Erano gli anni del boom economico, del consumismo rampante, e Vicenza è una città molto ricca coi suoi capannoni e l’industria che macina risultati, con l’eroina che fa la sua comparsa in città: un gruppo di persone avverte già allora i rischi in questa idea di sviluppo, che oggi chiamiamo lineare. Così, nel 1979, nasce Cooperativa Insieme, attorno all’intreccio tra temi ambientali, la riduzione dei rifiuti, e sociali, l’aiuto a persone fragili e in difficoltà: “Quando ancora non esisteva, o stava appena nascendo, la forma giuridica della cooperazione sociale e ancora non si parlava di economia circolare”, ci racconta la presidente Marina Fornasier.
“Nasciamo incredibilmente sugli stessi temi di cui oggi si parla a livello internazionale – riflette Fornasier –: ho riletto di recente il nostro statuto e sembra di leggere la direttiva europea dei rifiuti”. Con la consapevolezza dell’intreccio col sociale: “Sapevamo che con le attività messe in campo per ridare valore ai rifiuti c’è spazio per far lavorare persone con problemi”. La scommessa di quel gruppo ristretto di cittadini parte dai rifiuti tessili, ma incontra un bisogno più ampio: “Accolti nelle case per recuperare i vestiti, le persone ci chiedevano se avremmo potuto portare via anche un tavolo o un armadio o un frigo. Siamo cresciuti così fino ad oggi”, spiega.
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Circolare è sociale
Con la bussola di “fare economia” e dare lavoro con gli ingredienti giusti della sostenibilità ambientale e sociale”, oggi Cooperativa Insieme dà lavoro a circa 200 persone: 80 operatori normodotati e circa 100 persone seguite dai servizi sociali (in quanto cooperativa sociale è tenuta ad avere almeno il 30% di soggetti svantaggiati, ma evidentemente, sono molti di più). E poi una ventina di volontari. Gestisce in provincia di Vicenza 5 ecocentri. Nei negozi della cooperativa si vende, non si dona: unica eccezione, collaborazioni ad hoc in cui donazioni sono state destinate ad associazioni o progetti sociali.
“Gli ecocentri erano 11 fino a due mesi fa – spiega con amarezza Fornasier – poi abbiamo scelto di non partecipare ad un bando che secondo noi andava in controtendenza rispetto alle direttive europee e agli orientamenti italiani, un bando non sostenibile economicamente, almeno per il livello di qualità nel lavoro che vogliamo raggiungere, che apriva la strada a bandi simili, con tutti i rischi connessi quando non puoi rientrare dei costi”.
Il lavoro della cooperativa copre i primi tre anelli della gerarchia dei rifiuti: prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclo. I materiali arrivano alla cooperativa dagli ecocentri, dagli sgomberi (sia di abitazioni di privati che di industrie), da donazioni di privati: tutti vengono trattati come rifiuti, benché parte di questi, quelli che arrivano dalle donazioni (libri, mobili, vestiti, oggettistica casalinghi, biciclette…) per la legge siano ancora beni.
Ciò che era rifiuto diventa un bene
“Abbiamo visto sulla nostra pelle che finché non lo hai venduto è ancora rifiuto”, sottolinea la presidente: “Mentre tendenzialmente in Italia si cerca di separare il concetto dei beni da quello dei rifiuti, noi abbiamo messo i primi nei secondi: tutto quello che finalizziamo al riutilizzo confluisce nei due impianti di preparazione per il riutilizzo, altrimenti viene indirizzato verso il riciclo, e solo quando non ci sono altre possibilità si avvia alla discarica o all’inceneritore”.
Grazie alle competenze acquisite nel campo del riuso “a seconda dell’opportunità destiniamo un libro alla filiera del riuso (come libro) o alla filiera del riciclo (come carta) a seconda di fattori diversi che vanno dalle tipologie di prodotti, ai quantitativi, alle mode”. Con l’obiettivo finale di integrare alla filiera del riciclo quella del riuso.
Ogni anno negli impianti di preparazione per riutilizzo entrano circa 1000 tonnellate di materiali, il 20% da donazioni, il resto dagli ecocentri e dagli sgomberi. Di queste 1000 tonnellate, l’85% viene venduto al dettaglio nei tre negozi della cooperativa, all’ingrosso e online. Una porzione considerevole legata al livello altissimo di selezione già alla fonte: “I nostri operatori negli ecocentri sono formati e in costante collegamento con i venditori. Se gli operatori in un ecocentro ricevono 100 piatti, sono la nostra capacità commerciale e la risposta del mercato a determinare se verranno riusati o riciclati”.
Scegliere di trattare tutto come rifiuto comporta avere le autorizzazioni necessarie e obbliga a seguire le procedure prescritte: “Già dal 2001, la nostra autorizzazione per la gestione dei rifiuti a Vicenza descriveva le procedure per la preparazione per il riutilizzo, che facevamo anche se non si chiamavano ancora così. Nel primo ecocentro di Vicenza, coprogettato con l’amministrazione nel 1998, erano inoltre previsti, tra i container per la differenziata, anche quello per il riutilizzo. E nel 2019 è nostra la prima autorizzazione italiana “caso per caso” per la preparazione per il riutilizzo”.
Il progetto Prisca
Tutto nel flusso dei rifiuti-beni di Cooperativa Insieme è tracciato. Tracciamento che, ovviamente, ha un costo: “Abbiamo un ufficio di sette persone tra ingegneri ambientali e amministrativi per gestire i flussi in ingresso e uscita”. Per fortuna un aiuto è arrivato negli anni dalle politiche europee in favore della riduzione dei rifiuti. “Nel 2013, col progetto Prisca, capofila la Scuola Superiore Sant’Anna, siamo stati il progetto pilota che doveva servire come esempio per replicare il modello”. La replicabilità, oltre che tra gli obiettivi dell’Europa, è un pallino della cooperativa: “Ancora oggi ci lambicchiamo per capire, al di là delle differenze storiche e di contesto, come replicare la nostra esperienza in altri territori”.
In uno degli ecocentri gestiti dalla cooperativa, grazie ad un bando innovativo, per i gestori è previsto un compenso fisso più una parte variabile legata alle performance di riciclo, e “pare che gli orientamenti per le gare del futuro sono di riconoscere anche il riuso”, aggiunge Fornasier. In questo ecocentro alcuni materiali (come il legno) non sono proprietà della municipalizzata ma di Cooperativa Insieme, che interagisce in prima persona coi riciclatori: una scelta di condivisione del rischio che “incentiva a lavorare nel modo migliore possibile, con la massima cura nella gestione dei rifiuti, che stimola la cooperativa ad essere imprenditore e non mero guardiano, come spesso accade”.
Il giro d’affari supera i tre milioni l’anno, e metà arriva appunto dalle vendite di beni usati: “Nei nostri negozi, in un sabato, entrano un migliaio di clienti. Per arrivare a questo risultato si deve partire dal fatto che la nostra filiera è industriale ma anche culturale”.
Per questo motivo tutte le attività della cooperativa sono abbinate a proposte culturali, dall’educazione ambientale nelle scuole alle collaborazioni con l’amministrazione e la cittadinanza sia su temi ambientali che sociali.
Cooperativa Insieme è censitta nell’Atlante dell’economia circolare.
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