di fissare obiettivi concreti, a partire dai rifiuti tessili, nell’ambito dell’attuale revisione della Direttiva quadro sui rifiuti”.
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Un modello tossico di business
Intitolato “T(h)reading a path”: Towards textiles waste prevention targets“, il documento sottolinea che l’impatto più significativo dell’industria tessile sul riscaldamento globale si trova nella fase di produzione e ne sollecita un rimodellamento radicale. “I dati dimostrano che anche con gli interventi previsti nella catena di produzione tessile, c’è ancora un divario di quasi il 40% di riduzione delle emissioni necessarie per raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi. Questo suggerisce che l’unica strada percorribile è quella di ridurre la sovrapproduzione“, ha detto Theresa Mörsen.
Mediamente ogni europeo consuma ogni anno ben 26 kg di prodotti tessili, generando 11 kg di rifiuti. Il consumo medio di abbigliamento in Europa è aumentato del 40% tra il 1996 e il 2012. Il modello di business dominante dell’industria della moda si basa sulla persuasione dei consumatori a consumare continuamente nuove tendenze di moda: “Le aziende europee di abbigliamento hanno aumentato il numero di collezioni di moda all’anno, passando in media da due nel 2000 a cinque nel 2011”. Fenomeno aggravato dallo shopping online e dalla pubblicità aggressiva (specialmente rivolta alle giovani generazioni attraverso i social media).
Il motore principale della crescita del settore tessile negli ultimi due decenni, sottolinea ZWE, è stato il calo dei prezzi dell’abbigliamento: nell’UE, i prezzi sono diminuiti del 30% tra il 1996 e il 2018.
Prezzi bassi e sovrapproduzione, che è parte costitutiva del modello di business: il 30% degli abiti prodotti ogni anno (dati Europarlamento) non viene nemmeno venduto ai consumatori.
La crescita è stata favorita “dall’uso crescente di fibre sintetiche a basso costo ricavate da combustibili fossili e dalla delocalizzazione della produzione in giurisdizioni con standard lavorativi e ambientali inadeguati”. A livello globale, si stima che il 16-35% di tutte le microplastiche provenga da prodotti tessili (Agenzia europea per l’ambiente). Tipicamente, affermano studi UNEP, le fabbriche utilizzano 0,58 kg di input chimici per ogni kg di tessuto prodotto: “Questi composti si disperdono nell’ambiente in tutte le fasi del ciclo di vita del tessile. Le conseguenze ambientali (e sociali) si estendono oltre i confini dell’UE, visto che l’estrazione e la produzione dei materiali avvengono per lo più al di fuori del continente e le esportazioni di rifiuti tessili sono comuni, inquinando il suolo e l’acqua nei Paesi destinatari del Sud mondiale”.
ll World Resource Institute ha rilevato che, in base alle proiezioni di crescita business-as-usual e nonostante i possibili interventi (massimizzare l’uso efficiente dei materiali, investire nella sostenibilità dei processi e dei materiali, massimizzare l’efficienza energetica, eliminare il carbone e usare solo energie rinnovabili) le emissioni nel settore dell’abbigliamento cresceranno fino a 588 miliardi di tonnellate entro il 2030”.
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Riuso e riciclo ancora marginali
In Europa solo la metà degli abiti usati viene raccolta per essere riutilizzata o riciclata. Molti degli indumenti raccolti finiscono per essere esportati, mentre il riciclo dei tessuti in nuovi tessuti riguarda all’incirca l’1% dei rifiuti. La maggior parte dei tessuti (87%) viene incenerita o messa in discarica.
ZWE ricorda che il “riutilizzo” non costituisce di per sé una “prevenzione dei rifiuti”, che è invece “una misura a monte, a livello di prodotto, come chiaramente indicato nella gerarchia dei rifiuti. Come da definizione”. In alcuni casi, precisa il report, “facilitare il riutilizzo attraverso la rivendita di prodotti tessili del fast fashion può di fatto spingere all’acquisto di nuovi capi di abbigliamento”. Tuttavia, il riutilizzo “può contribuire a questo scopo. La definizione di obiettivi di riutilizzo può quindi contribuire alla prevenzione dei rifiuti se il riutilizzo diminuisce la domanda di nuovi prodotti”.
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Obiettivi vincolanti
Come sappiamo, la gerarchia dei rifiuti stabilita dalla Direttiva quadro sui rifiuti dell’UE dà priorità alla prevenzione dei rifiuti rispetto ad altri metodi come il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero. Lamenta Zero waste Europe: “Mentre la Direttiva quadro sui rifiuti obbliga i Paesi ad adottare misure contro i rifiuti, la proposta di revisione della Direttiva non include obiettivi di prevenzione per il settore tessile, minando il principio fondamentale della Gerarchia dei Rifiuti”.
L’esperienza dell’ultimo decennio, ricorda l’associazione, ha dimostrato che “le misure volontarie, come le campagne di sensibilizzazione, non raggiungono mai gli obiettivi prefissati”. Per questo ZWE chiede che vengano fissati obiettivi di riduzione dei rifiuti tessili a livello europeo, “una misura già sostenuta dal Parlamento europeo e dall’Agenzia europea per l’ambiente”: “Proponiamo un obiettivo di riduzione complessiva dei rifiuti tessili di almeno un terzo (33%) entro il 2040 rispetto al 2020, da misurare in kg pro capite all’anno”.
Spesso le preoccupazioni relative all’impatto socio-economico delle misure di prevenzione dei rifiuti vengono addotte come argomento contro obiettivi ambiziosi. Tuttavia, argomenta il report, “il potenziamento delle attività circolari per raggiungere gli obiettivi di prevenzione dei rifiuti, come il riutilizzo, la riparazione o la condivisione dei vestiti, può contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro”. Ma Il Circular Economy Action Pian ha stimato che il numero di posti di lavoro legati all’economia circolare nell’UE è già cresciuto del 5% tra il 2012 e il 2018. E un rapporto di RREUSE quantifica la creazione di posti di lavoro: Riutilizzo dei tessuti: 20-35 posti di lavoro ogni 11.000 tonnellate. “Va inoltre considerato che l’attuale sistema di produzione tessile, con la sua catena di approvvigionamento globale, i suoi diversi attori e i suoi margini ristretti, non è in grado di fornire un lavoro dignitoso e mezzi di sostentamento a molti e necessita urgentemente di una revisione”.
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