“Dove si dà la possibilità di scegliere, a parità di tratta, le persone preferiscono il treno”: è netto il parere di Andrea Giuricin, esperto nel settore dei trasporti, sulla recente scelta della Francia di vietare alcuni voli brevi se in contemporanea esiste una tratta ferroviaria. Più precisamente a dicembre la Commissione europea ha dato un parziale via libera alla decisione dello Stato transalpino, risalente alla legge del 2021 nota come “Clima e resilienza”, di bloccare i voli per i quali si può garantire uno spostamento via treno in meno di due ore e mezza (consentendo, tra le altre cose, un’andata e ritorno in giornata).
“Gli effetti negativi di qualsiasi restrizione dei diritti di traffico sui cittadini e sulla connettività europei – ha motivato la Commissione – devono essere compensati dalla disponibilità di modi di trasporto alternativi a prezzi accessibili, che siano convenienti e più sostenibili”. Ecco perché sono state bandite solo tre rotte: i voli da Parigi Orly a Bordeaux, Nantes e Lione. Altre (come quella tra Lione e Marsiglia), scrive Ferdinando Cotugno su Domani, “potrebbero essere aggiunte se dovessero migliorare le connessioni ad alta velocità”.
La decisione della Commissione, che si può consultare sulla Gazzetta europea, costituisce un importante precedente per tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Compresa ovviamente l’Italia. Dopo il (rapido) dibattito di dicembre, tuttavia, nel nostro Paese si è parlato poco o nulla di mobilità sostenibile, preferendo concentrarsi (anche lì per poco, in realtà) sull’eterna questione del Ponte sullo Stretto di Messina.
E allora a EconomiaCircolare.com intendiamo tornare con calma sulla questione. Perché la misura francese deve essere ancora applicata, innanzitutto. E poi perché una volta entrato in vigore, come scrive Il Post, “il divieto resterà valido per tre anni, passati i quali verrà rivisto dalla Commissione Europea ed eventualmente modificato”. Sarà dunque un’occasione di studio per gli altri 26 Stati membri dell’Ue, con la consapevolezza che la crisi climatica in corso imporrà, prima o poi, scelte radicali. Tanto vale immaginarle e anticiparle, no?
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Aereo o treno? Il parere dell’esperto
“Io sono dell’idea che mettere degli obblighi serva a poco”. Andrea Giuricin è docente presso l’università Milano Bicocca per i corsi di Economia dei trasporti e a capo di una società di consulenza per il medesimo settore. Già nel 2017 Giuricin aveva realizzato per l’azienda Italo uno studio intitolato proprio “Concorrenza tra treno e aereo” in cui avea raccontato come l’ingresso nel trasporto a rotaia di un’azienda privata (Italo, appunto), che fino a quel momento appannaggio del monopolio delle Ferrovie dello Stato, aveva portato a una diminuzione significativa della quota di mercato dell’aereo.
Giuricin aveva analizzato in particolare le tratte Milano-Napoli, la Torino-Roma e la Torino-Napoli, riscontrando che “la migliore qualità del servizio ferroviario alta velocità, prezzi sempre più competitivi e la possibilità di iniziare e terminare il proprio tragitto dai centri città ha prodotto un cambio nelle scelte degli utilizzatori”.
A distanza di sei anni da quello studio, gli abbiamo chiesto innanzitutto un commento sulla scelta della Francia, avallata in parte dalla Commissione europea. “A mio parere la Francia dovrebbe piuttosto pensare a liberalizzare completamente il trasporto ferroviario – afferma Giuricin – Come è noto, da poco Trenitalia copre la tratta Milano-Lione-Parigi con il Frecciarossa. Ma in generale non è una grande frequenza. Io faccio spesso questo esempio: pur essendo due città importantissime, sulla tratta Parigi-Lione ci sono circa 60 treni al giorno. Sulla tratta Milano-Roma, per fare un paragone simile, le tratte sono 150, coperte da Ferrovie e Italo. Di fatto le persone, laddove hanno una maggiore scelta, scelgono il trasporto ferroviario”.
L’esempio italiano citato da Giuricin è importante. Proprio come succede nel difficile passaggio da economia lineare a economia circolare, anche sui trasporti bastano una manciata di anni per creare convinzioni assodate e resistenze di interessi per le quali, insomma, non si potrebbe più tornare indietro. Fino al Dopoguerra, infatti, il mezzo preferito per andare da Roma o Milano, o viceversa, era il treno. Il dominio dell’aereo è lungo un paio di decenni, non di più. Ora quella tratta, coperta dall’aereo, è quasi scomparsa grazie appunto all’introduzione dell’Alta Velocità. Segno, dunque, che nulla (o quasi) è immutabile.
“I prezzi dei treni, poi, sono più bassi rispetto all’aereo perché comunque bisogna considerare anche gli spostamenti dagli aeroporti al centro città, che invece è il luogo dove approdi direttamente col treno – fa notare ancora Giuricin – Ecco perché bisogna pensare al modo in cui favorire il trasporto ferroviario, piuttosto che mettere dei vincoli a quello aereo. Perché non c’è bisogno di vietare se l’alternativa funziona bene. In questo senso l’Italia è un esempio positivo perché è stato il primo Paese, nel 2012, a liberalizzare la concorrenza nel trasporto ferroviario.Ha poco senso in Italia vietare determinate rotte perché quelle brevi sono già ora quasi tutte prese dal treno”.
Ci sono però tratte che restano predominio dell’aereo, come sanno bene soprattutto i meridionali che lavorano al Nord. È il caso ad esempio del volo Roma-Catania, ma se ne potrebbero citare tanti altri. “Se pensiamo alla Sicilia o alla Sardegna è chiaro che l’aereo resta, e probabilmente resterà, il mezzo più comodo e rapido, per via delle loro caratteristiche naturali – afferma Giuricin – Quel che dico è che laddove c’è un treno ad alta velocità le persone preferiscono il treno. E allora sì che si può immaginare di aumentare la quota di mercato del trasporto ferroviario. Ma servono appunto le infrastrutture. Anche perché è noto che il treno è il mezzo di trasporto meno inquinante”.
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La storia (questa sì di breve durata) del volo Trapani-Catania
Ci sono volte in cui una storia è capace di condensare più elementi di analisi e dati e interviste. È il caso del volo Trapani-Catania. Due città che distano in linea d’aria poco più di 230 chilometri e che però, nelle disastrose condizioni di mobilità che sconta la Sicilia, diventano più di 350 chilometri in auto, tra continue interruzioni in autostrada e deviazioni verso “trazzere” (le strade di campagna) inusitate.
Se non si possiede un mezzo proprio bisogna mettere nello zaino anche una dose notevole di pazienza: come racconta L’Essenziale da Trapani a Catania servono “circa otto ore tra coincidenze con altri treni e bus, e porzioni di strada da percorrere a piedi”. Affidarsi soltanto al treno? Manco a parlarne, non esiste un diretto tra due dei capoluoghi di provincia più importanti dell’Isola e i racconti giornalistici sul regionale da Trapani somigliano a moderne odissee.
Tuttavia a novembre 2022 arriva una novità nel desolante panorama della mobilità siciliana. Una compagnia aerea, italiana nel nome (Aeroitalia) ma finanziata con capitali esteri, lancia il 4 novembre il volo breve Trapani-Catania. Durata del viaggio: 50 minuti. Costo: 50 euro, a patto di prenotare con largo anticipo, altrimenti i prezzi salgono vertiginosamente. Se l’aeroporto di Catania è relativamente vicino al centro città, lo stesso non può dirsi per lo scalo trapanese, che in realtà è un aeroporto militare (ex regno della compagnia low cost Ryanair) e sorge in una contrada della città di Marsala, a circa 25 chilometri dal centro di Trapani. La tratta è garantita ogni lunedì, venerdì e domenica.
I primi segnali del volo, sponsorizzato comunque in pompa magna, non sono incoraggianti: dei 60 posti disponibili, il primo giorno se ne riempiono 50 e comunque il volo inaugurale parte in ritardo di alcuni giorni rispetto agli annunci. Per farla breve, le condizioni non proprio agevoli fin qui tratteggiate lasciano presagire il più scontato dei finali: appena due mesi dopo l’avvio il volo Trapani-Catania scompare dalle opzioni del sito Aeroitalia. Non sempre in ogni storia c’è una morale o una lezione da trarre. Però la vicenda del volo Trapani-Catania insegna che forse è arrivato il momento di smetterla con l’insostenibilità di un modello di sviluppo che privilegia soluzioni sempre più lontane dalla sensibilità comune. I voli brevi, semplicemente, non possiamo più permetterceli, in tutti i sensi.
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Il futuro della mobilità sostenibile? È nel treno
“Esistono almeno tre Italie: una prima molto accessibile, che dispone di tutte le diverse modalità di trasporto, anche se con evidenti problemi di congestione e di saturazione delle reti; una seconda non accessibile con alcune modalità di trasporto (ad esempio, l’Alta Velocità ferroviaria), ma più accessibile con altre (ad esempio, attraverso i collegamenti aerei); una terza remota dal punto di vista geografico e senza un sistema di trasporti in grado di colmare questa distanza”. Difficile non convenire con gli esperti e le esperte del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che a ottobre 2022 hanno consegnato il report “Mobilità e logica sostenibile – Analisi e indirizzi strategici per il futuro”. Un documento interessante che, pur non citando espressamente la questione delle tratte brevi, dà delle indicazioni importanti.
“In genere – si legge nel report – per spostamenti superiori ai 700 chilometri la modalità aerea e ferroviaria possono essere considerate come complementari/sostitutive. Da una lettura congiunta delle carte delle Figure, emergono aree del Paese dotati di una buona accessibilità per entrambe le due modalità di trasporto (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Lazio), mentre, per contro, ve ne sono altre scarsamente collegate sia da servizi ferroviari che aerei, come le Regioni sulla dorsale adriatica, la Calabria e tutto l’arco alpino. Vi sono poi altre porzioni di territorio, come la Sardegna e la Sicilia, la cui accessibilità è strettamente legata (vincolata) a una sola modalità di trasporto (aereo) e quindi agli eventuali sussidi ed incentivi erogati/erogabili per il settore”.
L’annotazione degli esperti e delle esperte del ministero assume un’altra luce a seguito della scelta francese: perché viene da pensare che se già adesso, per le tratte lunghe (oltre 700 km) treno e aereo sono concorrenziali, figurarsi cosa potrebbe succedere se si incentivasse realmente il trasporto locale e quello interregionale, vera croce di qualsiasi pendolare italiano o italiana. D’altra parte, si legge più avanti nel documento del MIT, “un’analisi di valutazione dell’impatto della realizzazione della programmazione ferroviaria prevista porterebbe a una riduzione del tempo medio (ponderato) di viaggio di circa il 17% e una riduzione della diseguaglianza territoriale in termini di accessibilità ferroviaria del 38%”.
Incentivare il treno, almeno per le tratte brevi, conviene dunque sotto diversi punti di vista. Anche perché, come scrive Vito Mauro, già professore di ingegneria al Politecnico di Torino e tra gli esperti consultati dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti, “la decarbonizzazione dei veicoli e dei sistemi di trasporto prevede, in prima istanza, di sostituire – per i diversi tipi di veicoli e per i diversi impieghi stradali, ferroviari, marittimi e aerei – i sistemi di trazione basati sull’impiego dei combustibili fossili con sistemi non climalteranti”. Quel che è certo è che non è un buon segnale la scelta del governo Meloni e del titolare Matteo Salvini (anche vicepremier) di ripristinare il vecchio nome del ministero, riutilizzando la più vaga parola “trasporti” invece dell’espressione “mobilità sostenibile”, voluta fortemente da Enrico Giovannini, predecessore di Salvini alla guida del ministero.
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Lo studio di Greenpeace e la “bidella pendolare”
Come spesso avviene, le nostre scelte sono politiche, anche quando sono inconsapevoli. Decidere di prendere un volo che dura magari meno di un’ora, per coprire una distanza breve, specie quando esiste un analogo percorso ferroviario dalla durata simile, è un segno di quel che si può provare a fare, nel proprio piccolo, per incidere di meno sulla salute del pianeta. Ma, ovviamente, qui non si intende scaricare la responsabilità delle scelte sul singolo: la questione delle tratte brevi è collettiva. Vale la pena allora rispolverare un recente report di Greenpeace che a ottobre 2021 aveva messo a confronto “i voli a corto raggio più frequentati in Europa con le alternative ferroviarie esistenti”.
Era emerso che “un terzo delle rotte aeree a corto raggio con più passeggeri in Europa potrebbe essere sostituito da un viaggio in treno della durata inferiore alle sei ore e molti altri spostamenti potrebbero essere più sostenibili viaggiando in treno anziché in aereo”. Questo comporterebbe un risparmio di “3,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno. Se inoltre venissero aggiunti nuovi treni diurni e notturni e migliorata l’efficienza e l’accessibilità del sistema ferroviario europeo – recita la nota di Greenpeace – quasi tutti i 250 voli più frequentati in Europa potrebbero essere sostituiti da treni, con un risparmio di circa 23,4 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno, pari alle emissioni annuali di CO2 di un Paese come la Croazia“.
E l’Italia? L’ong ambientalista segnala che 40 dei primi 150 voli intra-UE provengono o arrivano in Italia. Di queste il 15% possono essere percorse in treno con una durata inferiore a sei ore. Saltano all’occhio, inoltre, i voli nazionali, come quella Milano-Napoli, che è la decima tratta più trafficata in Italia con oltre un milione di passeggeri, nonostante il tragitto sia percorso anche da un treno diurno che impiega 4 ore e 33 minuti e da un treno notturno.
In fondo anche l’ormai mitologica storia della “bidella pendolare” – la collaboratrice scolastica che tutti i giorni andrebbe a lavorare a Milano da Napoli prendendo il treno – mostra che, a prescindere dalla veridicità del racconto, il trasporto su rotaia è più credibile. Avremmo mai creduto alla stessa storia se ci fosse stato detto che la giovane partiva ogni giorno in aereo? E non lo avremmo considerato, quello, uno spreco insostenibile (di soldi e di emissioni)?
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